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Probabilmente sulla dicitura “idee rivoluzionarie” qualcuno potrebbe storcere il naso dicendo: non esageriamo… ma uno dei più sorprendenti e creativi artisti americani è questo Doug Aitken. Promotore della Land-art del nuovo millennio è riuscito a riportare l’arte al pubblico e il pubblico all’arte, così come hanno sintetizzato i critici di tutto il mondo, sperimentando con le più recenti avanguardie tecnologiche e realizzando strutture cinetiche le quali,  insieme, interagiscono con l’ambiente circostante coinvolgendo i performer con gli spettatori. L’insiemistica delle espressività è tale da assorbirti completamente, da trascinarti dentro a spazi diversi senza perdere l’intensità dell’azione, anzi, l’arte così come la conoscevamo viene ribaltata, deistituzionalizzata, portata nei luoghi dell’anima e lontano dai paletti fisici, mentali, canonici, dove eravamo abituati a consumarla: “sono molto interessato  al fatto che un’opera ti possa prendere alla sprovvista, ti spiazzi e come reazione ti possa dare energia, calore, vita dove c’è vita, che ti trascini dentro a un dialogo, dentro a un luogo. Non mi piace per niente l’idea di guardare l’arte con una distanza e un atteggiamento difensivo, intellettualizzato”. Infatti non è casuale che tutte le sue opere riescono a concentrare spettacolo e funzione estetica insieme ai paesaggi che ci siamo costruiti intorno, o al contrario ciò che abbiamo ingabbiato viene liberato definitivamente.
L’ultima sua idea, per esempio, intitolata Station to station – A Nomadic Happening, nasce dalla volontà, attraverso un “treno insallazione”, di collegare le due coste (est-ovest) degli Stati Uniti con delle carrozze concepite come una scultura al neon in movimento, mentre i loro interni sono stati trasformati come dei set per performance di tutti i tipi a cui hanno collaborato e partecipato musicisti ed artisti mondiali di ogni genere: da Urs Fischer Ed Rucha, da Olafur Eliasson Kenneth Anger, da Meschac Gaba a Carsten Holler, da Christian Jankowski a Beck, da Ernesto Neto a Ritkrit Tiravanija,  da Lawrence Weiner a Giorgio Moroder e altri, tanti altri. Se poi consideriamo cha ad ogni fermata (in totale 10: New York, Pittsburgh, Minneapolis, Chicago, Kansas City, Santa Fe, Winslow, Barstow, Los Angeles-San Francisco) si sono svolti eventi di ogni genere con la collaborazione dei migliori musei d’Arte Moderna americani e altrettanti artisti, spingendo la cultura a contatto di ogni situazione sociale, riusciamo a concepire la volontà partecipativa di Doug Aitken nel voler, come una sorta di catena collettiva,  un’unione di tutte le creatività in mezzo alla gente comune, unendo le due coste del paese a stelle-e-strisce. Un progetto di arte pubblica reso possibile dal sostegno della Levi’s che raccoglierà fondi per supportare la programmazione dei musei di tutto il paese.

se andate a questo link troverete performance per performance alle varie fermate di un incredibile viaggio “coast to coast”

