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Devo fare un passo indietro, per riparlare di questo gioiellino del 2016 che avevo messo nei migliori dischi dell’anno, ma che, liquidato con una scheda veloce, può essere passato inosservato ai più; eppure, è un vero e proprio capolavoro, una di quelle perle appoggiate nell’affollato mondo musicale di oggi e lasciate brillare finché luce vivrà. Purtroppo in questi anni 2000 succede spesso che ottimi album vengano liquidati velocemente per il continuo sovrapporsi di continue proposte, e le case discografiche non investono più come si faceva in passato su nomi o gruppi, tenendoseli stretti e lavorando promozionalmente su di loro. Ormai con la rete non conviene più e il risultato è un abbassamento qualitativo, soprattutto per la mancanza del supporto tecnico di produzione, almeno nei fattori di costruzione di un album vero e proprio. Inizialmente gli artisti si fanno conoscere con lavori autoprodotti, per poi pubblicare una volta venuti alla ribalta con l’etichetta di turno che li vuole lanciare, ma anche in questo caso le nuove scelte di mercato sono legate a un mordi e fuggi continuo, ripetitivo, insistente, vorticoso, che fa bruciare le tappe a chiunque, pronti ad essere sostituiti da un nome successivo, tanto, sia le incisioni approssimative che la relativa pubblicità ha appiattito la proposta generale. Ormai è tutto regolato dai social-network e come tali hanno cambiato la fruizione o il modo di concepire l’ascolto musicale. Non è assolutamente vero che una volta si faceva musica migliore, casomai non esiste più una “scena” che rappresenti un movimento, ma una volta avvenuta una rivoluzione è normale che ci sia la degustazione dell’avvenuta apertura mentale che dura tutt’ora, almeno in quelli che vogliono masticare a colazione musica e qualità.


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E’ il caso di questo ragazzotto di Leesbung in Virginia, classe 1992, Will Toledo all’anagrafe il quale, con i fidi compari: Ehtam Ives, Andrew Katz e Seth Dalby, mette su un gruppo e registra nel corso degli anni tutta una serie di album autoprodotti, esclusivamente per il piacere di suonare, in cui, una radice sixties e new-wave filtrata attraverso gli anni ’90, si plasma e si ritrasforma sotto le sue idee e dentro alle storie degli adolescenti di oggi, eternamente in conflitto con il mondo e con se stessi, ma prontamente riscattati dalla prepotenza delle chitarre e dai testi espliciti, soprattutto quando si vuole percorrere una strada almeno nuova negli intenti inspirativi, o perlomeno, sperimentali, pur rimanendo attaccati alla realtà americana.

The Tonight Show Starring Jimmy Fallon - Season 4

Succede che notati da una major vengono messi sotto contratto regalandoci questo “Teens of Denial” che, come ho già anticipato, è stata un’autentica sorpresa emersa dal calderone di cui sopra, come una vera e propria pietra miliare di questo decennio; splendidamente uscita dal passaparola di internet, per ricomporsi sotto le luci di una ribalta diversa. Succede che il sound si rigenera sempre partendo da una eco nineties, per autografarsi nel 2016 e crescere notevolmente attraverso cavalcate che sintetizzano sbronze, scazzi e problematiche giovanili, senza paura di essere retorici, perché l’età che ci insegna cos’è veramente la vita, è sempre uno spartiacque da cui ci siamo passati tutti, ed è giusto farne una letteratura; d’altronde, ribaltando la situazione, chi non vorrebbe ritornarci per vivere una seconda giovinezza?
Si dice che ogni generazione ha bisogno di un disco rock per autoidentificarsi e per sentirsi rappresentato dentro tutte le sue derive, sia di genere che di condizione, perché sono anni che ci rimangono dentro e come tali non si dimenticheranno facilmente, e la musica è da sempre stato un inno per urlare al mondo questo impeto di ribellione.

