Un altro álbum costruito intorno a un jazz molto fruibile, è questo live di Enrico Rava registrato al Parco della Musica di Roma, dove praticamente reinterpreta le canzoni di Michael Jackson che diventano dei veri e propri standard. Rava è sicuramente uno dei jazzisti italiani più conosciuti all’estero e da moltissimi anni sforna dei bellissimi lavori; per questo motivo mi sono sorpreso quando ho sentito che riadattava i famosissimi pezzi del Ré del Pop, facendosi criticare da una certa stampa specialistica e dagli estimatori di una musica di ricerca, i quali vorrebbero che gli artisti affermati non escano dai territori intrapresi dopo esperimenti votati verso un’avanguardia importante. Io però, penso che un individuo debba ogni tanto divertirsi per provare quei piaceri che esaltino le sue doti interpretative, e come tali, debbano reintegrargli lo spirito con un tour dall’alto tasso di allegria. E’ vero, è un album molto piacione e godevole da qualsiasi parte lo si ascolti, ma proprio per questo non va condannato, anzi, va esaltato per la sua carica di elettricità contagiosa che ti trasmette.
Gli arrangiamenti sono del trombonista Mauro Ottolini, e praticamente si accostano ad una concezione musicale da Big Band, fresca ed esuberante. Fondamentalmente, considerando che questa operazione poteva essere piena di insidie, a mio avviso si è risolta benissimo, entrando all’interno di una dimensione concertistica dove sono sapientemente miscelati funky & soul, intorno all’improvvisazione jazzistica. Alla fine vince la melodia, ma il fine era questo: sostituire a livello polifonico le danze di un personaggio eccentrico quanto discusso (e mi vengono in mente le parole che a suo tempo Frank Zappa disse in riguardo a Michael Jackson: “…è talmente strambo da far apparire normale perfino me. Passerà certamente alla storia, non tanto per la sua musica o per il suo esibizionismo pacchiano, ma perché sono biodegradabili i chili di plastica che si è iniettato addosso…”). E il punto è proprio questo, riuscire a dare spessore ad una musica ingrassata di plastica, riempiendola di sola classe, amplificata con il giusto rispetto e portata sui palcoscenici nella sua essenza orecchiabile, ma nello stesso tempo classicamente pregevole, per la professionalità di come ci viene proposta.
Si inizia con “Speechless”, dove alla lentezza delle prime note prende corpo un piano ben disegnato per dare il là al proseguo di una tromba molto soffusa che arieggia intorno al tema principale, mentre man mano l’orchestra prende il sopravvento. Si prosegue con “They Don’t Care About Us”, ripartendo con un attacco minimale e misterioso, per capovolgerlo poi dentro al gioco ludico di un aria reggae curiosa subito sovrapposta dall’assolo di un sax tra il funky e il noise, fintanto che la tromba e il trombone si appropriano della scena. Inizia sotto le note vagamente latine il tema di “Thriller”, dove tutti gli strumenti fanno da apripista all’assolo di Rava, che troneggia imperioso sopra i passaggi di questo celeberrimo pezzo, per poi lasciare spazio al trombone di Ottolini dentro a ritmi forsennati. “Privacy” subentra pian piano, ma un accenno funky prelude l’assolo di un sax devastante, mentre la chitarra elettrica sciolina note intriganti che ricordano il Reggie Lucas al servizio di Davis o il John McLaughlin più ispirato. La trombe di Rava ritorna suadente intorno al tema di “Smile” (di Charlie Chaplin/Bourne Co.), unico pezzo esterno piazzato come un intermezzo, prima del fantasmagorico incedere di “I Just Can’t Stop Loving You”, costruito totalmente su una base ritmica molto accattivante mentre la tromba si ritaglia la sua parte e duetta con il resto dei fiati. Sembra di vivere in un film poliziesco prima che una chitarra pulsante si lascia andare divertita. Infatti la successiva “Smooth Criminal” prosegue sulla falsa riga di una colonna sonora cinematografica, ricordando le armonia di Nino Rota, così come la conseguente “Little Susie”. Il finale si concentra sul resto degli Hits di Michael Jackson, sintetizzati in “Blood On the Dance Floor” e “History”, variegati sopra dei funky fin troppo facili da ballare fino alla conclusione quasi marziale, per lasciare poi all’assolo del protagonista principale il suo degno bagno di applausi. Insomma, ci siamo divertiti e proprio per questo applaudiamo insieme i nomi dei suoi componenti: al resto dei fiati Andrea Tofanelli e Claudio Corvini, al trombone e alla tuba Mauro Ottolini, Daniele Tittarelli al sax alto e Dan Kinzelman a quello tenore, Franz Bazzani al keyboard, Giovanni Guidi al piano, Dario Deidda al basso, Marcello Giannini alla chitarra elettrica, Zeno De Rossi alla batteria ed Ernesto Lopez Maturell alle percussioni… Viva !!!!!!!
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