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Di questa splendida serie televisiva ideata e sceneggiata da Charlie Brooker ve ne ho già parlato: sia della prima stagione che della seconda, autentici capolavori d’intelligenza creativa, autentici specchi della nuova società prossima ventura. Ma se i nuovi specchi dell’era moderna sono quelli dei monitor che ormai circondano la nostra vita, come potremmo regolarci con i nostri sentimenti? Difficile rispondere… ma è proprio inseguendo queste ipotesi, che il critico televisivo inglese, propone degli interrogativi i quali lasciano il segno. La bellezza di questi episodi, sin dagli esordi, è tutta racchiusa nella loro sintesi: tutti autoconclusivi, nello stile dei celeberrimi “ai confini della realtà”, quasi a proseguire quell’eredità importante che ha cambiato per sempre le regole del piccolo schermo legate al colpo di scena finale. Non è casuale che negli anni ’80,  in Inghilterra proseguirono con un’altra serie tradotta in Italia con il titolo “il brivido dell’imprevisto”, in cui, ogni episodio, lasciava sempre lo spettatore con quel senso di smarrimento e di attesa fino all’ultimo minuto: dove si svelava con una sorpresa letale, tutto il gioco della trama. Un po’ come fece prima Alfred Hitchcock in America, e poi, sempre negli Stati Uniti, a varie riprese, fino al 2007, con la messa in onda dei “master of science-fiction”, titolo probabilmente non azzeccato, forse troppo pseudo-documentaristico, perché i bassi ascolti non lasciarono il segno sulla loro programmazione, eppure vi lascio il link del primo episodio intitolato “Una fuga perfetta” perché è assolutamente da vedere, talmente è fatto bene nella sua drammaticità: un capolavoro d’intuizione e suspence, dal risvolto terribilmente psicologico.

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Forse è proprio a  questa tradizione che mi sono legato: agli episodi autoconclusivi appunto, in cui, non esistono serial che, per il loro  poco seguito, sono soggetti a interruzioni drastiche. Infatti, io sarò particolare nelle scelte, ma mi sono sempre innamorato di soggetti unici, poi interrotti dopo la prima stagione, vedi Fashforward”, per esempio, o “Touch”, poi sospesi, per i bassi ascolti, lasciandomi con l’amaro in bocca; o al contrario, per via del loro successo, interminabili sequel che ingarbugliavano il seguito della storia fino all’inverosimile non sapendo più cosa inventare: vedi Lost, per esempio, e altre con questo trend.

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Fortunatamente è arrivato questo Charlie Brooker, che si era già fatto conoscere con il fanta-horror “Dead Set”, divagazione del solito filone dell’epidemia di zombi-carnivori, che però è variegato con un idea sorprendente quanto geniale, i protagonisti sono infatti i partecipanti del “Grande Fratello” con tutti i loro stereotipi: il belloccio, il muscoloso, la svampita, la troia, l’omosessuale, l’impresario scemo  etc… gli unici che si salveranno dall’epidemia, proprio perché rinchiusi nella “casa”, e saranno proprio loro i depositari di quel che resta dell’umanità, se riusciranno a sopravvivere ai loro difetti.
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Fortunatamente dicevo… si perché, successivamente con Black Mirror, è riuscito proprio lui: produttore e caratterista, a calarsi nella parte dell’autore originale, come aveva già fatto intendere, ideando e sceneggiando qualcosa di veramente unico. Inutile ripetere che le due prime stagioni, del 2011 e del 2012, fatte di tre episodi ciascuna, sono dei capolavori inarrivabili, a tal punto che sembrava non volerne più farne altri. Poi la sorpresa del 2014, con l’episodio unico “White Christmas”, quasi a voler fare un regalo di natale ai sui fans, fino al 2016 con questo nuovo proseguimento con 6 episodi, dove, il nostro presente è sostituito o alterato dalla tecnologia, a tal punto che la realtà non sarà più quella che vediamo.
Probabilmente penserete che tutto questo lo viviamo ogni giorno: giusto… è proprio così, ma le ossessioni di queste storie sono narrate con un sarcasmo e un amarezza devastanti, in cui, ogni autocritica diventa un’accusa senza speranza, e quando c’è: la speranza, questa è vista come un sogno virtuale che sparisce al semplice click del polpastrello. Impossibile cancellare quello che ci sta intorno, perché il colore del cielo è stato sostituito da quello di questo specchio nero, dove non vediamo più la nostra vera immagine, ma quella che vogliono farci credere che esista.

