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Le salite e le discese nel mondo della musica sono una sorta di percorso obbligato: il paradiso e l’inferno che si alternano come una roulette russa messa in atto nel mezzo di uno sterminato deserto. Sogni, esperienze, ricordi che non vorresti ricordare: ombre che ti perseguitano dentro e vengono impresse sulla tela del presente, accostate vicino a colori violenti nella disperata ricerca della sopravvivenza, nella suggestione emozionante di un quadro espressionista. Soltanto l’anima può entrare per diventare catarsi di un istante, salvezza ritrovata sulla scia dell’arte, come se il deserto di prima diventasse il teatro dove poter urlare, per avere in mano quella benedetta o maledetta pistola e sparare in aria, buttarla e prendere finalmente in mano il pennello o il microfono, o una chitarra, e usare la voce come strumento per spacciare la propria poesia.


Carla Bozulich ci racconta la sua di storia, nata nei sobborghi della periferia metropolitana: droga, prostituzione, umiliazione di un’adolescenza vissuta ai margini e poi resuscitata per uno di quei miracoli che ogni tanto avvengono, soprattutto quando è la musica ha darti una seconda occasione, con la consapevolezza che, avendo già conosciuto l’inferno, si possono incontrare solamente altri territori. Probabilmente, a volte, la fortuna arriva nell’incontrare una persona giusta al momento giusto, perché in un mondo sfregiato dai demoni, qualche angelo esiste e si lascia accarezzare donandoti la vita, e se vogliamo essere romantici: la salvezza.

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Una salvezza chiaramente nasconde tutto il retroterra della sua esistenza che, per una forma di autodifesa, diventa manifesto artistico dove liberarsi, spogliarsi dal peso enorme dei vestiti sporchi del sangue lasciato per strada. Carla nasce nel 1965 a New York e cresce nell’atmosfera frizzante del Greenwich Village. La sua è una famiglia appassionata di letteratura e di musica, soprattutto in quegli anni dove l’unione di queste idee erano viste come una vera e propria rivoluzione. Infatti, ad appena tredici anni, la nostra eroina si lascia infatuare dal sogno  on the road  e si trasferisce in California per inseguire, vagabondando, le utopie che i suoni dell’epoca trasmettevano. Però, una ragazzina di quell’età, era facile preda di individui senza scrupoli e di ambienti che promettevano la felicità, ma che invece nascondevano dietro una delle tanta maschere, i mille volti di Lucifero. Però (e lo ripetiamo per la seconda volta) come in un romanzo che da noir riacquista le sembianze del rosa, succede l’imprevedibile, un ragazzo s’innamora di lei, la porta in un centro riabilitativo per disintossicarsi, le fa ascoltare le sinfonie di Mahler e avviene il sopracitato miracolo: dopo il calvario, il sepolcro si apre e finalmente la farfalla diventa donna dinanzi a un mondo nuovo. Non è retorica dire che, ritrovando la luce, tutto viene visto con occhi diversi e con una maturità femminile fondamentale per il suo talento latente, il quale, aveva solamente bisogno dello spazio idoneo per potersi esprimere.

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La sua vera carriera passa così attraverso tutta una serie di band di culto: l’industrial ossessivo e techno-ambinet degli Ethyl Meatplow, l’eccezionale country-punk dei Geraldine Fibbers (parentesi straordinaria di visceralità all’arma bianca e di rivisitazione dalla tradizione americana in cui, la coesione di cavalcate alla Gun Club dentro a melodie tipo Creedence, sforneranno pezzi con un cantato travolgente, urticante, violento, dato appunto dalla voce di Carla, e dalle sue sulfuree interpretazione), di cui verranno pubblicati un live al vetriolo e due album capolavoro quali: “Lost Somewhere Between The Earth And My Home” “Butch”, ed è proprio con questo ultimo lavoro nato dall’arrivo di Nels Cline (futuro membro dei Wilco ma anche amante del jazz d’avanguardia) che, diventato marito della Bozulich, la porterà su percorsi alternativi. Nascerà così lo sperimentale progetto Scarnella (nome dato dall’anagramma dei due comprimari) dove echi dei Can convivono con atmosfere alla Tim Buckley, fino ad arrivare al più oscuro Nick Cave, immergendo il tutto dentro a sonorità spiazzanti e coinvolgenti al tempo stesso, come se la risposta improvvisativa coincidesse con la sua personale rivisitazione del rock. Chiaramente, gli ambienti free-jazz frequentati dal compagno e l’incontro con artisti ispirati tipo Dave Kendrick’s dei Devo, Lydia Lunch e il susseguente contratto avvenuto con la Costellation (casa discografica canadese nota per la scoperta di nuovi talenti vicino a nuove sonorità), non fanno altro che plasmare il sound di Carla Bozulich fino alla realizzazione dei suoi ultimi lavori: dalla tensione drammatica di “Evangelista”, passando poi per “Hello, Voyager”; “Prince Of Truth”; “In Animal Tongue”, fino all’ultimo e recentissimo “Boy”.

