i migliori album del 2012. per il Sourtoe Coctail Club png

Come tutti gli anni anch’io mi diverto ha stilare la Playlist dei migliori album che ho ascoltato nel 2012 e, contrariamente al 2011 (dove ho inserito molto jazz, perché sul fronte del rock c’era stata veramente poca roba buona), questo è stato un anno  notevole, a tal punto che ho dovuto lasciare fuori dalle scelte il jazz per non riempire troppo il carnet. Questa nuova classifica, di conseguenza, è basata tutta intorno al rock e le sue varie contaminazioni…    Chiaramente questo è un post lungo e impegnativo per un eventuale lettore, ho cercato quindi di essere il più sintetico possibile, inserendo anche la parte video per un immediato riscontro. E’ ovvio che un disco va ascoltato nella sua interezza e con il tempo necessario per apprezzarlo pienamente. Scegliete quello più consono ai vostri gusti e alle vostre esigenze, e sappiatemi dire se vi ho dato il consiglio giusto, o meglio ancora, se lo avete già acquistato e apprezzato…   Buon ascolto e buona lettura!

il disco a cavallo dei due anni (2011 / 2012)

BIG SEXY NOISE – “Trust the Witch”

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Uscito verso la fine del 2011, questo album lo recupero per dovere di bellezza, essendo il nuovo gruppo di Lydia Lunch, una vera forza della natura in chiave di perversione musicale. Forse meno bello dell’esordio del 2010, questo Trust the Witch, rappresenta tutta quella che è stata chiamata L’estetica della depravazione, perché conosciamo benissimo le inclinazioni la sua leader e di come riesce a incarnare musicalmente i panni di una ninfomane nichilista. Un immaginario hardcore  sputato in faccia senza troppi preliminari e girato sugli strumenti come un orgasmo senza fine. Qui la notte non finisce mai perché ognuno è votato al disfacimento più estremo: ad ogni canzone si cambia soltanto la maniera di vivere una dissoluzione sessuale, e l’ascoltatore, suo malgrado, ne è trascinato dentro senza scampo, senza possibilità di redimersi.

cocktail abbinato: “Vampire Kiss” – (quell’oscuro oggetto del desiderio)

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I 20 MIGLIORI DISCHI DEL 2012

BILL FAY – “Life is People”

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Dopo quarant’anni di silenzio ritorna Bill Fay, sorprendentemente, con un album di una bellezza estrema, ricchissimo di melodia e poesia e un pizzico di melanconia. Un concentrato di emozioni e parole da brividi e, non è banale ripetere la frase fatta: “rapiscono l’anima”, perché realmente è raro sentire tanta passione e intensità dentro a un concentrato di canzoni così commoventi, così intensamente vissute, così profonde e semplici nello stesso tempo, così vere…   Consigliatissimo per i romantici che  apprezzano la poesia.

cocktail abbinato: “Old Fashioned” – (senza tempo)

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ALT-J  – “An Awesome Wave”

alt-j -An-Awesome -Wave

Se avete un MAC e schiacciate i tasti  “alt-j” vi uscirà la lettera “delta” che in matematica è il simbolo della mutazione, del cambiamento: una chiara dichiarazione d’intenti di questi 4 ragazzi  di Leeds, i quali esordiscono con un disco strabiliante che si inserisce in quello che potremmo chiamare Trip-folk, alternative folk o meglio ancora: folktronica; si perché le contaminazioni dentro a queste melodie sono sempre a cavallo con la tradizione nordeuropea e le nuove forme d’avanguardia. Fortunatamente quando comprai questo disco, non lo presi in vinile, altrimenti lo avrei letteralmente consumato dalle tante volte che l’ho ascoltato, dalle tante canzoni (ci sono a mio avviso ben 5 singoli che avrebbero fatto la fortuna di altrettanti gruppi, e altri 3 pezzi che non scherzano affatto) che mi hanno lasciato esterrefatto per la loro bellezza. Io sono convinto che complessi arcifamosi come per esempio i Coldplay, si sono mangiati le palle quando hanno sentito questo album, perché il genere è lo stesso, ma lo spessore di questi giovani è di un altro pianeta. Tra l’altro ho avuto molte difficoltà nello scegliere il video, perché i pezzi sono appunto tutti belli, e allora ho postato un intero concerto che, se avrete la pazienza di ascoltarlo, entrerete nel mondo dolcissimo e originale di questi giovani  autori.

cocktail abbinato: “Gin Fizz” – (idee fresche)

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JON SPENCER BLUES EXPLOSION – “Meat and Bone”

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Jon Spencer e il suo rullante  trio sfodera quest’anno un lavoro al fulmiconone che ricorda i suoi esordi artistici senza troppi fronzoli. Il disco è un’autentica bomba sonora da cui non se ne esce vivi e puzza di sudore in maniera deflagrante. La ricetta è semplice: blues, rock’n’roll e devastazioni punk miscelati in maniera adrenalinica e suonati con una passione che sputa sangue da ogni nota. Sono solo in tre, ma riescono a condensare in meno di un’ora gli anni cinquanta, i sessanta, i settanta, mandano affanculo gli ottanta e rientrano alla grande nei novanta, per ritrovarsi oltre gli anni 2000 in questa nuova decade, pronti a ricominciare più giovani di prima, più maturi, più sinceramente sbruffoni. Attaccatevi alle vostre sedie, si incomincia a fremere e sballare!! Vi sentirete addosso i vent’anni anche se ne avete sessanta!

cocktail abbinato: “B  52” – (bomba multistrato alla fiamma)

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GODSPEED YOU! BLACK EMPEROR – “Allelujah! Don’t Bend! Ascend!

