E’ ormai da anni che Paolo Benvegnù, dopo gli inizi con con il gruppo degli Scisma, ha intrapreso un’eccellente carriera qualitativamente interessante, e questo Earth Hotel pubblicato nel 2014, rappresenta sostanzialmente una piacevole sorpresa; non tanto perché le parole “sorpresa” o “piacevole” non potevano appartenergli, anzi, ma perché nel controverso panorama italiano questo album spicca proprio per la sua fruibilità, e nello stesso tempo, per il suo valore che supera il termine di “musica leggera”, o di “musica facile”, per appropriarsi uno spazio di diritto nel panorama della canzone d’autore. Infatti, anche la lingua ha il suo valore importante, e bisogna riconoscere che non è facile cantare con il nostro idioma, riuscendo a trasudare non tanto, emozioni immediate, ma dei testi poeticamente eccellenti, che possano essere funzionali alla musica stessa, senza perdere mordente come spesso succede, o viceversa. Soprattutto quando le tematiche dell’amore, con tutti i suoi risvolti, dalla carnalità più intensa a quella più introspettiva, vengono descritti con un’originalità veramente fuori dal comune, o perlomeno, scendono a diretto contatto con la letteratura, e scusate se è poco. Così come testi più impegnati, legati al presente o alla nostra normalità, sempre tracciata con un ironia e uno spiccato gusto del sorriso anche amaro, senza mai arrivare all’invettiva, con un sound molto godibile.
Chiaramente l’inserimento di ritornelli in inglese, come in questo caso, rappresentano forse un ibrido nella funzionalità dell’insieme, ma è proprio in quest’insieme che emerge il valore delle parole. Per esempio il titolo: quest’Earth Hotel che si può tradurre in molti modi, come se il mondo fosse strutturato nella simbologia di un edificio costruito su moltissimi piani: 12, per l’esattezza, come il numero delle tracce dell’album, e in ogni piano troviamo le varie emozioni, le varie divagazioni, le varie abitudini, le varie problematiche e le varie lacerazioni che ci appartengono, ogni giorno, ogni attimo di vita, ogni momento in cui ci rivolgiamo a guardare il mondo, anche dall’alto di un edificio. Il panorama è variegato, ostinato, affascinante e opprimente a seconda dei casi, in cui, i rimbalzi con gli interni riflettono la nostra libertà e il nostro disagio, il nostro desiderio di fuggire o di restare, come sulla soglia dell’ultimo piano: “…dove siamo qui / c’è un sole bellissimo / e avevi ragione tu / non c’è niente in fondo alle cose / non c’è niente / soltanto disperazione / fuga, incantesimo e mistero / eppure è tutto vero / anche se qui non c’è niente / eppure è tutto vero”. Eppure, come sempre succede, quando inizia una fine, siamo sempre pronti a ricominciare, come se l’amore fosse proprio un insieme di scale dove salire e scendere per poi inoltrarsi in ogni direzione nelle sue numerose stanze: clienti occasionali o abitudinari, o semplicemente vivi come parte integrante dell’edificio.