In “Teens of Denial” non c’è un attimo di pausa, non c’è una caduta di livello, non c’è nessun riempitivo per allungare il brodo, ma un continuo alzare l’asticella delle proprie convinzioni. Ritornelli orecchiabili che via via diventano sferzate nevrotiche supportate da un incedere quasi marziale, giusto per alternare le varie fasi del racconto emotivo, senza la paura di uscire da minuti prestabiliti, ma liberi di esprimersi senza remissione. Ecco che già dal pezzo di apertura: “Fill In The Blank”, si percepisce l’urgenza espressiva fatta per accontentare la propria enfasi regalandola ai possibili fruitori; ma è con la seconda traccia: “Vincent”, che si alza il livello per costruire un singolo a tutti gli effetti, fatto di ritmi sincopati e rimandi speculari con la sezione ritmica che supporta i ritornelli via via ripresi e stravolti per ogni gran finale. Ed è  in questa genuina libertà che tutte le susseguenti canzoni si evolvono per raggiungere un climax sulfureo fatto di rabbia e sudore tipicamente spontaneo, come se il passaggio dall’adolescenza a un’idea di futura maturità, fosse lì da venire proprio sui riff delle chitarre impazzite : “Destroyed by Hippie Powers”; “(Joe Gets Kicked Out Off School For Using) Drugs With Friends (But Says This Isn’t a Problem)“; “Not Just Waht I Needed”; “Drunk Drivers/Killers Whales”; “1937 State Park”; “Unforgiving Girl ( She’s Not An)”; “Cosmic Hero”; sono titoli espliciti prima delle apoteosi conclusive: “The Ballad of the Costa Concordia” e “Connect the Dots (the Saga of Frank Sinatra)”; che riflettono tutta la loro propensione a fregarsene delle etichette. Voce sgraziata, irruenza chiassosa, testi diretti sempre più incalzanti dentro a un rock’n’roll per niente derivativo, anzi, se qualcuno di voi potrà sentire gli echi dei Pavament, dei Cars, di Johnatan Richman, di Conor Oberst, o addirittura come ha detto qualcuno dei Talking Heads, sono solamente dei riverberi, cuori pulsanti nella mente di un giovanissimo interprete.

Sostanzialmente, se prima di questo album, Will Toledo scriveva i suoi pezzi seduto nei sedili posteriori delle automobili, con la spavalderia e la gozzoviglia di una nottata senza fine, per godersi i suoi vent’anni e per gioire insieme alla sua musica, ora, passato lo spartiacque di un momento importante come questo, dentro a un godibile susseguirsi di urgenze espressive: semplici, spavalde, sincere; con tutte le dinamiche tipiche sia dell’età che della libertà di parlare a voce alta; è riuscito nella non facile impresa di farsi sentire a quel mondo che riteneva contraddittorio e che ora lo potrà ascoltare con attenzione positiva, perché fatto un primo passo così eclatante, con il secondo, tutti si accorgeranno di lui. In fondo, se un disco rimane per un mese di fila nel mio lettore, lo classifico sempre un gran disco, non tanto perché io mi ritenga colui che potrà decidere i destini degli uomini (perché i gusti sono sempre personali), ma perché la valenza della musica di qualità si percepisce all’istante e non ti stanca mai. Questo giovanissimo interprete ha tutte le carte in regola per diventare l’adulto nascosto nei retroscena delle sue liriche, e probabilmente, ci saranno ancora automobili dove  registrare i propri sogni alcolici, o dove sintetizzare le acide vicende della quotidianità, ma aperti i finestrini per svegliarsi e guardare verso un altro orizzonte, saranno tanti i panorami della vita.

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Chissà perché “Teens of deniel”  mi ha fatto venire in mente il film “Fandango”, dove lo sconclusionato viaggio  on the road, dei ragazzi protagonisti per disseppellire una bottiglia nascosta sotto la sabbia anni prima ai confini con il Messico, era diventato un’iniziazione alla vita per il timido di turno. Ma allora c’era di mezzo la guerra, l’amore, la fuga da una civiltà schiava dei suoi errori, mentre ora, stappata la bottiglia, non ci resta che bere insieme a loro, nonostante gli errori continuano ad esserci, nonostante la guerra e l’amore non smetteranno mai ad alternarsi insieme ai nostri sogni.