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Questo collettivo di Montreal ritorna a pubblicare un album dopo circa dieci anni di assenza, dopo che si erano rimessi insieme e avevano suonato dal vivo per la gioia dei fans, e lo fanno con un disco di una bellezza estrema: un insieme di tracce che diventano una lunga suite dove perdersi e ritrovarsi, morire felici e risorgere più luminosi di prima. Miscelate insieme gli echi del rock-progressive e del kraut-rock (Popol Vuh, Ash Ra Temple & soci) con le tendenze legate a un post-rock molto intelligente e per niente banalizzato, anzi, la loro musica cattura le emozioni più intense e va subito al sodo, senza perdersi nei decadenti suoni in cui altri di questo genere sono precipitati per autoindulgenza. Qui le melodie sono piene di anima insieme a un delirio controllato, adagiato su un tappeto di colori sfumati per farvi percorrere un’esperienza unica ed esaltante.

cocktail abbinato: “Un calice di vino” – (per intenditori)

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COLOUR HAZE – “She Said”

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Questo trio bavarese attivo da molti anni e conosciuto solo dagli appassionati dell’underground, ritorna sulle scene con un disco coinvolgente e lisergico, che unisce le dinamiche di un  kraut-rock moderno alle viscerali cavalcate hard-psych di una California trasportata in terra di Germania. I loro pezzi sono lunghe trasfigurazioni musicali che sarebbe troppo facile accostare ai “viaggi allucinanti”  della generazione Hippy, ma che in realtà riemergono sotto una forma controllata che li evidenzia come dei veri e propri professionisti. Dovete solamente chiudere gli occhi e lasciarvi andare dentro al loro mondo psichedelico senza nessuna paura: è un viaggio onirico di una intensità unica e totale dove gusterete tutti i retrogusti della vostra vita   e del vostro presente.

cocktail abbinato: “Dark Angel” – (fantascienza oscura)

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OM – “Advatic Songs”

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Dopo lo splendido God is Good, ritorna sulle scene il duo Cisneros-Amos con un lavoro intriso di misticismo mediorientale e variazioni musicali profondissime. La loro ricerca musicale utilizza un crossover intelligente e mai ripetitivo, sperimentando le sonorità interiori di ognuno di noi per evidenziarle proprio dove avremmo voluto. Come su queste tracce dove riescono a coniugare un genere come lo stoner,  o se volete una forma di metal interessante per  le orecchie di un profano, a questi ritmi dilatai decisamente affascinati. Se unite insieme A Saucerful Of Secrets dei Pink Floyd a Paranoid dei Black Sabbath e vi tuffate nei fiumi della Palestina o della Mesopotamia, vi ritroverete ad immergervi nelle acque della vostra coscienza più ancestrale e conoscerete veramente voi stessi, all’interno di questi spazi sonori unici nel loro genere.  Un consiglio da vero amico: ascoltatelo al buio…

cocktail abbinato: “Palombaro” – (idee sommerse) 

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WOVENHAND – “The Laughing Stalk 

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Lo sciamano del Colorado è ritornato fra di noi con il suo lavoro della maturità, sfoderando un disco potente e viscerale che non si vedeva dai tempi dei 16 Horsepower. Il suo è un autentico delirio musicale e religioso dove miscela le danze tribali ereditate dalla madre indiana, e testi apocalittici pescati da una personale lettura della Bibbia, ereditate dai sermoni del padre: un Pastore Protestante. Ne esce un insieme di canzoni ritmiche e invasate senza la possibilità di redimersi, perché prima di pentirsi, ognuno di noi dovrà essere risucchiato nei vortici della fine del mondo ed essere punito di tutti i suoi peccati. Per il momento l’inferno è tutto condensato nella musica d’autore di questo fenomenale artista, e per fortuna a noi, va bene così: ai nostri peccati penseremo dopo…  Tra l’altro quest’anno è uscito anche il bellissimo Live at Roepaen, registrato nella splendida ambientazione di una chiesa protestante in Olanda e abbinato a un DVD dal fascino veramente pieno di spiritualità.

cocktail abbinato: “Negroni” – (atto di forza)