E allora… partiamo dal primo piano in poi “…fai l’amore dentro di me / così che possa usarti / come tregue e limite / esperienza e crimine /…/ e le parole sono pietre ambiziose / vizio di forma innaturale / grondano miele nel vuoto assurdo / siderale…” Nel secondo invece “…t’insegneranno cose che non serviranno mai / t’insegneranno ciò che non vorrai / consegnerai il tuo corpo alla dolcezza / cercandoti senza trovarti mai / nel crimine che adora l’innocenza…” Al piano terzo “...abbiamo aperto una porta / democraticamente / la seduzione si compra e si vende come ogni cosa / Abbiamo aperto una porta / per risarcimento / come l’inquisizione nel seicento / e voi siete caduti dentro…” E così, continuamente fino al sesto “…dove volete andare? / non avete da mangiare? / non avete da sognare? / Sia il desiderio / e Cristo che mente / per poi precipitare / per trovare il senso / per giurare il falso /…/ Caino respiro / non sapeva dove andare / per trovare un senso / per stupire il branco…” Ma già al settimo “…spuntano i bucaneve / e corrono le autostrade / senza nemmeno dirsi addio / L’alibi degli scacchi davanti a una finestra / tutto ciò che resta…”
Si sale, si sale, come se un vuoto d’aria ci portasse continuamente in alto, pensando di trovare la soluzione, pensando di toccare il cielo, ma si precipita, continuamente, e ogni volte si ritorna da dove eravamo partiti: quarto, quinto, sesto, ottavo… tutte canzoni che cercano una pausa, come il nono, il decimo, perché “…cos’è la vita, se non amarsi? / Cos’è la vita, se non proteggersi? / Cos’è la vita se non cercarsi /…/ e non chiedermi nulla / perché non saprei rispondere / perché è tutto un mistero da non rivelare / perché tutto ci parla senza farsi vedere…”
Eppure “…se è vero che ogni sguardo precede l’intenzione / allora il pensiero è insufficiente / che cosa nascondiamo nella mente? / vedi bene soltanto ciò che vuoi vedere / e lasci il resto all’imprudente / chi ha perso tutto non ha timore di niente…” E se il timore dell’undicesimo ritrova la dolcezza, al dodicesimo “…come sai / ora ho molte più domande /…/ come sai / vivo come mi hai insegnato / non importa se non esco mai fuori / per dipingere i muri / per immaginare /…/ Non lo sai / e non lo saprai mai / e ho capito che non devo avere niente / per credere a tutto / per immaginare / che esiste un tempo per la verità / un tempo per la gioia / un tempo per la solitudine e la noia /…/ Dimentico tutto a lancio coltelli / verso una visione / e manco il bersaglio / Tuo figlio è pazzo / si è perso nell’inconsistenza di tutto / si è perso nel mondo che ha osato cercare / ma sorride a tutti / sta bene con tutti / E la fine del mondo / e ti vengo a cercare…”
Sono tutte microstorie dentro una storia sola, che continuano: stanze isolate ma irrimediabilmente collegate come appunto quelle di Hotel, collegate dall’amore, dall’errore, dall’ossessione di perdersi anche negli spazi ristretti di quattro mura, protette dal vento ma non dagli uomini. Poi, come ogni sera, guardiamo fuori dalla finestra e incrociamo gli sguardi di altre persone, perse nei loro mondi lontanissimi, anche se allungando il braccio potremmo toccarle, invitarle a parlare, invitarle a sognare, invitarle ad amare.
Le tue recensioni, anche quando aiutate da liriche che parlano da sole (ma se tu non ce le sottoponessi…), hanno una loro poesia nella poesia.
Ho lavorato per anni in un hotel commerciale, a contatto con centinaia di vite che si intrecciavano tra loro, con la mia, che rotolavano e si precipitavano da piano a piano, da camera a camera, a volte anche da un letto all’altro. Alcune passavano come fantasmi, altre supplicavano sedute analitiche comprese nel soggiorno. La mia era una finestra in posizione privilegiata, da cui ho potuto godere tra le più belle vedute esistenti: quelle su questa nostra bizzarra razza umana. E mi manca.
Certo è che quando allunghi il braccio dalla tua finestra riesci sempre a coinvolgerci e a smuoverci dentro. 🙂
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wow ! Chissà quante storie, aneddoti e coincidenze ci potresti raccontare !!!
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se il mercato non fosse già saturo ed io un po’ più abile nella narrazione, ne uscirebbe un libro 😀
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Momix mi è piaciuta molto.Tu molto convincente e professionale maPaolo voce e immagine al momento lo trovo mooolto più attraente. Cattivi pensieri al la dodicesima potenza.
sherannriescoaessereseriasietetuttitropposeri
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😉 Va bene… allora tengo da parte una chiave, puoi sempre incontro del suo Hotel !
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“incontrarlo”… scusa.
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Però vieni anche tu xche io sono un pochino timida.
sherapiovetroppoxessereseria
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…e se poi Paolo non c’è?
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a Momix invece rispondo che dovrebbe provare a scriverlo lo stesso…. anche poesie… e sarebbero moto originali. Non c’è miglior scuola che la propria vita vissuta in prima persona!
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Complimenti per come hai descritto questo gioiello di cantautorato moderno! E su un versante più Pop, vorrei segnalarti il recente “Egomostro” di Colapesce, altro esempio di parole+musica da antologia
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andrò a sentirmelo… grazie !
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Hai una cultura musicale impressionante. Leggo e assorbo. Complimenti.
🙂
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è solo passione… anch’io assorbo da altri !
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