Splendida serata l’ altra sera nella sede del Gruppo Acàrya di Como, che ha visto come protagonista Andrea Temporelli con la sua poesia. Come avevo scritto nel post precedente, essendo la sua firma uno pseudonimo, siamo riusciti a entrare, o meglio, si è svelato l’ autore con le sue due personalità. Da una parte, Marco Merlin: il direttore della rivista Atelier, il critico letterario, (colui che ha cercato di dare un senso a questo lavoro importante, perso nella banalità clientelare di questi ultimi anni), l’ insegnante, e se vogliamo anche l’ uomo qualunque, inteso come lettore attento alle dinamiche di oggi. E dall’ altra parte invece, Andrea Temporelli, il poeta, il suo alter-ego, il suo doppio, colui che si eleva verso quel mondo parallelo che sta appena sopra di noi, che percepiamo a livello sensitivo, e che lui: il poeta appunto, ce lo svela, cercando di portarcelo dentro come una comunione fra il corpo e l’ anima e che, tra un verso e l’ altro, ci fa capire il vero significato del Verbo e l’ importanza del dono della parola, della voce, con le sue potenzialità: la vita e la morte che si incontrano nella continua danza del nostro divenire. E se il tutto nasce da una perdita, allora sarà proprio la fine, l’ inizio per ricominciare dove ci eravamo smarriti.
Intensa la lettura dei testi, interessantissimo il dibattito con il pubblico presente, dove l’ autore ha rimesso in gioco la sua personalità, calandosi nei difficili meandri del suo io, cercando un punto di contatto con gli ascoltatori. Essendo già stato nostro ospite, abbiamo trovato un Andrea Temporelli diverso da Il Cielo di Marte (la sua precedente raccolta) perché, mentre prima cercava di raccontare e racontarsi attraverso un’ analisi lirica che diventava canzone e che, tutto sommato, a parte qualche slancio polemico, il resto della silloge si circoscriveva dentro “l’ indagine domestica” della sua vita interiore; in questa sua ultima prova invece, l’ ho sentito più battagliero, più deciso, più intraprendente dentro a quella “repubblica dei poeti” che circonda la sincerità, e la trasforma. E avendo dato simbolicamente al primo libro la configurazione del padre e a questo la figura della madre, si deduce che il suo lato femminile è molto piu’ coraggioso e in maniera traslata, queste potenzialità, le ha riconosciute alle donne.
Chiaramente il punto centrale della serata è stata la lettura del poemetto centrale della raccolta: “Terramadre”, dove una visita al cimitero per trovare le tombe della mamma e del fratellino (origini del suo pseudonimo), sono lo spunto per iniziare una lunga cavalcata dove si parla di tutto, ed io, ho trovato molti punti di contatto con il poemetto “V” (versus) dell’ inglese Tony Harrison, perché anche lui prende lo spunto da una iniziale visita al camposanto, dove ci sono le lapidi dei suoi genitori e le trova imbrattate dalle scritte oscene dei tifosi di una squadra di calcio locale. Di conseguenza inizia un’ interminabile dialogo a due voci (il poeta e il suo doppio) dove si raffigurano il bene e il male, la vita e la morte, per arrivare al loro fondersi. E siccome il tutto inizia dalle parolacce che a caratteri cubitali il poeta trova sulle tombe, e come tali vengono riportate sulla pagine senza nessun pudore; nessun pudore ha Temporelli nell’ inserire (anche se modulata o nascosta da un a-capo) una bestemmia, che giutifica dicendo di come il poeta non può sottrarsi a quello che il suo doppio gli suggerisce. Così anche in Terramadre la cavalcata ripercorre tutti i “contro” della nostra societa’ (“versus”, appunto), per approdare dopo una lunga lotta con la morte, alla vita, una vita non intesa come quella che si creda stia al di la’ ma, nella nostra continuazione, nella nostra ostinazione per rinascere, ancora: definitivamente.
da “Terramadre”
Coloro che precedono in ascolto,
i prediletti, vegliano sul fiore
a cui hai rubato il nome. Sono un ottimo
concime nel cortile disertato
dall’infanzia più feroce e felice.
Perché istigarli? Tempo sarò dato
anche agli altri. Chi passa e legge avrà
l’eternità per comprendere questo
momento, questo ammonimento: dio
porco che grufoli sotto la pietra
e la materia profani, essa è ventre
in pace, mamma-mummia per ciascuno.
Sbocci dunque la rosa rovesciata
davanti a una platea di vermi. I versi
sulle gramaglie non suonano più.
Ma alligna nel roseto la gramigna
e sorridenti gli amici continuano
a tradire. Tutti esiliati in patria,
mocciosi capricciosi. E il giardiniere ?
Abbandona i suoi figli nel fogliame
perché le spine diano ispirazione
da sole. Terramadre più che morta:
dimenticata, fa’ di questi segni
la tua indignazione, la nostra espiazione.
Infatti oltre il cancello del giardino
c’è solo da cantare in una lingua
nuova per benedire gli assassini.
(…)
(…)
Tutto è così difficile… Daccapo:
saldiamo adesso il conto con la morte
una volta per tutte, prima che.
Ma il conto è presto fatto: l’infinito
non si somma a infinito, bellamorte
che nulla dell’amore puoi sapere.
Non vuol guarire la terra, prepara
la folle fioritura di un febbraio
che annuncia l’insensibile catastrofe
della specie, anche adesso, nonostante
il caso, il caos e il secondo principio.
Golosa clorofilla. Consumata
semplicità che qui non è possibile.
Ma tutto ciò che a senso è vero e oscuro
protesta il mondo dentro le parole:
“Che cosa vedi? Taci. Guarda. Tocca.
La terra. L’erba. La formica. L’aria.
E’ la tua prima esperienza”. La prima?
In nessun luogo è inizio: vanità
verità ovunque… Terramadre muta,
la tua vicenda minuta è invenzione.
(…)
(…)
Ma il solo modo di onorare i morti
è dire addio come si dice addio
a un amore per salvare l’amore.
Volta le spalle alla fine di tutto
e guarda nella gioia ciò che lasci:
di te non resterà che questa dedica.
Bellamorte, non sei più mia, nessuno
ti ha conosciuto e ti lascia andar via.
Così la vita in me si piace, madre
terra che non conosce affetti, morte
senza oggetto, visione che si smembra
cieca nella realtà… Non c’è più tempo,
muta di carne mente la materia.
Non c’è più tempo e non c’è solitudine:
se la fine certifica l’amore
fermo il respiro adesso nel poema:
adamantino chiodo dentro il vuoto
per darti spiraglio, figlio, almeno un poco.
Qui poggia il piede per la capriola
con cui mi onorerai dimenticandomi.
Noi viviamo definitivamente.
Andrea Temporelli
Un complimento va anche dato alla casa editrice IL PONTE DEL SALE per la veste editoriale della confezione e l’ottimo catalogo delle sue pubblicazioni. Un plauso anche al pubblico presente.
P.S. E’ inevitabile, quest’anno le tematiche della vita e della morte, si inseguono e s’incontrano, si allontanano e si richiamano ad ogni voltar di pagina, mentre noi viviamo… definitivamente.
Alla prossima ragazzi…
il Barman del Club
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