L’inizio del campionato di calcio e tutto ciò che ne consegue, mi porta a parlare di questo romanzo uscito quest’anno per Nutrimenti, una nuova casa editrice veramente interessante, soprattutto per il lancio di giovani scrittori che, al loro esordio letterario, lasciano intravedere delle ottime potenzialità per il proseguo del loro “mestiere”, e di cui mi prederò la briga di riparlarne in seguito, perché nel suo catalogo annovera dei titoli veramente interessanti e meritevoli di attenzioni. Il romanzo di cui voglio parlare oggi è intitolato La linea di fondo di Claudio Grattacaso. Sostanzialmente è la parabola umana e sportiva di un italianissimo Josè Julian Pagliara (nome cha la madre del protagonista gli diede in onore di Josè Julian Matri Pèrez, leader del movimento dell’indipendenza cubana) soprannominato “Freccia” per le sue qualità atletiche. Un autentico asso del pallone, una promessa entusiasmante per il mondo del football con tutti i requisiti per diventare un giocatore di successo. Il tutto stroncato dal fallaccio di un terzino “spolpacaviglie” che gli rovinerà la carriera, e lo costringerà dalla Serie A a vivacchiare in una squadretta di Serie C, in cui dovrà fare i conti suo malgrado con una brutta storia legata alle scommesse clandestine in cui sono coinvolti tutti: giocatori, allenatori, presidenti; l’altra faccia della medaglia insomma: un mondo marcio fino alle fondamenta dove niente è pulito e dove l’ombra del doping sarà ed è l’assassino silenzioso di molti poveri inconsapevoli appassionati. Chiaramente le vicende sportive s’intreccino con le vicende familiari e personali del nostro eroe, all’interno di un’infinita serie di fallimenti sentimentali, compreso il rapporto complicato con la sua unica figlia.
Il romanzo è scritto su diverse fasi temporali: la fase adolescenziale, vissuta insieme ai suoi coetanei nei campetti di periferia, tra le sfide fra quartieri dove verrà notato da un talent-scout; la fase del suo declino in cui si troverà a doversi scontrare con l’ipocrisia di chi non ha ritegno dei lati umani della vita; e la fase adulta dove, dopo aver appeso le scarpe al chiodo, cerca di ricucire quello che rimane di lui e dei suoi affetti perduti: famiglia, genitori, amici. Fasi temporali che si alternano per tutto il libro riuscendo a delineare una trama per niente frammentata, anzi, tutto l’impianto regge e coinvolge, delineando il senso della storia.
L’inizio del libro è veramente entusiasmante, nel senso che la scrittura coinvolge totalmente il lettore con una prosa ricca di lirismo e di sentimento autentico, attraverso le parole e i pensieri di “Freccia”: eroe dismesso in cui poesia, filosofia quotidiana, realismo e amarezza, conducono pagina dopo pagina alla curiosità di conoscere tutte le vicende susseguenti (o retroseguenti, visti i salti temporali). Però, queste incedere elegiaco alla fine stanca, nella parte centrale del romanzo si sente la necessità di un cambio di ritmo, soprattutto quando, nelle vicende del calcio-scommesse, del doping e delle intromissioni della malavita, il tutto non si può narrare con la nostalgia di un perdente, ma con il crudo realismo di ogni giorno in cui chi sbaglia paga e la sua redenzione deve avvenire con la forza e non con la confessione. Tra l’altro, queste vicende non vengono narrate cercando di capire il problema, ma sono solo accennate come semplice contorno di un quadro personale in cui, il lato umano risulta il principale detentore della sceneggiatura (se così possiamo chiamarla), e di conseguenza non emerge niente di originale. Si vuole sintetizzare troppo una parte importante della questione a danno di un’eventuale analisi che, con i giusti inserimenti letterari, potevano fare da corollario decisivo a queste problematiche consolidate in una “cultura” dell’errore, basata solamente al raggiungimento del dio denaro. Inoltre, tutte le fasi temporali cadono a mio avviso dentro a luoghi comuni prevedibili: nella fase adolescenziale c’è il classico amico “ciccione” e impacciato che, costretto contro la sua volontà ad andare a recuperare un pallone oltre una strada trafficata, viene investito da un camion e muore; morte che condizionerà la vita di tutti gli attori della vicenda: dalla sorella del defunto che diventerà poi moglie di Freccia, anch’esso inseguito dai fantasmi del senso di colpa (sarà proprio lui a costringere l’amico a recuperare “quel” pallone), come Aldo, l’altro amico del cuore, il quale non riuscirà mai a dimenticare questo antefatto tragico.