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Il primo episodio, “Caduta Libera” (Nosedive), è probabilmente il meno riuscito, anche se l’idea iniziale è carina: una società dove, con delle lenti speciali poste sopra le cornee, si possono vedere le valutazione, con un punteggio che va da 0 a 5, che ogni persona riesce a raggiungere, a tal punto che ogni movimento della vita è vincolato proprio da questo punteggio: lavoro, banche, mutui, abitazioni, amicizie, accesso nei luoghi di svago, ecc… ecc… Valutazioni che ogni abitante segna e toglie reciprocamente all’altro in base alle proprie impressioni e simpatie, utilizzando il proprio cellulare. Ne risulta una continua finzione: un’ipocrisia infinita fra tutti, per essere più in alto possibile nella scala sociale. Non è casuale che la protagonista: una bravissima Bryce Dallas Howard (figlia del regista Ron Haward) è disposta a tutto pur arrivare al massimo punteggio ma, come s’intuisce dal titolo, qualcosa le andrà storto, e la trama diventa prevedibile, innescando quella che sarà un’escalation banale, la quale, si risolleverà qualitativamente soltanto nelle scena finale.
Diretto da Joe Wright, e sceneggiato da Rashida Jones e Michael Schur, rimane soltanto un aperitivo per iniziare a seguire gli episodi successivi.

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Il secondo episodio, infatti, è già di una caratura maggiore. Sceneggiato e diretto da Dan Trachtemberg; interpretato da Wyatt Russel e Hannah John-Kamen e intitolato “Giochi pericolosi” (Playtest), s’insinua in quella che chiamiamo realtà virtuale, o se vogliamo: videogame di ultima generazione, in cui, un giovane turista rimasto senza soldi, accetta di sperimentare per ricevere un compenso  dopo aver risposto a un annuncio pubblicitario. In questo caso il gioco ad incastri dei colpi a sorpresa è veramente eccezionale, sviando ogni intuizione che può avere lo spettatore nel presagire l’accaduto, perché il confine tra finzione e reale si annulla completamente dentro alla vulnerabilità della mente umana.

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Il terzo episodio: “Zitto e balla” (Shut Up and Dance), riflette una realtà ormai attuale, legata al fatto che siamo tutti sotto controllo, o peggio ancora, di persone senza scrupoli che s’inseriscono nei nostri dispositivi (PC e telefonini) per ricattarci. Un’intromissione della privacy senza esclusioni di sorta, in cui, i protagonisti di questa storia ( interpretati da Jerome Flynn e Alex Lawther) sono vittime allo sbando, inghiottite dentro a un domino infinito che, tutto quello che sembra una punizione, in realtà è una bieca soddisfazione racchiusa nell’amarissimo finale.
Diretto da James Watkins e scritto da Williams Bridges, mantiene una carico di suspence molto realistico, senza perdere mai l’intrecciarsi degli eventi.

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Il quarto episodio diretto da Owen Harris e guardacaso scritto da Charlie Brooker, è uno dei più riusciti. Intitolato San Junipero, analizza tutta una serie di tematiche importanti come l’eutanasia, o meglio ancora, se si può annullare il concetto di “morte” e parlare di eternità senza scomodare la religione. Inoltre, se aggiungiamo l’amore fra le due protagoniste interpretate da Guru Mbatha-Raw e Mackenzie Davis, scopriamo che di carne al fuoco ce ne tanta, all’interno di una sceneggiatura dolcissima ricca di filosofia e poesia. Personalmente mi ha fatto venire in  mente il romanzo di fantascienza “Oltre il limite” di Robert Silverberg, in cui, se è possibile vivere dopo la morte, spetta sempre e solo a noi, questa radicale decisione, come se tutto l’universo fosse un piccolo elemento nato dalle nostre mani, e non da un qualunque dio.

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il quinto dal titolo Gli uomini e il fuoco (Man Against Fire), con Michael Kelly, Malachi Kirby e Madeline Brewer, è un altro episodio dalla psicologia molto accentuata verso molti livelli di percezione, in cui, per combattere meglio un probabile nemico, bisogna alterare la sua visione originaria, perché più si avvicina alla concezione di “mostro”, e più gli uomini saranno disposti ad ucciderlo. Risente di un qualcosa di già visto, però il finale è talmente particolare da farlo diventare ricchissimo di contenuti, perché sia colui che l’ha diretto: Jakob Verbruggen, che lo sceneggiatore: sempre Charlie Brooker, riescono ad alternare adrenalina e umanità con un equilibrio perfetto.

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L’ultimo, Odio infinito (Hated in the Nation), è il capolavoro del lotto, anche questo scritto da Charlie Brooker e diretto da James Hawes, con una bravissima Kelly MacDonald nella parte dell’ispettrice che deve risolvere un intricato caso di omicidi in cui, le persone più odiate poste in cima a una lista che appare in un social-network, sono uccise in un modo particolare. Praticamente in questo futuro le api sono sostituite da dei piccolissimi droni per continuare la loro funzione di impollinartici  (quelle vere si sono estinte), ma un anonimo ingegnere riesce a manipolarle a tal punto che, sostituendosi al software dell’azienda che le produce, le utilizza come arma. Questi piccolissimi insetti, infatti, sono riprogrammate per entrare nelle cavità del malcapitato (naso, orecchi, bocca) e perforargli il cervello, a tal punto che basta una sola ape per raggiungere lo scopo.
Anche in questo episodio (più lungo degli altri nel minutaggio) la serie dei colpi di scena è eccezionale, e il ritmo serrato della sceneggiatura fa trattenere il respiro fino all’ultimo fotogramma lasciando senza fiato lo spettatore, perché se qualcuno si vuole sostituire ai giudici, in realtà, nessuno si accorgerà che un piccolo tasto del computer potrebbe diventare la mannaia del boia, ribaltando continuamente la concezione di vittima e carnefice.

