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Con la band di Steve Wynn ho sempre avuto un rapporto particolare, perché in un certo senso di sogni e di sindacalisti la mia vita ne è sempre stata piena; ma in realtà c’è stato un momento particolare in cui le loro schitarrate hanno rappresentato per la mia crescita e il mio susseguente futuro, un qualcosa d’importante. Si perché, c’è stato un momento della mia esistenza dove è avvenuta una tragedia: per qualche anno non ho ne più ascoltato e ne comprato dischi. Vuoi situazioni familiari, vuoi situazioni ambientali, vuoi altri fattori e soprattutto un abbassamento della qualità musicale stessa di quel preciso momento, in cui ho avuto uno stacco radicale da questo mondo. Poi un giorno, come risvegliato da un coma profondo o da un sonno criogenico dove mie ero volontariamente cacciato, ecco che passando davanti ad una edicola, notai la copertina di una rivista musicale (la posso anche citare: l’allora “mitica”, e sottolineo ancora “l’allora” , Mucchio Selvaggio), ebbene, non so perché ma ne fui attirato e lessi l’articolo che parlava del primo disco solista, appunto di Steve Wynn, leader dei Dream Syndicate. Comprai il vinile e mi piacque moltissimo, a tal punto che mi precipitai a ricercare disperatamente tutti i precedenti lavori di questo gruppo che si era da poco sciolto, bootleg compresi. Fu proprio un’attrazione fatale! E’ vero i primi due loro album: “The Days of Wine and Roses” e “Medicine Show” sono straordinari, ma fu con il loro disco dal vivo: “Live at the Raji’s” che personalmente raggiunsi l’estasi dell’orgasmo per anni abbandonato. Impazzii letteralmente e il bell’addormentato (beh.. bello, insomma) da quel giorno fatidico non si è più fermato. Non ci sono stati baci di principesse o belle gnocche a risvegliare quel fatidico sonno, ma le note di questo gruppo californiano, alfieri del Paisley Underground.

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Potete capire cosa ho provato quando ho saputo non solo di una loro reunion (tra l’altro già avvenuta qualche anno fa), ma della pubblicazione di un nuovo disco. Fondamentalmente potremmo aggiungere che la carriera di Steve Wynn non si è mai fermata, alternando album strepitosi a mezze cilecche, quasi a ribadire che la sua egemonia sul resto della band era praticamente totale, e che i membri della stessa avevano un’importanza relativa se consideriamo l’impostazione del suo stile, però, se in questo “Hou Did I Find Myself Here?” sono presenti tre membri originali: il già citato leader alla chitarra, Dennis Duck alla batteria, Mark Walton al basso (anche se era presente nel terzo e quarto album e non nei primi due), con l’aggiunta del giovane chitarrista Jason Victor; allora, uno sguardo al passato va dato, considerando che Steve ha voluto anche campionare la voce di Kendra Smith (nella formazione del primo disco) proprio per omaggiare la loro storia.

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Va anche detto che in un’intervista di qualche anno fa, in relazione alla reunion dei Velvet Underground, Steve ebbe non poche paroline dolci, criticando quella scelta, e aggiungendo che se mai un giorno si fosse trovato a riunire i suoi sindacalisti, probabilmente sarebbe stata la fine della sua vita, perlomeno artistica, ma in realtà, viste le sue ultime esibizioni, di fine ce ne ben poca, anzi… Però, però aggiunse un’altra frase importante: disse che quando aveva vent’anni, voleva protestare per quei quarantenni che facevano rock’n’roll, e ora che lui aveva raggiunto i quarant’anni, il rock, lo facevano ancora i sessantenni. Una frase emblematica quanto mai profetica, perché ora che anche lui è vicino ai sessant’anni, continua a fare rock’n’roll, come prima e più di prima, divertendosi, senza fermarsi, sempre coerente con le sue idee.

