Scrivere qualcosa su Giuliano Beretta è facile e difficile nello stesso tempo, e come spesso succede in questi casi mi è venuto ha disposizione il caso, o meglio, la casualità degli eventi dopo il suo funerale. Per quelli che non lo conoscevano possiamo dire che era una persona straordinaria, sempre con il sorriso e la voglia di scherzare, poeta nella vita e nello scrivere, grande amico di chi viveva l’ arte in maniera totale; esuberante, narcisista, anarchico, come anarchica era la sua poesia, con due sole possibilità: o piaceva, o non piaceva; però era inevitabile non farti coinvolgere da lui e dal suo carattere estroverso. Bastano i titoli delle sue raccolte poetiche per circoscrivere il personaggio:
“…Non è colpa dei mattoni” ; “JULIEN Poesie d’ amore” da cui deriva il mitico verso “avrei voluto conoscere una donna francese per avere il piacere di essere chiamato JULIEN” e Julien è rimasto, incancellabile, nel suo tracciato quotidiano e nei suoi rapporti con gli amici. E poi ancora “Decomposizione di un diario”; “La neve è acqua vestita da sposa”; “Rumori di grammatica”; “Ho stancato il buio”; “Le mosche del mio tempo non avevano fantasia”; (tutte edite nella collana “I quaderni dell’ Acàrya” a cui lui era molto legato, come molto legato era al Gruppo Acàrya: sua isola felice del venerdì sera, che ha difeso fino allo stremo, anche da quelli che hanno cercato “carriera” altrove). E per finire la raccolta antologica “Poesie scelte” (edizioni New Press) e per ultimo “Nel gioco veloce della preda” (Carlo Pozzoni Editore), presentato tra l’ altro solamente nello scorso maggio, sempre nella sede dell’ Acàrya.
Per quelli che lo conoscevano rimane il suo eterno sorriso e la sua continua voglia di stupire di fronte ad ogni cosa. Se qualcuno gli diceva di togliere due versi da una sua lirica per farla diventare più funzionale, lui aggirava il discorso con mille parole perché in fondo, la poesia la vedeva alla sua maniera e come voleva lui. Se qualcuno gli diceva che insegnava alla Sorbona o alla Bocconi, lui rispondeva che aveva la “cattedra” alla “GS” dove, salumiere, aveva iniziato a scrivere sulla carta da pacco per declamare poi la sua creazione al microfono, fra la gioia e la costernazione degli avventori. Perché lui era così, egocentrico fino allo stremo, ma di un egocentrismo che, non avendo perdonato ad altri, a lui perdonavamo, perché sapevamo della teatralità con cui si promuoveva e del grande amore per la sua poesia: la sua vita.
A ricordarlo con estrema sintesi basta il verso con cui ho intitolato questo post: “mordo la pesca pensando all’ uva con il gusto dell’ albicocca”; badate bene, questo è un verso tratto da una sua poesia d’ amore, e se voi andate a leggervi le poesie d’ amore anche dei grandi autori, verrete seppelliti da una continua infarcitura di sdolcinature, luoghi comuni, infantilismi adolescenziali senza fine. Ebbene, in un solo verso di Julien c’è tutto il mondo dell’ amore: la passione, la seduzione, la sensualità, l’ erotismo, la voglia di vivere e gustare la sua libertà come un gioco condotto dalla bellezza dei sensi, dalla carnalità fresca di una natura maturata per la bocca e il corpo, semplice e spensierata. Perché così vogliamo ricordarlo, una gioia che gli nasceva dal cuore nonostante le ferite inferte da una quotidianità che non lascia scampo, e dalla storia di ognuno di noi, come la sua che voleva raccontare agli altri: un dolore che diventava colore, o sangue tramutato in vino, decantato per noi, o per chi lo voleva capire. Sicuramente salito al cielo con tutti i trionfi o la semplicità di un uomo qualunque, la prima persona che avrà incontrato sarà stata una donna francese, e nel sentirsi chiamare Julien ! avrà risposto con il suo solito sorriso, esclamando: finalmente !!!