Allora la bottiglia era un Don Pérignon, mentre ora, vista la mitragliata di indie-rock, l’ideale bevuta e una sequenza senza fine di Tequila Bum Bum… giusto per esorcizzare la guerra, giusto per esaltare l’amore !

il Barman del Club

tequila-bun-bum(le foto sono tutte prese dal web)

27 Comments on “CAR SEAT HEADREST – Teens of Denial

  1. Sei un grande! Super dettagli per ogni articolo, cosè se qualcuno non è informato, tu sai dare ogni particolare.
    Sicuramente da conoscere e ascoltare questo gioiello, come tu lo definisci.
    Tequila Bum Bum, anche sì… per stasera !
    Buon fine fine settimana, barman preferito 🙂

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  2. se ci sei ritornato su, è perchè in quel momento non eri predisosto a tanta grinta di classe in tanta giovinezza evidete… a volte ci si confonde con un pensiero che è piu’ legato alle presunte scopiazzature dei “vecchi” che a quel non so che, che in molti giovani esiste di nuovo ma non si nota… subbbito! non è tanto l’esperienza ma la bravura di riuscire a distinguersi non ti pare ? e poi KEXP la sa lunga riguardo al saper marcare e puntualizzare. Finche il canto continuerà ad essere in prima linea su tutto, e la musica farà da scudo, stai pur certo che di bottiglie sotterrate se ne disotterreranno ancora. 🙂 e ci aggiungo anche 5 chupito… la tequila … sono allergica uffa!!!!! (facciamo 6 và! ) 12 anni almeno o non è cosa !!! ciao 🙂

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    • certo certo d’accordissimo è proprio così, io sono convinto che in tutte le espressività artistiche c’è sempre stato è ci sarà in ogni dove quel continuo rinnovarsi prendendo spunto dai precedenti maestri, e poi si sa, la gioventù è un terreno fertilissimo per la propria creatività, e sfruttare al massimo questa esuberanza darà sempre risultati in divenire, con gli interessi aggiunti…
      Vada per i chupito |||

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  3. Ti trovo contraddittorio, prima dici che questi dischi sono il nuovo ordine dopo la rivoluzione, poi dici che sono la ribellione.

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  4. Ecco. Già l’intento di esorcizzare la guerra, in ogni sua manifestazione, non è cosa da poco. Per il resto, mi presto all’ascolto!
    😉

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  5. Non seguo molto la musica di oggi, dovrei avere molto più tempo libero e soprattutto molte meno passioni di altra natura e tempi, ma ti assicuro che questo gruppo mi è molto piaciuto, mi sono ritrovata a seguire le contorsioni e variazioni strumentali come ai tempi che so dei Minutemen, dei Thin White Rope ecc. Forse quella che mi piace meno è proprio la voce del cantante, che risuona bassa e poco vibrante nell’insieme musicale.
    Comunque veramente bel gruppo, come sempre bella la tua recensione e bevuta di botto una buona tequila. Grazie.

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    • si è vero, la voce è un po’ sgraziata e dovrebbe migliorarla: speriamo, perché ha talento, e potrebbe regalarci in futuro delle chicche interessanti. Poi certo, se mi citi gruppi che amo come i Thin White Rope, allora hai colto nel segno delle mie scelte… Vedremo come si svilupperanno per il futuro.
      Per il momento salute a te e grazie di passare da queste parti !!!

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  6. certo 🙂 se come gravata ho utilizzato una loro bellissima copertina, è proprio perché sono rimasto affascinato dalle loro canzoni e dal loro sound…
    Grazie ! Oggi è sicuramente una bellissima giornata !!!

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