http://stationtostation.com

Ma Doug Aitken non è solo questo, soprattutto quando una sua opera emerge nei contesti meno abituali, o al contrario, interagisce con l’arredo urbano completandolo, trasformandolo, piegandolo alle proprie esigenze creative con il fine di uscire dai claustrofobici confini che ci siamo costruiti intorno. Da il Sonic Pavillon di Belo Horizonte (una costruzione ne architettura ne scultura, così come è stato ribattezzato, ma un dispositivo per ascoltare i movimenti della terrra; un padiglione di vetro nel mezzo della foresta  con un microfono sistemato a un miglio di profondità per ascoltare i “rumori del Pianeta”) alla facciata del MoMA a Manhattan, la quale di notte si trasformava in uno schermo interattivo dove venivano proiettate le immagini cittadine del giorno appena trascorso, trasformando l’intimità del proprio quotidiano in  una pellicola dove rivedersi e ricorreggersi, anche nei gesti più semplici, lasciando l’aggressività della metropoli dentro ai colori di un presente frantumato e ricomposto per la nostra coscienza collettiva. Niente è stabile ma è tutto in movimento come un film in cui ognuno costruisce la sua trama ideale, uscendone rigenerato, perché riuscire a portare un’area di deserto nella stanza chiusa di un museo, e viceversa il microcosmo di una stanza d’albergo nella moltitudine della storie di una grande città, in mezzo alle sue strade, si ottiene quella comunione fra la materia e lo spirito, tra l’altro con un insieme di immagini stupende: una bellezza alla portata di tutti, come le sue video-insallazioni, strumento e gioia, vita, poesia che non si può dimenticare perché libero prodotto dell’artista ma, al tempo stesso di tutti noi, in mezzo a noi.

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2012-10-20 Doug Aitken/LuMA Arles
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2012-10-20 Doug Aitken/LuMA Arles
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Station to Station  –  Coast to Coast  e  il viaggio continua…

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8 Comments on “LA POTENZA DELL’IMMAGINE – Doug Aitken: station to station

  1. e questa è quella che si chiama anche arte sociale. azioni in cui la gente è portata al coinvolgimento in quanto parte attiva. e credo una delle ultime possibilità per fare arte oggi, senza disperdere energie economiche e sociali.

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    • sono completamente d’accordo con te, anche perché così facendo non si circoscrive l’arte dentro a circoli elitari rendendola incomunicabile, ma la si libera per tutti, facendola diventare un’esperienza collettiva, esaltandola…
      Bellissimo !!!

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  2. lo so… bisogna correre e cercare i luoghi e le persone giuste che sappiano organizzare eventi di questo genere, In Italia intendo, e ce ne sono te lo garantisco, il problema è l’opposizione di politici poco ricettivi o la mancanza di sponsor illuminati che comprendano l’enorme contenuto sociale di certi esperimenti creativi, ancora troppo relegati all’interno di contenitori specifici. Spesso ci si concentra troppo su un determinato settore, come la musica per esempio, e invece la si potrebbe far coesistere con altre esperienze multimediali. Normalmente troviamo il concerto da un a parte e la “grande” mostra dall’altra, invece a mio avviso si dovrebbe coniugare le due parti facendole coesistere coinvolgendo gli spettatori. Parlo chiaramente di esperimenti moderni per uscire dalla logica del museo (quello c’è già e sta bene così come è concepito).
    Si, continuiamo a sperare…

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  3. Un artista eclettico come possono nascere solo in un Paese culturalmente multiculturale e culturalmente disinibito come l’America.
    Una curiosità. Io appreso di un’altra Venezia in California solo leggendo della sua vita.

    sheraquandol’ignoranzaspaziadaoceanoaoceano.

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    • tieni presente che essendo stata la terra d’emigrazione per eccellenza, ognuno portava il bagaglio dei suoi ricordi e dei suoi paesi, dando così il nome a una nuova città con l’illusione di ritrovarsi nel posto che avevano lasciato. Tra l’altro essendo un paese giovane senza Storia alle spalle, se la sono inventata come se fosse stata un’epopea. Questo però li ha facilitati nel campo artistico, perché non avendo quel bagaglio di classicismo sul groppone (e pesa, pesa, te lo assicuro… anche se si potrebbe dire che è un bel peso, (!)); essendo vergini insomma, hanno avuto la libertà di sperimentare ad un livello veramente anarchico, e i risultati si vedono. Certo, lo si fa anche da noi, ma spesso siamo vincolati da troppi condizionamenti (soprattutto nel pubblico) e si media con tutto. Non è casuale che i nostri migliori artisti sono più conosciuti all’estero, e via di questo passo…
      Un salutone !

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