Anche per quest’anno il programma autunnale del Gruppo Acàrya è riuscito a proporre tutta una serie di serate interessantissime legate ai territori della poesia e dintorni. Salmo a sera infatti, è il titolo dell’opera prima di Lorenza Auguadra, presentata il 26 settembre con la partecipazione di una compagnia di attori.
Lorenza di mestiere fa la sindacalista e sostanzialmente qualcuno si sarebbe aspettato delle liriche battagliere o perlomeno, una sorta di fusione fra sociale e risposta dell’anima; in realtà tutte le tematiche vengono filtrate e decantate all’interno di un tessuto narrativo molto intimo, in cui l’autrice, liberata totalmente dagli ingombranti pesi della quotidianità, si lascia andare e si confessa mettendo a nudo la sua parte più vera. Svela in un certo senso l’altra parte di sé, quella che qualcuno potrebbe chiamare “la metà oscura” ma, in questo caso, il buio è solamente la solitudine delle pareti domestiche dove l’autrice non cerca scappatoie o vie di fuga ma, risposte alle domande che la perseguitano, perché in fondo, la sua ricerca letteraria è un continuo dialogare con se stessa e con la sua metà che le appartiene, in cui luce e oscurità coesistono senza distinzioni di sorta e vivono abbastanza per generare la loro introspezione. Si viaggia in un certo senso sul confine che separa la poesia dalla preghiera, una preghiera laica d’accordo, ma sempre mantenuta viva dalle riflessioni della poetessa, la quale, spogliatasi dai panni della barricadera, concentra il suo pensiero per depositare i frutti delle sue offerte, per sentirsi, nelle ore notturne in cui si conclude una giornata frenetica, finalmente devota alla sua libertà. Sono frasi che si elevano e che nello stesso tempo fondono fra di loro ogni tipo di barriera, quasi a comporre e scomporre con un gioco ad incastri, la costruzione spesso ostinata di ogni percorso, e dove, i labirinti che si ergono fra uno scorrere e un a-capo, svelano a suo modo l’uscita nascondendo il loro filo d’Arianna nelle parole stesse: mattoni apparenti, ma talmente trasparenti da sembrare un gioco.
In un primo impatto le sue liriche non sono facili, ma non esiste ermetismo dentro a queste pagine, si concentra invece una parola molto meditata, profonda, a tratti spezzettata, segnata da ritmi dispari, da tonalità sviluppate dentro ad accordi strani, che si isolano per poi unirsi poco alla volta, come se lo spartito (continuiamo a usare la metafora musicale) si fosse costruito pensando, prima al verso finale e soltanto poi quello iniziale.
Lorenza a volte si nasconde dentro la sua stessa creazione: figlia e madre nello stesso tempo, come se nell’universo della sua femminilità: secca, uniforme, lacerata, a volte dura e a volte ambigua, si evolvesse un’altra figura di donna, una donna che si ferma a guardare oltre i confini delle sue pareti e dei suoi giorni in cui, nel silenzio della sera, con il suo credo, si sentisse finalmente riconosciuta come tale.
Contrari uguali
Muovo lo specchio
che dietro ti riprende
sono il nero delle stagioni perse
il bianco fiore
dei tuoi lunghi rami
l’acerbo frutto aspro
al palato di miele,
sono il diverso che subito spaventa
l’opposto che si attrae
che quando alla notte il verso depone
più ti somiglia si fa uguale.
Figlia
Perché non laceri le carni
se le acqua hanno già rotto
gli argini? Come la finzione
di un prodigioso stare
– minuta verità – ti osservo
dal duemila e sento di averti
cercata senza semina.
Avresti il viso scavato di lacrima
e una stagione opaca,
come un pensiero senza un risveglio
o un rimasuglio di desiderio.
Fra poco
Avviene avviene la morte
se non mi dai ascolto
nottambula del sogno triste
perché il calice miracoloso dell’incontro
si è spezzato al crocicchio della nostra imperfezione.
Maledetto il folletto che s’è curvato
sul balsamo del dopo, come un ladro
ha rubato i profumi macchiato i colori.
E’ il fiore dell’incontro che vive la sua agonia –
oggi no forse, hai ancora i pugni
contro il mio viso, ma fra poco vieni
prima che la sua corolla stramazzi
gema ai bordi dell’universo.
La stanza
Vorrei procedere adesso nella stanza
a luce soffusa il tatto delle cose,
di ieri il fuoco la fuga l’abbandono,
tra bocca e cuore ricucire la trama
delle ferite, gli strappi ricongiunti
nella sutura dell’età più adulta
l’eterno della croce senza condanna
di noi madre, uccelli feriti al suolo
amate amanti da noi stesse indurite
d’orgoglio fatiche e pudore
per non ammettere che fu solo amore.
Vedovanza
Tutto è il tuo canto rimasto per strada
a volte fiamma di stelle a volte
più banalmente dolore
dura poco questo attraversamento
che in principio sapeva di lento viaggiare
rotaie di treni senza lamento.
Ora son pagine fitte scritte di attimo
attente al passare di te che fosti
e di me a guardare dai finestrini
amine di silenzio in odore di vento
nei lievi declivi dell’ultima stazione.
Vita a scadenza
Inquieto e improvviso di tanto
mi prende il pensiero di te
vociare fra stanze di ieri
tu che sai dell’andare minuto
verso il niente malgrado.
Un sentiero la strada la vita
di troppo di nulla, un passare
sbiadito di sguardo e respiro
e parole di tempo invecchiato
d’inutile tratto terreno, né io
col mio fiato ho potuto
cucire le ali al tuo sogno finito
Testi di Lorenza Auguadra
Illustrazioni di Svetlana Bobrova
Incantata dai versi, rapita dalle immagini.
Grazie
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come sempre grazie di passare e fermarti sempre nel mio locale…
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Non so dire.
Leggere a così tarda ora appollaiata davanti allo schermo non è la condizione migliore per assaporare qualcosa di nuovo e anche di non immediato impatto.
A domani alla luce del giorno.
sheramentreilmondosidispera29gradiamezzodì
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la poesia non è mai stato un prodotto facile: la devi sentire dentro e non sempre riesci a codificare il suo messaggio. E’ una questione di contatto… quando s’instaura, allora entri nel mondo di chi l’ha scritta, altrimenti rimane un pianeta alieno e come tale si isola.
Buona domenica intanto…
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Ciao Barman…
Belle poesie!
Ora anche tu puoi entrare se vuoi nel mio blogghino privato.
Ti aspetto…
Lucia
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Club Privé ho capito…
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