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Visto che la pioggia insiste e anticipa questo clima autunnale, l’ultimo album di Chris Eckman si inserisce nel filone di dischi acustici in cui la poesia, le storie decantate con la propria intimità, l’introspezione lirica e la ricerca dei silenzi della propria anima, diventano l’ideale ascolto per una meditazione raccolta, a volte vicino alla melanconia,  altre volte semplice desiderio di isolarsi, per ascoltare quello che ti porta il vento, appena… prima di fuggire e perdersi, con i pensieri, oltre l’orizzonte. Sembrerebbe un discorso banale, ma è quello che si prova ad ascoltare queste tracce e queste canzoni completamente immerse nella sua ambientazione.  Territori infiniti, desertici, che in questo caso diventano ideale e sublimazione di storie personali, decantate nella più completa solitudine: asciutte come il luogo che le ha generate e talmente vive da apparire come la sceneggiatura di un film.

Harney County è l’omonima contea, quasi disabitata, al confina fra Nevada e Oregon, la quale è l’esatta incarnazione di un paesaggio americano idealizzato come l’ultima frontiera, in cui, un immaginario western, o un luogo dove fuggire dal caos, o l’immaginazione che cerca una pausa prima di trovare l’ispirazione, diventa in questo caso l’espediente letterario per raccontare e raccontarsi. Non è casuale che il nostro vagabondo è stato spesso in questo luogo, identificato come quella povere in cui ci perdiamo come ultimo disfacimento, ma che proprio da essa si deve ricominciare. Travels in the Dustland era infatti il titolo dell’ultima, bellissima fatica dei Walkabouts (la creatura che per più di vent’anni ha accompagnato la musica del suo gruppo: icona di nicchia per gli amanti della buona musica), e questa coda acustica sembra appunto la continuazione lirica delle sue impressioni. Lo stesso autore, tra l’altro ci dice che si era interessato a questi luoghi leggendo gli scritti di William Kittredge e in particolar modo “Owning It All” dove tragedia e bellezza si alternano e si equivalgono, e dove il crudo fascino del paesaggio diventa un tutt’uno con i sogni falliti dei protagonisti. Racconti che Chris Eckman ha poi variegato con il suo mondo interiore, interagendo con valori autentici della vita, ma se in “Travels” il paesaggio era disegnato in una maniera più astratta e in un certo senso, mitico, in questo caso è tutto visto a rasoterra, come se la polvere fosse proprio parte di noi e delle nostre storie: sue in questo caso.

harney county 4

Harney_County_2Harney County 

E’ chiaro che nei luoghi dove la natura è la padrona dei destini degli uomini, le persone sono soltanto l’ombra di se stessi dentro un tessuto narrativo aspro ma ugualmente eloquente, come se il perdono delle proprie azioni, fosse non una penitenza ma una moderazione del linguaggio musicale, per dare corpo alla poesia che lo circonda, per dare peso alle parole che lo raccontano. Già con il lavoro solista The Last Side of the Mountain (stupendo album dedicato al poeta sloveno Dare Zajc), si evidenziava il suo stretto contatto con la poesia, e in questo nuovo contesto ci si muove altrettanto bene, anche se dal deserto del Mali (con l’altro interessantissimo progetto: Dirtmusic) spaziamo ora in un altro continente con altrettanti respiri. Poesia sopra poesia insomma: “…un silenzio che non è vuoto / una cecità che non è buio / siamo diretti a sud / fin dall’inizio / (…) / e ci stringiamo i morti / ma alcuni sanno ancora respirare / sì / ci stringiamo i morti / e alcuni sanno ancora sognare…”  

In fondo, quando si riesce a dialogare con i fantasmi che vanno e vengono dentro e fuori il proprio cuore, tutto converge per ripercorrere idealmente un cammino fatto a stretto contatto col binomio uomo-natura: espediente necessario per ripetere il proprio percorso interiore. Ecco che ogni testo si integra con la narrazione spostando il baricentro sulle vicissitudini degli altri, come se le desolate-ballad si spostassero momentaneamente al di fuori solamente per fuorviare, perché fondamentalmente e in senso trasversale, si parla solo di se stessi.

Tutta la scaletta è intrisa e costruita con un tono quasi confessionale, e ogni pezzo riesce ad amalgamare i luoghi con le anime che li abitano,  come se anche i sassi avessero il loro bisogno di dialogare. Ma la capacità di Chris Eckman è proprio quella di riuscire a far scivolare le parole come se fossero acqua; non c’è asprezza in quello che si percepisce, ma una melodia facinosa che accarezza prima l’aria e poi il volto e poi se ne va così com’era arrivata: “…ci sono fantasmi lungo il confine/ e altri sono andati via prima di loro / e anche se io so che non sei ancora pronto / bisogna ricordarsi di ricordare / (…) / poi il conducente si è fermato / a spento i fari e ha detto: / voi due è meglio che uscite a camminare…”    E noi potremmo anche uscire a camminare, ma intanto ci adagiamo ad ascoltare questo  disco unico, semplice e bellissimo.
Probabilmente qualche nostalgico avrebbe sentito con piacere nei controcanti la voce di Carla (l’altra parte dei Walkabouts), ma è giusto ogni tanto calarsi nella propria solitudine ed essere capaci di cantarla, perché non lo dico soltanto io, ma fermarsi ogni tanto a meditare, è la medicina necessaria delle nostre giornate: il buio e la luce che fanno parte di noi, e solo noi, possiamo trovare l’equilibrio che le ha generate.