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La vita… la nostra vita è ormai regolata dai mezzi tecnologici, dai nuovi media, dalle vibrazioni delle suonerie, dalle fotocellule, dai followers o dalle visualizzazioni di un evento: spesso insulso, spesso insignificante per una nostra evoluzione. Ma soprattutto e tutti, questo specchio nero dove ogni cosa è possibile, dove la finzione si è sovrapposta alla realtà, o peggio ancora, dove non si distingue più l’inizio dell’una e la fine dell’altra.

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Se poi a tutto questo aggiungiamo la manipolazione della genetica, le nano-tecnologie, la perfezione della robotica e altro ancora, dobbiamo domandarci quanto tutto questo possa cambiare per sempre il concetto di “esistenza”, sia nel bene che nel male, e soprattutto se tutto questo sarà utilizzato per scopi sociali utili, Stiamo arrivando al punto di poterci sostituire a qualsiasi creatore, talmente siamo capaci di adoperare il cervello ma, se il bene e il male saranno dei concetti apparentemente contrapposti, cosa succederà quando questa parte di noi sarà cancellata? Noi siamo fatti sia di “luce” che di “ombra”, e tutto questo continuerà fino a che le stelle continueranno a brillare. Poi è chiaro, io sto scrivendo da un computer che ha la possibilità di esser visto in ogni parte del mondo, e allora perché demonizzare un elemento nato dalle nostre capacità? Niente paura è solo “fiction” e come tale continuerà a esistere insieme a noi, proprio noi che ora andiamo a farci tutti insieme una bella bevuta.

Salute ragazzi…

il Barman del Club

35 Comments on “BLACK MIRROR – terza stagione

  1. Siamo finzione sovrapposta a realtà o, come spero, riusciamo ancora a distinguerci…
    Mentre vorrei una quarta serie possibilissima visto che gli episodi sono tutti distinti, ma nello stesso tempo mi piace restare con questa assoluto pienezza senza pecca.

    sheranienteneveeneppuresipaventaxilprossimofuturo

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    • non è soltanto interessante, io penso che sia una delle cose migliori fatte in questi ultimi anni. Se ti piacevano gli episodi tipo “Ai confini della realtà” (come ho detto), siamo su quella linea all’ennesima potenza. Poi è chiaro, ti deve piacere il filone fantascientifico, perché se sei un fanatico del neorealismo, allora siamo dalla parte opposta. In fondo anche questa è realtà, ma alterata dalla tecnologia… Io te li consiglio, certo ci sono episodi eccelsi e altri più prevedibili, ma il livello è sempre alto. In rete li trovi senza problemi… uno te lo avevo già consigliato (!)

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      • seguirò volentieri il tuo consiglio, sì ricordo, guarderò sicuramente qualche episodio e poi ti dirò che ne penso ma a naso tendo a fidarmi dei tuoi suggerimenti.

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  2. ti dico i titoli dei migliori, poi è sempre questione di gusti (anche se come ho detto sono tutti di buon livello) – Della prima stagione: “Messaggio al primo ministro” e “Ricordi pericolosi”. Della seconda stagione: “Vota Waldo” e “Orso bianco”. Anche l’episodio singolo “White Christmas” è ottimo e di quest’ultima: “San Junipero” e “Odio universale”.
    Buona visione…

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  3. Ci sono diverse serie che vorrei vedere ma, grazie al business in cui è precipitato il piccolo schermo (abbonati di qua, abbonati di là, abbonati a destra, abbonati a sinistra…) ne boicotto parecchie. Per fortuna, in alcuni casi, funziona anche lo streaming, nonostante la mia linea adsl sia veloce quanto una tartaruga in pensione. Terrò presente. Grazie.
    😉

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  4. Beh, che dire? Hai già magnificamente detto tutto. Posso dirti che anche questa volta sono d’accordo con te.
    Non sono un’amante delle serie TV (troppo abituata al film, se comincio a vedere una puntata che mi è piaciuta, dopo non mi stacco più fino alla fine), ma questa di Black Mirror è veramente bella come poche altre.

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    • a me non molto, o più che altro, si poteva interagire sulla proseguo della storia (che nasceva da una bellissima idea) cercando una deriva finale meno prevedibile, però, risulta senz’altro piacevole. L’attrice è bravissima!

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  5. Pingback: BLACK MIRROR – quarta stagione – Sourtoe Cocktail Club

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