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MARK LANEGAN – “Blues Funeral”

mark lanegan - blues funeral
Finalmente dopo un lungo periodo di assenza e una lunga serie di collaborazioni, Lanegan si ributta in gioco con un album convincente e piacione, impregnato di bellissime ballate eseguite alla sua maniera. Il lavoro di produzione è forse troppo esagerato e l’utilizzo di troppa elettronica per infarcire le composizioni, ha rischiato di rovinare tutto il lavoro. Ma alla fine ci si lascia rapire dal vocione corroso da alcol e sigarette di questo grande artista maledetto, e si finisce per gustare totalmente tutte le tracce dall’inizio alla fine. Il titolo non lascia niente al caso, e il blues è solamente un pretesto per intraprendere un viaggio nella tradizione della musica d’autore americana delle murder-ballads e di quelle storie quotidiane tipiche di questa terra. Il mondo sarà anche pieno di perdenti ma, Mark ce li fa amare e la sua voce diventa poesia piacevolissima da ascoltare, o se proprio preferite, da bere.

cocktail abbinato: “Martini Dry” – (agitato non mescolato)

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THE  WALKABOUTS – “Berlin”

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  I Walkabouts non hanno bisogno di presentazioni perché parlare della loro classe rischia di diventare riduttivo al tempo stesso: sono bravi e basta! E dopo due splendidi lavori quali: “Acetilene” e  “Travels in the Dustland” pubblicano questo splendido live intitolato “Berlin”, la città dove è stato registrato e che, per tutta una serie di ragioni soprattutto musicali, acquista un significato affascinante anche prima di essere ascoltato. I pezzi eseguiti sono quasi tutti estrapolati dai due album sopracitati, più qualche altro capolavoro sparso qua e là, e ne esce un concerto di straripante bellezza, suonato divinamente, che non perde un colpo dall’inizio alla fine. Come sempre l’alternarsi delle voci di Carla Torgerson e di Chris Eckman sono la caratteristica del gruppo, e che sostanzialmente rappresentano la poesia e la rabbia, l’indignazione e la perdita. Un alternarsi da brividi e suggestioni incontrollate, perché le emozioni che si respirano dentro a queste canzoni sono l’intensità pura della musica stessa, sono l’equivalente di un panorama immenso davanti ai vostri occhi.

cocktail abbinato: “Long Island Ice Tea” – (la classe non è acqua)


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PETER BLEGUARD &
ANDY PARTRIDGE
“Gonwards”

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Andy Partridge (ex leader degli Xtc) e Peter Blegvad, si mettono insieme e confezionano un lavoro intelligente  e stravagante dalle mille sfaccettature. La base di partenza è il blues rurale e strampalato del Captain Beefheart più vicino alle sperimentazioni iniziatiche della sua arte. E la partenza è quella giusta, per intraprendere un percorso surrealista che scavalca le tendenze pop, per avventurarsi senza troppi indugi dentro a un ibrido sonoro che a volte raggiunge i non-sense più scanzonati fino al puro divertimento. Ma anche l’ humour può diventare espressione dadaista quando si inserisce nella genialità delle sue rappresentazioni, e non importa se la critica paragona queste sghembe storie a un lo-fi tecnologico, perché a  mio avviso c’è tutta la teatralità di due personaggi atipici del panorama musicale americano: basta incontrarsi e senza paura giocare con la voglia di stupire, con la voglia di farsi una bevuta e forse, ubriachi,  registrare le loro folli melodie, i parlati che giostrano fra poesia e illusione, l’esecuzione dei loro strumenti atipici fino alla rottura. Poi, dopo una bella dormita, risentire le tracce facendosi una sana e grossa risata. Non scappate subito, sedetevi ad ascoltare, perché  è puro divertimento…

cocktail abbinato: “Pinacolada” – (opera buffa)

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RIVAL SONS – “Head Down”

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Questo quartetto californiano è stata una delle sorprese più fresche di quest’anno: conosciuti nel concerto che hanno eseguito a Milano, mi hanno convinto a comprare i loro dischi per farmi fare un tuffo nel passato della mia adolescenza, per ritrovare il sound che i Led Zeppelin e una frangia godevole dell’ hard-rock ci aveva fatto sognare quando eravamo giovani. La novità è che invece questi ragazzi hanno una manciata di canzoni straordinarie e per niente derivative, anzi… mentre le basi sono un soul-blues che inevitabilmente attinge dalla tradizione delle loro radici, poi il tutto si sviluppa in maniera convincente e contagioso. La voce del front-man è accattivante mentre il resto della strumentazione lo accompagna con una tecnica e un’anima da manuali. Veramente bravi, anche perché, come ho già detto nella recensione della loro esibizione milanese: quando entri in un auditorium che hai poco più di cinquant’anni ed esci che ne hai poco più di venti, beh… qualcosa di buono questi quattro disperati te lo hanno trasmesso, e alla grande…     evvaiii!!!

cocktail abbinato: “Una birra media” – (finalmente un sorso)