il Barman  del Club

chris eckman 2Chris Eckman

14 Comments on “HARNEY COUNTY – Chris Eckman

  1. Ciao barman, Chris Eckman ha ormai una storia tale da meritare una lunga e approfondita retrospettiva. In un tempo non lontano personaggi come lui davano lo spunto per riflessioni, scoperte e quando andava bene influenzavano le correnti artistiche (o Artistiche, dipende dagli esempi). Oggi si prende tutto con noncuranza e una bonaria superficialità che trovo più offensiva del rifiuto o dello sberleffo. Ma forse i tempi che stiamo vivendo daranno ragione a chi viene da un gruppo che aveva scelto come nome Walkabout!

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    • hai azzeccato il punto della questione… in questi ultimi anni si pubblica a ripetizione di tutto e di più, con l’esito di lasciarsi alle spalle prodotti bellissimi come questo senza che nessuno se ne accorga con la dovuta attenzione, o perlomeno, lo si gusta e poi velocemente si passa a quello successivo. Anni fa, come dici tu, le retrospettive erano il fiore all’occhiello delle riviste musicali, e noi appassionati aspettavamo la loro uscita proprio per approfondire l’argomento nato da un certo disco, esaltato dal cantautore di turno. Oggi esiste un mordi e fuggi sbagliato come se il risultato finale fosse proprio l’impressione superficiale e basta. Internet offre tantissimo, ma spesso è soltanto una ricerca di “gocce” quando invece c’è un oceano da scoprire per parlare di un protagonista. Probabilmente a Chris Eckman piace proprio l’Harney County per isolarsi da questo caos che ci circond
      La retrospettiva? Si, si potrebbe fare…

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  2. Non è da oggi che “si prende tutto con noncuranza” a dire il vero, la superficialità non è l’ultima novità ma è vero che parlare di qualcosa in modo dettagliato è un sistema splendido per farsi tagliare fuori.

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    • Esatto… se mi metto a parlare, e anche bene, di un personaggio, rischio di non essere letto da nessuno, perché questo mordi e fuggi legato molto all’immagine immediata e basta, è una delle prerogative degli internauti, e come tali non vogliono perdere tempo in chiacchiere: solo “cinguetii” e basta. Correre… correre… è questa la parola d’ordine !!!

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  3. Ho nostalgia di quando si analizzava un testo di Dylan (dico Dylan per farla breve ma succedeva con tanti) fino a sprofondare nel ridicolo a furia di cercarvi chissà cosa, si arrivava alla follia! Ora però è peggio. Eckman mette in musica Dare Zajc? Bene, bravo. Come avesse fatto un cazzo però. Manco viene in mente di ricordare De André/Masters o magari Branduardi/Yeats, figuriamoci un Cale/Dylan Thomas. Ci fosse stato un rompicoglioni che si fosse alzato a dire che no, quelle musiche non sono adatte al respiro di Zaic (mica che sarebbe stato da applaudire ma almeno sarebbe stata una reazione). Chiaro che serve il nome grosso, ipotizziamo Vasco Rossi canta i testi di Campana (brrr, devo ricordarmi di stare leggero a cena) farebbe scalpore. Sì, ma per quattro giorni, poi tutto finito. Quando Cooder, che è Cooder ha fatto il disco cubano la cosa ha avuto un seguito, è vero; ovvero: per metà mediatico (pubblicità, in pratica), per metà di grandi elogi per i grandi musicisti (ma chi li conosceva, ma chi mai aveva la preparazione musicale per poter fare queste affermazioni?).
    Il problema che le cose che “devono essere fatte” oggi convivono con quelle che non hanno alcun motivo per esistere e queste ultime sono una massa informe che soffoca tutto. Ieri la lotta era tra l’arte “libera” e quella puramente commerciale ma guardandole oggi con un occhio revisionista pur mantenendo intatte le riserve che potevamo avere sull’una e l’altra, dobbiamo ammettere che avevano entrambe un loro senso ed erano espressione e testimonianza dell’epoca. ALT. Chiedo scusa per l’immane pippone, considera questa mancanza di netiquette una ribellione ai “cinguettii”. Dammi da bere,và, che ho la gola secca.

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  4. Pingback: I MIGLIORI DISCHI DEL 2014 per il Sourtoe Cocktail Club | Sourtoe Cocktail Club

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