(photo by Matt Condon / @arcane93)

Che dire allora? il Rock mantiene per sempre giovani? Beh… ascoltando questo vien voglia di crederlo veramente, anche perché chi vive di questa musica non solo lo considera un lavoro, ma un’autentica passione che per forza di cose ti fa vivere in eterno un momento della nostra storia, dove una rivoluzione è diventata sinonimo di libertà da ogni consuetudine. Basta aver voglia di suonare (e di ascoltare)….. In fondo da sempre, gli artisti, sono degli eterni adolescenti, vitali quanto basta per morire con la chitarra in mano, e anche dopo un’eventuale dipartita, nessuno se li “scorda”.

(photo by Matt Condon / @arcane93)

Scusate se ho divagato prima di recensire questo gioiellino, perché come avrete capito, per me rappresentano tanto, sia affettivamente che musicalmente, e forse sono troppo di parte per spendere due parole sul loro conto, ma tant’è, quando ci si trova fra le mani un disco che finalmente risplende come trenta e passa anni fa, allora ragazzi qui pullula la classe pure e la capacità di rinnovarsi senza remissione. Probabilmente quei forsennati selvaggi che cavalcavano chitarre distorte, psichedelica acida intrisa di punk e melodie ubriache di lirismo, ora sono meno credibili di allora, ma la voglia di suonare rimane sempre la stessa, come la voglia di creare.

Hou Did I Find Myself Here? è un disco particolare, perché inizia in maniera distesa con due pezzi d’apertura: Filter Me Through You Gilde, tranquillamente appartenenti a un repertorio più cantautorale, anche se si percepisce subito il bel lavoro di produzione (la vecchia conoscenza Chris Cacavas insieme a John Agnello), che dona a tutti gli strumenti una limpidezza straordinaria, soprattutto nelle chitarre, le quali si possono distinguere e percepire ambedue anche negli accordi minimali, così come, nel seguito del disco, quando, si alza il volume fino all’inverosimile. Ed è proprio dal terzo e quarto pezzo: Out of My Head e 80 West, che il clima si riscalda con assoli distorti e valanghe di riff continuamente sovrapposti, tanto per non dimenticare i vecchi tempi quando questi sindacalisti erano veramente degli animali da palcoscenico. Like Mary è una dolce pausa ripescata dal passato, per mettere in evidenza la carismatica voce di Wynn, forse troppo camuffata nelle tracce precedenti. Ma è con The Circle (a mio avviso il pezzo più bello), che si raggiunge la vetta compositiva: un crescendo senza fiato di pulsioni sferraglianti, che nelle versioni live sarò sicuramente un’apoteosi di suoni ed assoli senza fiato. La susseguente title track di 11 minuti è costruita sopra un tessuto di ritmi e controritmi, in cui un caos calmo ondeggia miscelando ballata, rock e spruzzate jazzistiche, quasi a descrivere un sogno mai sopito, perché se il nostro protagonista continua a chiedersi come mai continua a trovarsi sopra questo palco, la risposta potremmo dargliela noi con i nostri applausi. Il finale: Kendra’s Dream è una bellissima intuizione in cui, ripescando la vecchia amica dei suoi vent’anni, Steve regala alla Smith il privilegio di concludere questo bellissimo lavoro, perché la circolarità del tempo ha sempre i suoi ritorni e sempre ci farà gioire, sia che diventi nostalgia, sia che diventi forza per non dimenticare, mai.

Cos’altro volete che aggiunga, la storia del rock è piena di corsi e ricorsi, ma io penso che Steve Wynn sia una delle più belle persone che abbia cavalcato le scene, non tanto per la sua disponibilità (io a casa conservo gelosamente il primo vinile dei Dream Syndicate con tanto di firme e disegnino “felliniano” proprio di Steve, in quello spazio azzurro, probabilmente fatto apposta per i nostri di sogni adolescenti), ma perché ritornare ogni volta con tanta giovinezza, vuol dire proprio difendere quel sogno e continuare a riproporlo, e noi con loro.
Salute ragazzi… alla prossima !

il Barman del Club

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37 Comments on “THE DREAM SYNDICATE – How Did I Find Myself Here?