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NEIL YOUNG – “Psychedelic Pill”

untitled A questo punto è doveroso passare dai baldi giovincelli ai vecchietti arzilli che, continuando a prendere la loro Pillola psichedelica, non smetteranno mai di stupirci. Bisogna però fare anche una premessa doverosa, e cioè che se questo progetto non fosse firmato Neil Young & i Crazy Horse, probabilmente non lo metterei fra i migliori dischi del 2012… Bella forza, allora mi direte! Soltanto perché c’è un “nome” altisonante tu lo scegli. Il problema è che io ho sempre preferito il Neil Young elettrico di Weld, per indenderci, a il Neil Young acustico di Harvest, soprattutto quando a fargli da spalla c’erano i suoi fidati Cavalli Pazzi, e siccome erano anni che non li sentivo suonare insieme con questa intramontabile voglia di divertirsi, l’attesa è stata spasmodica. Il risultato è stato questo lavoro pubblicato su un doppio CD (o su un vinile triplo), con due tracce: la terza del primo, Ramanda Inn e la quarta del secondo, Walk Like A Giant, che sono due autentici capolavori. Il resto è puro contorno sonoro: lunghe suite chitarristiche della durata di mezz’ora alternate a brevi pezzi di tre minuti che, se fossero state condensate su un CD singolo, probabilmente avrebbero dato a tutto l’album un senso di compattezza più convincente, ma tanté, a Neil non si comanda e bisogna adattarsi, come sempre, alle bizzarrie del nostro eroe, altrimenti sarebbe capace di prendere il suo fucile a canne mozze e puntarcelo dritto negli occhi: non ti sta bene… fanculo !!  Io sono fatto così !!  Va bene… Va bene… diremmo noi. Perché in fondo questa è una lunghissima canzone: avevano voglia di suonare insieme, di accontentare gli acustici gli elettrici, e l’ibrido che ne uscito è quell’innata fanciullezza di essere se stessi, e  a noi, ci sta bene anche così, del resto, non ce ne frega niente. E allora mettetevi le cuffie, chiudete gli occhi, saltate in groppa a questo cavallo, dategli una bella frustata e non fermatevi… mai !!

cocktail abbinato: “October Revolution” – (ultimi incendi)

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GOAT – “World Music”

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Da una follia sonora ad un’altra. Dal colpo di coda di un settantenne suonato a un incredibile debutto  di un gruppo di giovani della Scandinavia. Questo collettivo proveniente da un villaggio sperduto nell’estremo nord della Svezia, recupera probabilmente le storie ancestrali, variegate da un alone di leggenda e misticismo di queste terre desolate e affascinanti e, mettendosi la maschera degli stregoni, intraprendono un viaggio musicale che traccia una linea ideale dall’Artico all’Antartico, passando per l’Africa tribale, dove troviamo: etnica, funky, kraut, deviazioni e distorsioni sonore, free e noise da una estremità all’altra del mondo. Trasformano la psichedelica dei fine ’60 in un trip acidato senza fine, per poi ritornare tra i viventi, dopo una notte insonne a celebrare dei riti voo-doo e rimettersi in gioco, ancora una volta, dopo un lungo sballo insieme a una setta di vampiri. Accendete le luci… non si sa mai.  A proposito, il villaggio in questione si chiama: Korpolombolo, e a giudicare dal nome, sembrerebbe che qualche antenato di Fela Kuti dopo una lunga battuta di caccia, si sia spinto troppo a nord per inseguire le prede, e poi, intrappolato fra i ghiacci, abbia formato una colonia in cima a quelle latitudini. Probabilmente questi ragazzi non hanno tutti i capelli biondi, nel loro sangue scorre sicuramente qualche gene di colore nero, come la follia delle loro note.

cocktail abbinato: “Zombie” – (la notte dei morti viventi)

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JACK  WHITE – “Blunderbuss”

album2012-Jack-White-Blunderbuss
Dopo che Jack White  si è tolto di dosso l’ingombrante fardello dei White Stripes che, nel bene e nel male,  hanno segnato un lustro importante della musica americana, è riuscito ad intraprendere dei percorsi decisamente soddisfacenti e probabilmente più genuini. Infatti, questo Blunderbuss, ne è una splendida conferma. La ricetta è sempre la stessa: blues, r’n’b, heavy-rock, country ed elettronica, sapientemente miscelati con la passione di un ragazzino quando, dall’industriale Detroit, era partito pieno di entusiasmo alla ricerca del suo sogno americano, quello di suonare la sua musica: e c’è pienamente riuscito. E’ chiaro poi che le vicende con le sue due ex-mogli hanno in qualche modo condizionato il resto della vicenda ma, a mio avviso, tutto questo lo ha rinforzato caratterialmente. Non è casuale che proprio la canzone che il titolo all’album, racconta la vicenda di due amanti che si perdono all’interno di un Motel insieme ai loro desideri. Il resto è adrenalina allo stato puro: un’esecuzione coinvolgente insieme a un manipolo di musicisti eccezionali; ritmi indiavolati e chitarre che fumano e fondono puro divertimento sonoro, lo concentrano dentro a questi nuovi anni 2000, per ridarci quella gioia esuberante che un certo tipo di espressione musicale, ci ha sempre trasmesso e ci ha sempre fatto godere…     grandissimo !!

cocktail abbinato: “Bronx” – (tutto d’un fiato)

