I Blues Traveler rappresentarono per me un’altra sbandata che, dopo anni di vuoto, arrivarono come una birra freschissima attesa dopo un decennio di aridità. Niente di nuovo certo, ma riuscirono in un momento di crisi a rielaborare la tradizione musicale americana, riportando una gioia nell’ascolto di certe sonorità ormai spente da tempo. Furono (sono… visto che suonano ancora) il ponte ideale fra le atmosfere sudiste degli Allman e dei Lynyrd Skynyrd e le cavalcate psichedeliche californiane dei Grateful Dead, giostrando su una innovazione convincente e su un perfetto bilanciamento con la forma canzone e la jam-session vera e propria. Furono i fautori del circuito H.O.R.D.E. una sorta di “carrozzone” itinerante che girò tutta l’America negli anni ’90 insieme a Band come i Phish, i Widespread Panic, gli Spin Doctor, la String Cheese Incident, i Bruce Hampton & The Aquarium Rescue Unit e la Dave Matthews Band, riscontrando un successo sorprendente e risvegliando nel pubblico un’inconsueto ritorno alle atmosfere hippy degli anni ’60, ma con la consapevolezza che ora la necessità era quella di ascoltare soltanto buona musica suonata divinamente. Ormai i tempi erano cambiati e come si disse: “non siamo usciti vivi dagli anni ’80”, però, la voglia di una innovazione musicale era fortissima e i fruitori si accostarono con entusiasmo a questi nuovi gruppi. E fra tutti i Blues Traveler erano quelli che riuscirono ad avere un’identità propria notevole, diventando i trascinatori del movimento. Ora fanno ancora buoni dischi ma le performance dei loro primi lavori sono irripetibili e rimane nell’aria quell’entusiasmo frizzante che riportò indietro nel tempo una nuova generazione di sognatori.
la ruggente voce del leader John Popper e la sua armonica folle, la forsennata e bilanciata sezione ritmica insieme alle insaziabili chitarre, formavano un ensemble che nelle esibizioni live raggiungevano l’apice di una sonorità devastante quanto accattivante, e il ponte fra passato e presente era stato lanciato senza macchine del tempo… tutti ballavano nella speranza di un futuro nuovo. Poi è arrivato il futuro e le aspettative si sono affievolite, nessuno ha preso il testimone o perlomeno nessuno ha cercato un’evoluzione diversa per continuare nelle novità, incuneandosi verso un binario morto… ma questa è un’altra storia. Rimane l’eco di quel momento irripetibile, un suono che si ode ancora quando arriva il caldo dell’estate, un sole necessario pronto ha risvegliare ogni desiderio di libertà nel torrido avvicendarsi della canicola; un’esigenza di vita nata nella voglia di ascoltare della buona musica senza troppi pensieri.
Il disco che consiglio per un primo approccio è il loro quarto lavoro: “Four” appunto, probabilmente l’album più fruibile, però, nell’accattivante alternarsi delle melodie, riesce a bilanciare spaccati hard-blues irrefrenabili con momenti di dolcezza alquanto orecchiabili. Più interessante invece il loro disco precedente: “Save His Soul”, che ben si integra con un pubblico più esigente alla ricerca di composizioni poco commerciali.
Ma chiaramente tutto questo risponde a esigenze puramente personali perché tutti i loro lavori sono di notevole interesse, e ognuno di loro contiene delle chicche da non perdere come quella dell’album Travelers & Thieves e precisamente Mountain Cry: grande pezzo della durata di 12 minuti che dal vivo si poteva allargare fino a 20. Cavallo di battaglia eseguito sempre con grandi musicisti quali, tanto per citare i più noti, Santana o Greg Allman, di cui sono memorabili alcune performance, come la coda che vi ripropongo in questa registrazione…
Come dicevo ogni loro album contiene sempre dei pezzi indimenticabili ma soprattutto, riescono a trascinarti dentro a questi orizzonti americani con una passione senza confini. La cosa bella è che all’apice del successo, non si sono fatti abbindolare dal music-business ma hanno continuato a fare la loro musica per il piacere di farla, per la gioia dei loro fans, per non avere mai compromessi con nessuno, e così hanno continuato… sempre liberi
Diconseguenza a me piace ogni estate ripercorrere queste cavalcate dove si riesce a percepire il vento, come se le note che passano fra i capelli, suonassero diversamente ad ogni passaggio insieme a rock-blues forsennati, dentro a funky-soul deliranti: armonica e chitarre, basso e batteria, voce da paura, emergono e si placano come un uragano. Tu sei all’interno del cuore e ascolti, vedi, sogni, partecipi e vivi come se fossi presente per assaporare poi, la quiete dopo la tempesta.
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Ognuno di noi si lascia andare, nei momenti in cui abbiamo bisogno, dentro il mondo dei propri desideri, e la tregua che ne esce è una pausa salutare per dimenticare anche solo per un momento, tutti i nostri guai… Salute !!!
il Barman del Club
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