Ed è proprio in questo “Boy” che ritroviamo la trama di tutta questa storia, come se tanta letteratura e tanto vissuto fossero esorcizzati dalla stessa protagonista. Non è facile calarsi dentro a questi deliri dove il passato ridiventa il teatro della vita,  pagina scritta con le urla e i sussurri dove tutto si contorce: un intero mondo che implode e  collassa nella più oscura delle provocazioni. Vengono subito in mente Nico, Diamanda Galas e i già citati Lydia Lunch o il Cave più disperato, ma qui entriamo nelle interpretazioni della poesia dove il cantato supera la poesia stessa e si dilata nella sovrapposizione lirica della performance. Il cantato di “Evangelista” si ripete, spezzettato, marchiato a fuoco; l’esito dei suoi ultimi lavori diventa in questo disco sintesi dello strazio, un soul lacerato oltre il concetto di anima, un blues malato, provocatorio, mischiato a ritmi industrial che via via si spezzano da soli, insieme a recitati che scarnificano tutto il concetto di forma-canzone. Le varie tracce sono l’esasperazione della parola a discapito della melodia, l’incunearsi dei testi dentro a luoghi alieni, dove lo straniamento di un ascoltatore è il non riconoscere il paesaggio esposto, eppure, non c’è niente d’inventato; questa non è una favola costruita sull’orrore, ma lo scenario autentico dove l’orrore era la quotidianità.
“Amo la mia stupida vita, questo imparai da Mahler: che la bellezza e l’orrore si susseguono e si mescolano eternamente senza senso e senza scopo. Fino a che tutto questo non arriva alla fine”. Ma il finale non è ancora stato scritto perché il romanzo della vita è sempre in divenire, e l’ultima pagina, è sempre quella del giorno successivo.

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Il tutto è vissuto come la rappresentazione di una giornata qualunque, ma che in fondo non lo è affatto, in cui l’apparato scenografico si stringe e circonda lo spettatore dentro a un’asfissia claustrofobica. Non si riesce a rimanere inerti, si partecipa e ci si contorce insieme alle comparse che via via appaiono e scompaiono, anche se, come titolava un grande scrittore: a volte ritornano, perché i nostri fantasmi ormai, sono parte di noi e della nostra storia.

il Barman  del Club

Boy di Carla Bozulich

Carla Bozulich - Evangelista -

15 Comments on “CARLA BOZULICH – Boy

  1. …a tredici anni scappare di casa….davvero un angelo chi l’ha “salvata”….che storia….
    …e che musica, poi. Questo che ho ascoltato è come ben hai scritto:

    “…qui entriamo nelle interpretazioni della poesia dove il cantato supera la poesia stessa e si dilata nella sovrapposizione lirica della performance…”.

    grazie per questo post
    ciao
    .marta

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    • grazie a te…
      chiaramente bisogna necessariamente avere in mano i testi per calarsi pienamente in questa sua poesia, perché di poesia si parla, e coma tale va assimilata con le dosi, per così dire, intimamente giuste, per non esserne sopraffatti. Grande artista, anche se difficile e come ho già detto: letteratura prestata alla musica !

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  2. e musica prestata alla letteratura
    Che disco la nostra Carla! E dire che lei stessa lo ha definito “pop” e questo se si pensa a quello che si chiama pop oggi fa più ridere che sorridere. Splendide One Hard Man, Deeper Than The Well, Don’t Follow Me; splendide tutte ma io mi sono innamorato al primo ascolto di Lazy Crossbones. Amico barman per favore versami un bicchiere ed alza il volume, c’è molto da ascoltare.

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    • Visto che siamo su un “patibolo di velluto” andrebbe bene un Invisibile, ma siccome un barman serio non dovrebbe mai servirlo, ripieghiamo su una Tequila Bum Bum e sparatene quante ne vuoi.
      Intanto alzo il volume…

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