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SPIRITUALIZED – Sweet Heart  sweet Light

album2012-Spiritualized_SHWL Può un album completamente bianco (o quasi) condizionarti l’esistenza? Ehi Barman !!! (potrebbe dirmi qualcuno) Innanzitutto l’ anima della musica è nera !!  E poi di album bianchi che hanno condizionato le esistenze, li hanno già fatti !!   Vero… ma dentro a questo ultimo lavoro degli Spiritualized di anima c’è ne dentro più di una: bianca e nera, e i riferimenti ad altri album bianchi si sprecano in continuazione anzi, si va oltre per intraprendere un viaggio che il suo leader iscritto all’anagrafe con il nome di Jason Pierce, percorre attraverso tutta la tradizione del brit-pop andando anche oltre e sconfinando in continuazione. E’ chiaro che dopo un capolavoro quale: Ladies and Gentlemen We Are Floating in Space (ormai del 1997), e la sua riproposizione dal vivo (e la sua precedente carriera con i Spacemen 3)era difficile ripetersi rischiando di cadere in un suo fiacco epigono infatti, qualche fase di stanca c’è, però il tutto è risolto infilando delle piccole perle che risollevano le sorti melodiche delle canzoni. Di melodia c’è ne tanta, con varie sfumature e pezzi come: “Hey Jane” (vi ricorda qualcuno?), “Headin’ for the Top Now”; “I Am What I Am” (vi ricorda qualcun’altro?); “Mary”  e  “So Long You Pretty Thing”, possono condizionarti il piatto o il lettore e rapirti completamente. Personalmente non sono mai stato un amante della musica inglese, specialmente dopo la British Invasion e dopo l’ondata iconoclasta del Punk, però qui dentro di professionalità c’è ne tanta e va riconosciuta. Ehi  Barman !!! (potrebbe ridirmi il solito rompipalle) Qui dentro non c’è niente di nuovo !!! Cosa ‘azzo ascolti !!!  E questo secondo te sarebbe un disco da top 20 del 2012 !!!  Ma si… chi se frega !!!

cocktail abbinato: “Bellini” – (i soliti fighetti)

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THE  EVENS – The Odds

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La critica ha sempre definito questa coppia di Washinton (marito e moglie) una sorta di post-fugazi-hardcore, ma in questo loro terzo album la vena distruttiva si è stemperata dentro a un concentrato di canzoni veramente godevoli. Ogni traccia sfila via attraverso ballate che ricordano sì la tradizione di questa città americana, ma gli echi di un punk più vicino alle nostre orecchie si miscela a riff accattivanti e per niente banali, con una varietà di “melodie” costruite per essere accettate senza troppi fronzoli. Diretti, decisi, sicuri; si fanno apprezzare per la freschezza con cui si propongono e noi siamo contenti così. Fondamentalmente una sorpresa !

cocktail abbinato: “Whiskey Sour” – (semplicemente aspro)

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CODY  CHESNUTT – “Landing on a Hundred”

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Nell’ambito del filone solul-black Cody Chesnutt ritorna sulle scene dopo il suo travolgente esordio ormai datato a quasi dieci anni fa, e che aveva fatto sperare in un nuovo genio del funk-rock più viscerale e più innovativo. Un disco monumentale dove si trovava miscelato di tutto e che aveva fatto gridare al capolavoro, anche se con diversi mesi di ritardo dalla sua uscita. Ora, il perché poi si sia perso nei meandri dell’attuale industria discografica, a me personalmente non è noto, ma l’importante è che sia ritornato con questo album, anche se più moderato del precedente, però è talmente calibrato nella produzione, pulito e curato, da lasciare stupiti. E’ come se Marvin Gaye si fosse risvegliato dal suo sonno eterno per riportare il verbo della sua parola, e Cody ChesnuTT (così si scrive) assimila completamente il suo incedere ritmico e vocale, per riproporsi più rinnovato di prima. Speriamo non si perda di nuovo…

coctail abbinato: “Aperol Spritz” – (per tutti i gusti)

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LADYLIKE LILY – “Get Your Soul Washed”

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Questa giovane francesina è stata la sorpresa di fine anno. Un folk bucolico delicatissimo e quasi infantile, per la delicatezza con cui  viene proposto dalla finissima voce della sua protagonista. Queste sono ballate adagiate (come si vede dalla intrigante copertina) dentro uno stagno magico e quietamente vengono abbandonate (si fa per dire) nelle acque chiare dei suoi testi: sogni che però riemergono solamente per noi, per farci sognare a sua volta, per farci piangere ogni tanto, per farci sorridere… e per farci ritornare a sognare.

cocktail abbinato: “Mojito” – (un incantesimo)

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SCOTT  WALKER – “Bish Bosch”

