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Duncan Zowie Jones è sicuramente uno dei giovani registi emergenti nel campo della fantascienza di questi ultimi anni. Figlio di David Robert Jones, meglio conosciuto come David Bowie: la famosa rock-star inglese, continua con quello che  evidentemente esiste nel DNA di questa famiglia, ovvero, la traccia di un codice alieno.
Ma bando agli scherzi; segnalatosi al grande pubblico con l’interessante Moon del 2009, il suo primo lungometraggio, forse, un po’ claustrofobico, ha messo in evidenza l’originalità dei suoi soggetti sempre a cavallo fra ciò che è reale e ciò che non lo è, narrando la vicenda di un astronauta che vive in solitudine sulla faccia oscura della luna. Il suo compito è quello di seguire le macchine adibite all’importante estrazione di un minerale che ha risolto i problemi energetici del nostro Pianeta. Il problema è che subisce un incidente ma, il giorno dopo, la stessa persona come se niente fosse ricomincia le attività di sempre. Poi però, uscendo sulla superficie lunare ritrova svenuto dentro una macchina-lavoratrice, colui che è stato vittima dell’infortunio e portandolo in infermeria scopre che in realtà è un altro se stesso. Inizia così ad insinuarsi nella testa di uno di loro (perché poi l’altro si riprenderà), il dubbio di chi è, e chi sono veramente loro e soprattutto se ce ne sono degli altri uguali; anche perché il “protagonista” parla continuamente  con la propria famiglia a distanza sulla Terra.
I continui dialoghi con il Grande Computer della base lunare sono un accorato omaggio al celeberrimo “2001 Odissea nello spazio” e la trama regge fino, purtroppo, al moralistico finale che a mio avviso poteva essere risolto in maniera più convincente.
Splendido invece il suo secondo film del 2011:  Source Code, dove ritornano le tematiche care al “rampollo di famiglia” legate appunto a qual’è la vera dimensione di quello che vediamo ogni giorno, sotto i nostri occhi. Il protagonista interpretato dall’attore  Jake Gyllenhaal, si risveglia in un treno pieno di persone ma, dal suo comportamento si capisce che non sa riconoscersi, anche di fronte a quella che dovrebbero essere una sua collega di lavoro, interpretata dalla bellissima Michelle Monaghan. Poi improvvisamente avviene una fortissima esplosione e il nostro si ritrova in una sorta di capsula dove gli viene spiegato, non facilmente, che in realtà è un ufficiale dell’esercito in missione all’interno di un nuovissimo esperimento che manda un individuo  indietro nel tempo e nel corpo di un’altra persona, e tramite questa ha solamente otto minuti per scoprire l’identità dell’attentatore.

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Inizia così un’avvincente e continua “spedizione” all’interno di un’altra identità dove –  tra un fallimento e l’altro, e le continue, per così dire: “morti” del protagonista, causate dall’attentato al treno in questione –  trama e sceneggiatura non si perdono un respiro, nell’alternarsi dei colpi di scena e del susseguirsi delle vicende le quali non hanno mai un momento di banalità.
© 2010 Vendome PicturesFino al bellissimo finale,  che supera il solito impasse narrativo legato alla produzione di un “modo parallelo” che s’incontra sempre quando ci mettiamo a viaggiare per il tempo. Rimane sempre il dubbio su cosa potrebbe succedere se  giochiamo ad alterare la fisica quantistica, se abbiamo le facoltà di manipolare il passato o anche solo di guardarlo, per intervenire nel presente come se fosse un gioco o una necessità, anche legata all’ordine delle cose o all’equilibrio di una civiltà.
Il regista  sceglie in questo caso un pizzico di poesia per superare la follia degli avvenimenti, miscelando passione e intelligenza, adrenalina e partecipazione. Ci conduce forse, dove avremmo voluto arrivare anche noi, inserendo quella carica emozionale capace di prendere per mano i sentimenti e non lasciarli sfuggire, anche nei tunnel spazio-temporali.

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Convincente  è la prova degli attori, compresa quella di Vera Farmiga nonostante sia relegata in un ruolo marginale ma importante, soprattutto nelle scene finali.  Possiamo di conseguenza affermare che, nel campo della fantascienza cosiddetta “intelligente”, ha preso spessore la figura di Duncan Jones, lasciando ben sperare per il prossimo “futuro” dove, a questo punto, tutti si aspettano il capolavoro.

il Barman del Club

© 2010 Vendome Pictures

5 Comments on “SOURCE CODE – La fantascienza di Duncan Jones

  1. Per un attimo l’affermazione con cui chiudi il post mi ha lasciato stupefatto. Poi ho guardato fuori dalla finestra, i pesci cinguettavano sugli alberi e la pioggia dolcemente saliva verso il cielo, tutto normale come ogni giorno e anche quella frase mi apparve perfettamente sensata e cantai: “Zane, Zane, Zane/Ouvre le Chien”

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    • c’è chi è sano di mente e chi non lo è, ma in fondo, quando Luis e Salvator tagliarono a metà l’occhio di una donna, qualcuno sapeva già che era quello di un bovino…
      “Cause I’d rather stay here / With all the madmen / Than perish with the sadmen… //…For I’m quite content / they’re all as save as me…”

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  2. E c’è chi dà a Duncan ciò che è di Duncan e a David ciò che è di David. Per gli altri c’è Scaruffi. Spero che tu non sia fra questi ultimi.

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  3. Pingback: EROE PER UN GIORNO EROE PER SEMPRE | Sourtoe Cocktail Club

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