  1. Per me è bello dall’inizio alla fine (fine che non c’è mai perché l’ho messo in repeat) ma per ora è proprio la title track a farmi ammutolire ad ogni ascolto, una divagazione doorsiana come da un pezzo non ne sentivo. E mi è piaciuta anche la tua divagazione iniziale. Sì, ne riparleremo

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  2. Caro Amico, un bel post!
    Anch’io ho avuto un periodo della mia vita che nn seguivo la musica, poi ho ripreso.
    Davvero forte Steve.

    Avrai saputo di Grant Hart… ci ho dedicato un umile post. Buonanotte.

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  3. Grazie per la recensione, devo ancora comprarlo (non sono un fan di Steve Wynn anche se ho sempre rispettato il suo lavoro sia con i Dream Syndicate che per il repertorio solista ( d’altronde non è possibile ascoltare tutto , ed il sottoscritto si può considerare un onnivoro!!!)ma mi ispira e poi a Giugno quanto ho incontrato Chris Cacavas mi aveva già anticipato alcune cosette (tipo che presto arriveranno dalle nostre parti, ma questo ormai è già alla portata di tutti). Ciao e buona giornata nonostante l’immensa perdita musicale del grande Tom Petty…..

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  4. Non li conosco ma la recensione fa venir voglia di ascoltarli … e lo farò. La copertina del disco mi piace tantissimo….adoro leggere e mi piacerebbe avere un libro con quella copertina…… Ciao!!!!!!!! Sempre un piacere leggerti😊

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  5. “Il Rock mantiene per sempre giovani?”
    Questo tuo quesito, permettimi di notarlo sul resto – che rimane comunque di notevole, spessore, come sempre – mi fa riflettere: sono cose che ho notato, ascoltando e vedendo varie performance.
    Sarà davvero così?
    Aspetta… vado a comprarmi una chitarra elettrica…
    😉

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  6. Disco che non si fa mollare! Ascolto dopo ascolto alzo sempre un po’ di più il volume.
    Una cosa però (figurati se non trovavo il modo di polemicare): l’adolescenza, cui fai accenno nel tuo post non riesco ad associarla a Wynn e neanche al giro tutto che ho sempre visto come “rock and roll adult” -non intendo AOR- come tutti i loro padri principali che ben conosci. E ora ciao, ritorno nel circolo che non si chiude mai con la mia birra presa al volo.

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  7. Tu, quando dici che “gli artisti in fondo sono degli eterni adolescenti” ma te l’ho detto era voglia di polemicare. In ogni bar c’è l’ubriacone seccante e nel tuo ci sono io, ah ah. Ciao.

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  8. Logico, lo associo al sindacato del sogno! Comunque sei tu che l’hai associato all’eterno adolescente (che muore con la chitarra in mano). Una volta chiesero a Guy Kaiser (Thin White Rope) se c’era qualche analogia fra il suo gruppo e i Sonic Youth e lui rispose che loro -i TWR- erano piuttosto degli “Adulti Sonici”. Ecco dove inserisco il buon Steve.
    Vado, è iniziato il lunedì. Ciao.

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    • allora vorresti dire che sono io che non voglio invecchiare e m’illudo di rimanere eternamente giovane con il rock?
      Probabilmente Wynn sarà un adulto sonico, ma non so perché, questi frontman li vedo sempre con quella vitalità e quella voglia di suonare come un tempo. Non è casuale che il caro Steve è ancora sulla breccia, invece Guy Kaiser, pur stimandolo tantissimo, è una vita che è scomparso dalle scene…

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  9. Stiamo andando fuori strada. Dico solo che alcuni artisti -Zappa, Cohen, Hooker, John Cale, Chuck Berry- non sono mai sembrati ragazzini (perché è questo che è un adolescente). Giovani adulti prima e adulti giovanili dopo. L’eterna giovinezza non vuol dire eterna adolescenza. Quanto a te (e a noi tutti) non temere, ci ha pensato la fornero a mantenerci eternamente giovani. Che figata, eh?

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