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Questo ultimo lavoro di Scott Walker è sicuramente l’album più difficile del lotto e che idealmente chiude una trilogia inziata con Tilt e continuata con The Drift. Ho usato la parola “difficile” anche perché non è facile sintetizzare in dieci righe un condensato di tale caratura: perché entriamo nei territori dell’arte pura, e mi riprometto di riparlarne in seguito, all’interno di un discorso più ampio e che deve per forza comprendere anche gli altri due atti di questo dramma. Scott è un grande personaggio, vicino alla soglia dei settant’anni e non ha più bisogno di scrivere degli orecchiabili ritornelli (se mai ne ha scritti). Ormai  da molti anni è entrato nei territori della teatralità più viscerale, delle tragedie che ricorrono continuamente attraverso i suoi deliri sfacciati e impressionanti. Già dal titolo si capisce che tirare in ballo la figura del pittore Hyeronimus Bosch, apre la visione a tutta una serie di incubi surrealisti senza scampo, dapprima travestiti da giardino delle delizie, ma poi precipitati nei gorghi di un inferno addirittura blasfemo per come ci viene proposto. Inevitabilmente tutta l’umanità dovrà far fronte al giudizio finale che l’aspetta, anche se il veicolo delle canzoni (canzoni ?)  cerca d’infettare il substrato della nostra coscienza, perché il contagio dell’espressività artistica ci deve far riflettere. E’ complicato parlare di musica dove la musica non c’è dentro a questo romanzo spiazzante e allucinato, dentro alla  catarsi di un uomo che non ha paura a rimettersi ogni volta in discussione… ascoltatelo e basta, tenetevi forte però, ci risentiamo alla prossima puntata

cocktail abbinato: “Bad Breath” _ (fiato cattivo)

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JOHN ZORN – “Nosferatu”

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JOHN ZORN – “Mount Analouge”

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Concludo (o quasi) questa lunga carrellata di quelli che per me sono i migliori album del 2012 con una sorta di pacchetto omaggio: parlo di uno e ne prendi due! Si perché intraprendere un discorso musicale su un pazzoide eccentrico come John Zorn è sempre complicato, soprattutto se  vuoi parlarne ad un eventuale profano, o ad uno che lo ha solamente sentito nominare: perché dopo il jazz, il jazz-rock, il jazz sperimentale, il free-jazz, l’avanguardia, gli esperimenti hard, il noise, le orchestre d’archi, la classica, i pastiche elettronici, i Naked City, i Masada, i Book of Angels, le divagazioni etniche, quelle medioevali, quelle ambient, la sterminata serie dei Live e le colonne sonore… beh, penso che potrebbe essere molto difficile per chiunque provare a farlo. Se poi ci mettiamo  che solo nel 2012 ha pubblicato ben sei dischi, e ripeto 6 !!! Di cui appare come titolare dell’uscita, perché ne sono apparsi altrettanti dove lui è compositore-produttore esecutivo ma non dirige e non suona, e questo solamente nei primi sei mesi dell’anno. Insomma, come dicevo, uno qualsiasi di noi potrebbe delirare senza via di scampo… però, c’è sempre un però diceva qualcuno, perché dentro a questo vulcano in continua ebollizione un po’ di lava la possiamo tenere fra le mani. Allora ne scegliamo due: il primo, “Nosferatu”, è sostanzialmente la colonna sonora di uno spettacolo teatrale, uscito nel 2012 per celebrare il centenario della morte di Bram Stoker, e che, manco a dirlo, sintetizza tutte le variabili di cui sopra perché contiene pezzi molto diversi fra di loro, ma che per forza rientrano nelle esigenze di una rappresentazione scenica e le asseconda, direi molto bene. In effetti è un lavoro molto godevole che consiglio a chiunque. C’è poi un pezzo, ed esattamente The Battle of Good and Evil che è veramente una forza della natura e che vale il prezzo del disco (o del biglietto). Il secondo CD invece è un lavoro più coeso, ispirato alla vita a all’opera di Georges Ivanovitch Gurdjieff, e adatto per diventare un viaggio mistico nei territori della trascendenza, senza mai eccedere nei sperimentalismi. Infatti, anche se miscela come sempre, ma sapientemente, jazz, classica e world music, il risultato finale è molto godevole e adatto a chi ascolta belle melodia o del progressive intelligente, da gustare in beatudine e in silenzio. Insomma che vi devo dire, sdraiatevi e ascoltate quello che volete. In fondo il mondo della musica è un pianeta straordinario ed io ci sono precipitato da molto tempo e potete starne certi, io da questo universo, non me ne voglio proprio andare.    Un saluto a tutti…     Il barman del club

cocktail abbinato: “Invisibile” – (velvet gallows)

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La ghost trak

SWANS – “The Seer”