Insomma, certamente è un lato importante per tutta la vicenda, probabilmente il fatto principale, ma ripeto, sono troppi i colpi di scena prevedibili, anzi, è proprio la prevedibilità il difetto dell’insieme: mogli ammalate o depresse, figli e figlie irrimediabilmente lontane, genitori troppo superficiali, o come l’incontro col “famoso” terzino, autore del fallo fatale, soprannominato “Plasmon”, ormai ridotto (quasi ad una sorta di risarcimento morale) a fare il barbone nelle strade di Roma. Però… il finale è bellissimo, straordinario, a questo punto si cancellano tutte le eventuali incertezze di prima riuscendo a risollevarsi alla grande, e devo ammettere che ne sono rimasto veramente colpito. Solitamente è il contrario: una bella storia convincente e un finale dubbio, in questo caso c’è qualche dubbio centrale e un finale struggente, nel senso che riescono a confluire tutte le tematiche sentimentali del nostro protagonista senza nessuna banalità, risollevando con un colpo di maestria (che poi è il nostro più intimo pensiero) tutta la storia. Un’epica racchiusa nelle pieghe della nostra pelle, nei nostri respiri, nelle scelte che facciamo quando la vita ci scappa di mano e consumiamo troppo tempo per rincorrerla. E’ come se la poesia delle prime pagine, riprendesse il suo spessore fascinoso, dannatamente quotidiano, dando largo respiro a un’ipotesi e ad una scelta legittima, come se una seconda possibilità di redenzione, fosse nascosta sempre dentro noi stessi e in cui, fermarsi un attimo a guardarsi, nell’anima e nel cuore, non è una debolezza, ma una rinascita.
Io penso che Claudio Grattacaso: insegnante di Salerno, al suo esordio, avrà tempo per uscire allo scoperto come uno dei nuovi romanzieri emergenti: un’opera prima può anche possedere qualche difetto, ma le qualità della scrittura ci sono e si evolveranno sicuramente. Così, mentre tutti rimarranno per sempre schiavi del solito televisore a seguire uno sport pieno di compromessi, qualcuno, preparerà in silenzio la pagina successiva di un giorno a venire, la parabola ad effetto di una sfera di cuoio e del suo ultimo volo: “…non avevo voglia di inseguire la palla, era tempo di rimanere immobili e vederla perdersi oltre la linea di fondo…”
mi hai fatto venir voglia di leggerlo!!
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luci ed ombre, ma scivola via in un baleno…
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Questo libro pare confermare quello che da tanto penso, cioè che il calcio è una cosa per poveracci. E adesso lo mando o non lo mando questo commento? Lo mando ma non prendertela. Ciao.
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e perché dovrei prendermela: il calcio è uno sport bellissimo, come tanti e tante altre cose della vita, clamorosamente rovinate da noi umani, perché sarà sempre così, quando in un ambiente circolano troppi soldi, arrivano gli avvoltoi. Come il mondo della musica, per esempio, o il music-business se preferisci, dove intorno ad un epica potenziale, arrivano i faccendieri a comandare, e poi i sergenti, e poi i caporali, e poi…
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Ma no guarda, è proprio la mistica che circonda il calcio che non tollero. Che i soldi guastano ci sta. Vale per la musica, per il cinema, l’editoria e persino per le banche, pensa te. Che sia uno sport bellissimo non ne dubito, ma immagino lo siano anche altri, soprattutto per chi li pratica. Sarò io, però è da quando ero bambino che associo il calcio alla messa e alla televisione e queste ultime arrivi da solo a capire cosa evocano.
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Tutti gli sport sono potenzialmente belli: atletica, ciclismo, sci, e potrei andare avanti all’infinito… Io da bambino invece, tutto questo agonismo l’ho sempre vissuto come qualcosa di epico, dove divertimento e sfida convivevano in maniera entusiasmante e forgiavano la propria crescita; però attenzione, niente e nessuno si tramutava da esempio per il giorno successivo. E’ questa la differenza: da adolescenti spesso si equivoca trasformando i propri eroi nella sbiadita fotocopia di un utopico avvenire. Io mi volevo divertire e basta, senza troppe paranoie (la televisione, la messa e chissà chi altro), poi, finita la particella o il salto in alto o la maratone paesana, la vita continuava nelle giuste direzioni, ed era tutto più genuino. Se volevi giocare a pallone, bastava mettere per terra due maglioni a simboleggiare i pali delle porte, e giocavi; se passava un’auto ti fermavi e poi riprendevi a giocare. Ora se non vai nelle scuole-calcio e paghi la retta non giochi neppure nell’atrio del tuo condominio. I tempi cambiano, la società cambia, la mistica cambia, Però ricordati che è proprio l’alone mitico che a volte vivifica un’evento… come nella musica ! Se poi a te questa “mistica” non piaceva, nessun problema, c’era altro, e penso che ognuno di noi la trovi. in fondo lo ha detto anche Guccini: “gli eroi son tutti giovani e belli…”
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E’ proprio qui che la vediamo all’opposto. Per me è sempre stato l’opposto dell’epica. E mi accorgo ora, mentre ti rispondo, che come esperienza acustica l’ho sempre trovato orribile: i cori, la voce incalzante dei cronisti, i fischietti. E i botti e le urla e i cori di nuovo (brrr…) Che “piccole storie ignobili”.
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ci sono “piccole storie ignobili” che vanno raccontate e altre che si tengono per sé. In fondo, quando l’epica continua sempre in divenire: dai fumetti adolescenziali, fino ai romanzi di Ellroy (tanto per citare il primo nome che mi viene in mente), perché la vita spesso è tutto e il contrario di tutto, come il “calcio”, dove pensi che 22 uomini corrano per sudare davvero e invece sono soltanto d’accordo per falsare la partita. Però se pensiamo sempre in negativo non ci salveremo mai, per questo passare dalle “piccole storie ignobili” alle “proprie radici” vuol dire essere fedeli a se stessi e alla consapevolezza che, se nelle copertine gli eroi son tutti belli (e forse giovani), nelle pagine interne ci sono e ci saranno sempre milioni di uomini “normali” che fanno e faranno la storia, e a loro va bene, e andrà sempre bene così…
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