Nell’ambito delle letture estive, avendo avuto fra le mani in libreria questo volume con un titolo così intrigante (quasi a dire: perché non parliamo dei “locali” amici) e con una trama che invogliava all’acquisto, pensavo davvero di aver scoperto uno scrittore originale e soprattutto “nuovo” il quale, essendo pure poeta (la didascalia dice che è stato vincitore di numerosi premi prestigiosi), poteva interagire in maniera efficace con il contesto violento in questione, e per l’appunto vi propongo il riassunto scritto sull’aletta di copertina:
“Un Bar d’altri tempi, a pochi isolati dal ponte che unisce due città e due nazioni estremamente diverse, è al centro di sette storie collegate fra loro. Storie di confine, che sono a volte un muro invalicabile e altre volte una via di fuga. Due città che si guardano in faccia: negli Stati Uniti c’è El Paso, in Messico c’è Ciudad Juàrez. Considerata la più violenta area del mondo al di fuori delle zone di guerra, Juàrez è stata raccontata da Roberto Bolano ne “I detective selvaggi” e in “2666” con il nome di Santa Teresa. E’ anche protagonista, assieme alla città gemella, della serie televisiva “The Bridge”. Ma soprattutto è il teatro sconvolgente e drammatico di crimini efferati: una sterminata serie di omicidi di donne, oltre 4000 dal 1993, una imponente guerra fra i cartelli della droga che ha causato migliaia di vittime. El Paso invece, nonostante il nome spagnolo e i pochi chilometri di distanza oltre il fiume Rio grande, è l’America, è il Nord: un miraggio, uno specchio distorcente, un luna park. Sospesi tra questi due mondi che in realtà sono un oggetto solo, un esempio paradossale e perfetto dei conflitti che attraversano la società contemporanea, si muovono i protagonisti di Sàenz: uomini e donne, giovani e anziani, che cercano di vivere e di sopravvivere. Attraversando il dolore e il rimorso, la mancanza e il desiderio. lottando per trovare e mantenere l’amore, quello dei propri cari, di genitori che li hanno salvati o distrutti, degli amici con cui hanno trascorso il tempo, dei compagni e delle compagne di una notte. Tra loro c’è sempre una barriera, come fra le due città, che può essere reale o immaginaria, sancita dal sesso o dalla ricchezza, una linea che divide la luce dall’oscurità, l’abisso che separa il sano dal tossico. Ma al Kentucky Club, magari solo per una notte, queste divisioni sembrano affievolirsi. Tutti i protagonisti si guardano in faccia, si raccontano una storia e finiscono per bere un altro bicchiere. poi, se ce l’hanno, tornano a casa, attraversando di nuovo quel ponte, forse per non incontrarsi mai più.
Bene, con una premessa del genere pensavo di avere fra le mani un piccolo capolavoro, ed ero propriamente curioso di come lo scrittore avesse fatto interagire i protagonisti delle sette storie in un ambito così intrigante e ossessivo al tempo stesso. Ma purtroppo, come spesso succede, una premessa così alta ha deluso le aspettative. Le storie sono tutte fiacche, troppo personali e intimiste; l’ambiente circostante è lontanissimo anni luce dal terribile presente che avrebbe potuto generarle. Ma cosa ancor peggiore è la mancanza di presenza femminile: le donne infatti sono solamente un fatto marginale, quasi un sottofondo dove far parlare solamente gli attori maschili. Due amici, due adolescenti, padre e figlio, nonno e nipote, due avversari di quartiere e i vari coetanei della quotidianità. Ma come… e i fatti terribili e le sparizioni accennate nella premessa? Tutta la violenza di questi ultimi anni dove le donne appunto hanno spesso subito le più brutali conseguenze, anche dal punto di vista psicologico? Niente… anzi, spesso in tutto il romanzo non fanno una bella figura. Probabilmente fra le righe s’intuisce che l’autore è omosessuale, ma questo non dovrebbe essere un problema; il problema è la sua misoginia, il non far interagire come dovrebbe essere uomini e donne nel concatenarsi degli eventi all’interno di un ambiente, e lo ripeto, brutale e affascinante per la costruzione di un romanzo. Ma quello che delude ancor di più è l’aspettativa del titolo: il Kentucky Club appunto. Un luogo che un lettore si aspetta come il filo conduttore di tutte le storie. Niente di tutto questo. E’ solamente accennato, come a dire: andiamo a farci una bevuta là. Stop… tutto qui! No no non ci siamo, ma come (e lo ripeto per la seconda volta) e tutta la psicologia del locale, effettivo porto franco per un pausa? E le differenze personali delle persone fuori e dentro questo bar? L’antitesi e la dualità delle realtà opposte che dovrebbero raccontarsi sfogliando le pagine? E la forza che dovrebbero esprimere? Insomma, una delusione, soprattutto quando il tutto è circoscritto solamente nelle righe finali:
“…Ho sorseggiato il mio drink, ripensando a quanto aveva riso di me Tom la prima volta che avevamo bevuto qualcosa insieme. Che cosa sei, una ragazza che beve vino bianco? E così me ne sto seduta qui, a bere bourbon… Mi sembra quasi di sentire la sua voce quando mi raccontava del suo sogno. Eri seduta al bancone del Kentucky Club e cazzo, sembravi un angelo. Immagino me stessa seduto proprio lì, in quel locale, ed è vero, cazzo, sembro un angelo e lo sto aspettando, e poi immagino lui che entra e mi dice: “visto che è vero? Tutto inizia e finisce al Kentucky Club”. E io lo guardo, e rispondo: “no, non tutto. Soltanto i tuoi sogni”.
Ecco… tutto qui. Mah! penso che Sàenz debba continuare a scrivere poesie, perché i veri romanzi sono tutta un’altra cosa e bisogna essere capaci di scriverli. E sapete cosa faccio… cambio locale, questo non mi piace, ritorno al Sourtoe Cocktail Club, almeno giocando in casa, so cosa bevo. Salute !!!
La prima parte del post mi aveva già convinto ad acquistarlo, anche perché Sellerio difficilmente “toppa”. Poi ho dovuto ricredermi…
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infatti sono rimasto deluso anch’io, perché spesso non sbaglio. Quando infilo le mani in mezzo ai libri sento un brivido il quale mi dice che sono sulla pista giusta, però questa volta è andata male, nonostante il titolo e la trama intrigante… va beh, proverò con i romanzi di Bolano citati nella premessa, sperando in una sorte migliore. D’estate va bene anche così…
Grazie del passaggio!
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Stavi tentando anche me… poi ho cominciato a trovare i richiami a The bridge che per me è in assoluto la prima e unica serie che ho seguito con mooolto interesse quest’anno. Sembrava finitita magnificamente pathosa e incalzante e allora – voilà – scodellata la seconda serie ovviamente assai più fiacca.
Nel libro dici che le donne sono marginali, qui troviamo una Diane Kruger detective (e in sexyissimo Demián Bichir ) bravissima.
sheranontivogliolevarelascenauninchino-sì
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infatti la citazione a “The Bridge” nella premessa è una delle cause dell’acquisto (serie televisiva veramente molto bella) purtroppo però qui dentro non c’è niente di tutto questo, d’altronde sapevo che non era un noir, però speravo nelle intuizioni intelligenti dentro una trama intensa all’interno di un contesto veramente interessante. Niente! Delusione! Da queste parti ci voleva Ellroy, allora si iniziava a “leggere” veramente.
Alla prossima…
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