album2012-SwansTheSeer
La cosiddetta traccia fantasma è doverosa per infilare di sorpresa, in questa che potremmo chiamare una Top-Twenty-two 2012, questo album doppio che a detta di molti è il capolavoro dell’anno, per tutta una serie di motivi. Innanzitutto perché questa opera-rock (ed è giusto utilizzare questo termine viste le circa due ore di musica) rappresenta la summa di una carriera trentennale che ha visto protagonisti gli Swans come uno dei gruppi più inquietanti e dannati di un certo tipo di musica americana. Infatti partendo da un dark-industrial estremo, ipnotico e spettrale, arrivano dopo varie prove iconoclaste, a quello che pomposamente è stato definito folk-apocalittico alternative-rock della catastrofe, perché le tematiche narrate dal leader Michael Gira affondano nelle radici malate di una infanzia terribile, e proseguono attraverso le desolazioni metropolitane e le esistenze devastate da una carneficina quotidiana che non lascia scampo. Tutto un universo che collassa  in mezzo al dolore e alla disperazione, come se  l’umanità venisse risucchiata nelle viscere di un inferno maledetto e risputata nella continua sofferenza per cercare ad ogni costo il prezzo della redenzione. Dentro a The Seer  c’è tutto questo e altro ancora per esorcizzare la bestia che ognuno di noi nasconde nei propri “io”, pronta a dilagare in ogni nostro difetto e delitto giornaliero, in ogni nostro annientamento. Il tutto è costruito intorno ad un incedere ammaliante e ripetitivo,  come se un’infinita suite progressive-noir si riversasse sopra di noi per seppellirci definitivamente ad oscurare le nostre ultime possibilità. I latrati della bestia (bellissima è l’illustrazione di Simon Henwood) diventano echi di ritmi generati dalle estreme conseguenze che si evidenziano dentro ad accordi ripetuti fino allo sfinimento. E’ difficile uscirne vivi… bisogna ascoltare e riascoltare e morire ogni volta come se fossimo in una camera di tortura ma, come sempre, il potere della musica rigenera il DNA delle nostre emozioni e la catarsi avviene, ogni volta che ci troviamo davanti ad un’opera d’arte completa, anche se rappresenta tutte le nostre deviazioni, tutte le nostre angosce, tutte le nostre speranze… Non preoccupatevi, Michael Gira è uno come tanti, è uno come noi, vuole solamente esprimere i numerosi apogei della sua ispirazione.

cocktail abbinato: “Fernet&Coke” – (Punto di non ritorno)

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VI  OFFRO  DA  BERE  A  TUTTI
!!!!!!!!!!!!!!!!
UN  BEL  BRINDISI
E
ANCORA  AUGURI PER  UN 2013
MUSICALMENTE   ECCEZIONALE

!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!

25 Comments on “Best album 2012 – I migliori dischi del 2012 per l’ Intonation Cocktail Club 432

  1. Perché ti sembra (Psychedelic Pill) un ibrido di acustico ed elettrico? No, non sei a fuoco su questo disco. Dire che “She’s Always Dancing” è contorno sonoro (insomma, un riempitivo) è un momento di critica alla Scaruffi. Ci sono comunque un paio di cosette da dire riguardo a questo disco, quindi ripasserò a trovarti. Ciao.

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    • Scaruffi innanzitutto te lo tieni per te… (!) Io chiaramente ho perlato di “ibrido” per via di pezzi lunghissimi (vedi “Driftin’ Back”, che mi ha reso esausto, non tanto perché non ami i brani dilatati, anzi, ma perché è ripetitiva fino allo spasimo) alternati a pezzi brevissimi un poco “campagnoli”. Il problema è che oltre a quelle due “canzoni capolavoro” è tutto un riempitivo. Ma siamo sempre lì: Young è sempre Young, e quando ascolti “Walk Like A Giant” non puoi che inchinarti. E’ comunque un disco discontinuo… quello sì (!)

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      • Temo che non hai un rapporto sereno con questo disco. I pezzi brevissimi possono essere definiti tali solo a confronto di quelli che durano mezz’ora, perché in realtà hanno un minutaggio più che normale per delle canzoni. Comunque se per te l’ibridazione è dovuta all’alternanza pezzi lunghi/pezzi brevi, non ha più senso parlare di elettrico ed acustico, ricorda Last trip to Tulsa o Ambulance Blues come esempio di lunghi brani acustici. Comunque sarà tutto ma discontinuo … quello no.

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  2. SWANS – “The Seer”
    Lo ritengo un capolavoro !
    Non sono avvezzo a questo genere musicale ma, da un primo ascolto sembra che qui dentro ci sia tutto il disagio e anche una sorta di riscossa dei nostri tempi ! Molto bello.
    Piano piano ascolterò anche gli altri e da un accenno Big Sexy Noise non è niente male !
    Ciao.
    Stefano.

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    • Si… i Big Sexy Noise di Lydia Lunch, non sono niente male, anzi, il loro disco del 2010 è ancora più bello. Per quanto riguarda gli Swans invece, soprattutto per te che sei un amante del rock-progressive, sono senza dubbio particolari. Non è facile questo loro ultimo lavoro, in un primo momento ho avuto qualche difficoltà per alcuni pezzi estesi fino allo spasimo ma, quando riesci ad entrare nei pensieri che questi artisti vogliono trasmettere, soprattutto in riguardo al disagio della nostra società, alla decadenza, alla violenza, alla perversione… beh, ti trascina dentro come un vortice, ed è poi difficile uscirne fuori…
      Ciao Stefano e grazie dell’intervento

      P.S. Avendo inserito tanti video in un solo post, se ne apri uno ,fino a che non si è caricato e visto, difficilmente ne puoi aprirne un altro. Però sono tutti funzionanti

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      • SWANS – “The Seer”
        Comperato !
        Non ci crederai ma, più lo ascolto, più mi affascina.
        Non so dare molte etichette alla musica, ma qui dentro cè qualcosa che rispecchia il mio animo, quindi va comunque trattato con cura ed ascoltato con attenzione.
        Grazie per queste segnalazioni.
        Non sapevo neanche dell’esistenza di tali gruppi.
        Ciao.
        Stefano.