Di lui volevo ricordare un aneddoto che mi riguarda. Un giorno ero al supermercato di Sagnino (la frazione di Como dove era residente Giuliano), io ero prima delle casse, in attesa di pagare i miei acquisti, lui invece me lo sono trovato di fronte perché aveva già terminato la procedura di spesa, e appena mi vide incominciò a gridare ad alta voce: SALUTATE QUEL SIGNORE CHE E’ IL PRESIDENTE DELL’ ACARYA, SALUTATELO ! SALUTATELO ! PERCHE’ VI PARLERA’ DI CULTURA, NON COME VOI CHE PARLATE SOLO DI CALCIO, DI PATATINE E DEL CULO DELLE BALLERINE ! SALUTATELO E SALUTERETE LA CULTURA… Potete immaginare il mio imbarazzo in quel momento, ma presi la palla al balzo e risposi: perché invece a te ti conoscono vero ??! Lui mosse le mani con una sorta di OOOOOOOH !!!! e rise insieme agli altri; poi non sapendo cosa dire improvvisando aggiunsi: allora sei un uomo fortunato, PERCHE’ ? perché sei nato fascista, ti sei ritrovato comunista, sei stato costretto a vivere democristiano, e poi hai mandato tutti a ‘fanculo e sei diventato anarchico… e lui senza esitazione rispose: DI UNA COSA HAI RAGIONE, HO MANDATO AFFANCULO TUTTI ! e mi abbracciò come se fossi un figlio, perché lui era fatto così, attore e spettatore di se stesso.
Ma a proposito di attori…
Avevo iniziato parlando della casualità della vita e di come spesso accadono i fatti dopo certi momenti, anche luttuosi come questo. Ebbene proprio ieri sera sono andato ad un evento culturale che si svolge a Como, e ho visto il film Big Fish, che a tutti gli effetti sembrava la rappresentazione della vita di Giuliano Beretta, perché raccontava la vicenda di un uomo, il quale viveva, raccontando appunto la sua vita con una infinità di storie a cavallo fra realtà e fantasia e dove, non si capiva mai, dove iniziava la realtà e dove finiva la fantasia, e dei rapporti anche conflittuali con l’ unico figlio (che rappresentava sostanzialmente la razionalità), ma che alla fine, insieme alla nutrita serie di personaggi che avevano costellato i suoi fantasiosi racconti, si ritrovavano al funerale di lui, per l’ epilogo di una storia poetica e struggente, per come si può capovolgere un’ esistenza mantenendo sempre il sorriso sulle labbra, e come tale essere ricordati.
Addio amico Julien, noi ti ricorderemo sempre così: col sorriso, e con le tue storie…
il Barman del Club
Grazie, Tonino!
Ho letto con piacere. Mi sono commossa, ma l’episodio finale mi ha fatto sorridere.
Ciao. a presto.
Adriana
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Ciao Adriana, tu hai soltanto sorriso, ma quelli che c’erano intorno a me quel giorno al supermercato, ridevano di gusto. D’altronde Giuliano va ricordato proprio per queste situazioni comiche… oltre chiaramente alla sua originalissima poesia. Peccato non ci sia più…
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Grazie per tutto ciò che hai scritto sull’amico geniale poeta Julien
che non dimenticherò mai.
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ti rispondo con le sue parole: “…se volete farmi del male / chiudete a chiave il destino” e noi non l’abbiamo chiuso: “…ti ho lasciata sola / per farti capire che esisto” e in senso traslato potremmo dire che ci ha lasciati soli… e infatti continuerà ad esistere, fra di noi e dentro di noi.
Lui diceva sempre che “siamo troppo fermi per capire il vento”, e allora cercheremo di andargli incontro, perché ora che lo è diventato, forse, smetteremo di essere “fermi”. Per incontrarlo ancora, ci muoveremo insieme a lui…
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a tanta poesia rispondo:
vorrei chiamarmi Julien per non scrivere un banale grazie
un abbraccio a tutti
Antonella (la figlia di Julien)
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cara Antonella, grazie a te… tuo padre era una persona unica, rimarrà sempre nei nostri cuori e l’ Acàrya non si dimenticherà di lui, per quello che ha fatto, per quello che era, per quello che sarà. Un abbraccio
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Ho perso incontri…ho perso abbracci…ho perso volti…perso sorrisi…ma tutti e tutto son qui nel cuore…li sento creature vive….ora più che mai …un refolo a carezza…un lieve tocco sulla spalla…una strizzata d’occhio -come soleva fare Julien con simpatia… Bastava per sentirsi vivi in poesia-… Grazie di cuore!
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il grazie è da dividere fra tutti…
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