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  3. Per Stan…
    Non ho un rapporto sereno con questo disco !!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!
    Cavoli… l’ho messo nella mia Playlist, lasciando fuori calibri (vicini all’età di Young) come Dylan o Leonard Cohen, e se veniamo più avanti con gli anni: Patti Smith, Bruce Springsteen e Bob Mould, che ha detta di molti erano dei buoni album…
    Io sono convinto che se ci sono dei difetti bisogna sottolinearli perché è giusto che sia così- E poi non sapevo che eri un “partigiano younghiano” così radicale. E gli altri dischi ??????????

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    • Eccome se ha dei difetti! Intanto è doppio per una manciata di minuti e con un minimo di tagli veniva singolo e costava meno. Poi i testi non è che siano questa gran roba, anche il titolo non è che brilli per inventiva. Ne riparleremo. Gli altri dischi? Molte buone cose ma Jack White no. Caccialo via, quello sporco parvenue.
      Cos’hai contro i ritornelli di Scott? Avercene.

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      • Lo so che Jack White non ti è mai piaciuto, ma questo album è molto bello, e poi consolati, pare che quest’anno David Bowie faccia ancora un disco.
        E a proposito di Scott: chi ha mai parlato di ritornelli…? Se leggi bene ho usato la parola “opera d’arte”

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  4. Non è il mio genere di musica..vado sul jazz classico…ma appunto per questo lo ritengo molto interessante.Naturalmente non ho ascoltato che il primo brano..li ascoltero’ tutti .
    A presto!!!!!

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    • grazie della pazienza e dell’interessamento. Del jazz avevo parlato l’anno scorso (ma non c’erano i video), vedrò di recuperare in seguito. Comunque se sei un’appassionata di Jazz classico ti consiglio il live di Enrico Rava “On the Dance Floor” basato sulle musiche di Michael Jackson: molto godevole e fruibile… Ciao She

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  5. “… non ha più bisogno di scrivere degli orecchiabili ritornelli (se mai ne ha scritti). …” O barman, queste sono le tue parole e non la mia interpretazione delle stesse. Meglio evitare i Bronx tutti d’un fiato, specie se preparati dal fasullo di Detroit. Ladylike Lily dove l’hai pescata? Non sembravi tipo da Lolite pop.

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    • …infatti c’è una parentesi “(se mai ne ha scritti)”
      Ladylike Lily (?): non è questione di Lolite, è una questione di classe (!).
      In quanto al Bronx se vuoi sabato te ne offro uno…

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  6. per Stefano:
    sono contento che ti sia piaciuto… sicuramente fuori dagli schemi e con un fascino tutto suo. Come ho già scritto, per molti è stato il disco dell’anno… Ciao

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  7. per She:
    sempre sul fronte del jazz classico ti consiglio “Awakening” della flautista Nicole Mitchell: favoloso !!!!!

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  8. Su Jon Spencer: “Scienza è qualsiasi disciplina in cui anche uno stupido di questa generazione può oltrepassare il punto raggiunto da un genio della generazione precedente.” Max Gluckman (che non si riferiva alla JSBE)- Quando poi quel punto neppure viene oltrepassato, cosa ne devo pensare? Lo so, sono forse il solo (mi sento molto “Io Sono Leggenda” in questa cosa) a non riconoscere grandezza a questa band. Pazienza.

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    • ooooooh !!!!!! “Io Sono Leggenda” !!!!! Non tirartela troppo Stan, non c’è un’intera umanità di vampiri che vuole sfondare la tua porta per succhiarti il sangue… Tranquillo. Non ti piace e basta. D’altronde lo ha detto anche Albert Camus: “non voglio essere un genio, perché ho già problemi a sufficienza cercando di essere solo un uomo”. Probabilmente la JSBE vuole solamente suonare la loro musica e basta…

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      • Suonare ed essere pagati per farlo. Ma non è questo il punto. Io mi chiedo con tutti i vari dischi di r’n’r “duro e puro” usciti nel 2012, possibile che sia questo il migliore? Siamo sicuri che abbia quel quid che lo distingua? Poi tu hai scelto molti nomi che non si è filato nessuno, ma le riviste, dai… tutti con questo carne e ossa (già il titolo, questa “onesta dichiarazione d’intenti”, la copertina, così esplicita da risultare un’offesa all’intelligenza prima ancora che al gusto). Certo che me la tiro (qualunque cosa intendi).

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  9. Caspita…mi era sfuggita questa meraviglia!
    Bellissima musica..mi sa che verrò ad attingere qui!
    Al di là di tutto a me piaciono anche le copertine e i video…
    Rinnovo gli auguri di un buon 2013 musicale!
    ciao
    .marta

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  10. per Stan:
    Tranquillo… intendo una cosa sola…
    “Carne e ossa” dici… in fondo parlando di musica, come la intendono loro, se ci pensi, è una interessantissima metafora, inserita all’interno di una bomba sonora che ti consuma fino alle ossa appunto. La fame in fondo, è sempre tanta…

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