samsara blues experiment

A questo punto è ora di alzare un po’ il volume per ridare vitalità al locale dopo una parentesi poetica, e questa band tedesca fa al  caso nostro. Gli amanti dell’ hard-rock, con influenze psych-kraut, saranno accontentati dalla valanga di suoni proveniente dalla terra teutonica, per ridare dignità a questo genere musicale spesso ancorato nelle sue  consuetudini derivative. E’ chiaro che non è facile trovare dell’originalità dentro a un’apoteosi sonica che non vuole staccarsi dal glorioso passato, eppure, la Samsara Blues Experiment è riuscita ad intraprendere un percorso di soluzioni nuove, degne di essere ascoltate con attenzione nell’era degli anni 2000.

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L’ultimo lavoro datato 2013: “Waiting For The Flood”, ha rappresentato una sorta di vetta compositiva importante, soprattutto pensando all’esperimento sonico che dal blues in divenire, continuava e continua ad aggiungere un sovrapporsi d’idee e d’innovazioni degni di nota per gli appassionati di questi generi, e anche per quelli che come me (o come noi), ricercano, ogni volta, quelle novità che possano convincere e/o coinvolgere completamente, lasciandoci soddisfatti. Non è casuale che l’album sopracitato era un esempio straordinario per questo concetto di sintesi, e rappresentava a tutti gli effetti, una sorta di “terra promessa” dove potersi finalmente dedicare a quell’ascolto ricercato da tempo in ogni luogo. Nel frattempo è successo che uno dei membri della band, il bassista Richard Behrens, si è staccato dai suoi compagni per intraprendere percorsi diversi con la sua formazione parallela degli Heat, e altri progetti di produzione, lasciando così libero spazio al leader Christian Peters, mentre al basso si è girato Hans Einselt ridando più potenza alla sezione ritmica, insieme a Thomas Vedder alla batteria. Sostanzialmente un trio, pensando che strumenti aggiuntivi nella registrazione: tastiere, sitar, effetti vari e sintetizzatori, sono sempre suonati da Chris.
Il risultato è un suono carico di groove rotolante dall’agilità esplosiva, che scivola liquido e torrenziale, trascinando dietro di sé ogni delirio immaginifico. Se nei dischi precedenti esisteva una martellante ripetitività dei ritmi e uno sconfinamento nella ricerca delle deviazioni psichedeliche, ora si riscontra un’omogeneità più classica del termine, ma sempre efficace come risultato finale.

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Sostanzialmente “One With the Universe” è un concept-album che si inoltre in una soluzione complementare tra il significato d’amore e l’origine dell’universo, sperando di modulare un’evoluzione parallela all’unione fra uomo e donna, ricercando nella sublimazione degli opposti, prima la riflessione e poi l’esplosione dello  Yin e Yang legato a un’irruenza musicale, giusto per dare pace al caos e generare un equilibrio fra ciò che ci appartiene e ciò che potrebbe essere. Chiaramente l’influenza delle filosofie orientali (già dal nome della band) è un modello d’ispirazione, ma non siamo di fronte al classici discorsi che avevano influenzato le controculture degli anni ’60; fondamentalmente si parte da un concetto di base molto lontano dalle tecniche di meditazione, perché il pretesto è solo quello di iniziare dall’anima, per poi generare un’appartenenza a tutto ciò che ci circonda, proprio perché “uno” è interconnesso con tutto l’universo, e ognuno di noi ha un ruolo legato al ruolo degli altri. Siamo insomma una cosa sola e solamente quando ognuno di noi capisce questo modo d’agire potremmo oltrepassare i confini dei nostri conflitti. Certo, tutto questo non è una novità, anzi, ma quello che colpisce è come sono riusciti a far diventare un suono questa sintesi d’idee, o perlomeno, cercando di creare un progetto dove far confluire le esperienze di ognuno di loro.

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Il disco pur essendo incentrato sulle tecniche psichedeliche che schiacciano l’occhiolino al kraut-rock di seventies memoria, si allontana dall’heavy-space delle sue origini, per omogenizzare un suono più compatto, nonostante la diversificazione dei temi. Tutto l’album è come un monolite dove sgorga una lava incandescente ben incanalata sopra precise direttrici. Il magma è a volte potente, e a volte più misurato, dove convergono estensioni di dati d’animo sempre divisi fra spiritualità e voglia di lasciarsi andare, fra introspezione del pensiero e irruenza dell’azione. Però non esiste quella che potremmo chiamare linea d’ombra o un confine dell’anima, ma appunto un corpo solo in cui gli strumenti si avvolgono per intraprendere un viaggio lisergico denso di adrenalina.

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Inutile analizzare traccia dopo traccia, perché la divisione per brani è solamente una consuetudine legata alla produzione di un CD. In realtà tutto l’album è un corpo solo dove le tematiche sopra descritte si amalgamano dentro le jam eseguite in maniera stellare dagli strumenti. L’estasi dura per tutto il minutaggio perché si viene catturati completamente, come se l’esperimento nato da un suono in progressione, si lasciasse amare dal delta compositivo dove far confluire tutti gli stato d’animo possibili.

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Concludendo, se analizziamo il nome da cui nasce questo progetto: “Samsara”… ritorniamo al concetto del misticismo orientale basato sull’assenza della morte, in cui continui cicli di vita e rinascite, portano un individuo a diventare sempre più illuminato, o perlomeno, nelle continue reincarnazioni, a cercare di avvicinarsi il più possibile alla verità. Finché saremo sempre intrappolati nel mondo materiale, vivremo costantemente in una sorta di miraggio continuo, senza capire la reale appartenenza al nostro agire o al nostro “essere”. E’ chiaro però che stiamo parlando di un gruppo musicale, e per forza di cose le emozioni si miscelano adeguatamente con la bellezza dei nostri sogni, fino a gustare questa torrenziale valanga di note, come un mantra legato indissolubilmente alle nostre passioni più vere. La vita e la morte che si cancellano per entrare nel vortice delle nostre infinite esistenze, e finché ci sarà questa musica, il paradiso può attendere.

Non è questione di accontentarsi di poco, ma personalmente questi dischi mi riconciliano con l’oppressione della quotidianità, perché in fondo, se l’universo è un’insieme di universi dentro a un unico universo, allora preferisco godere soltanto l’ipotesi che ognuno di noi può essere nell’altro con il solo pensiero, e questa musica, non può che farci riunire nell’estasi di una continua creazione.
Intanto godiamoci un bell’Old Fashioned che, nella sua semplicità, racchiude quell’emozione “senza tempo” che ci avvicina al concetto d’eternità. Lo sorseggiamo delicatamente e finiamo di ascoltare questo disco legato al fascino del suo titolo…

Salute ragazzi !

il Barman del Club

24 Comments on “SAMSARA BLUES EXPERIMENT – One With the Universe

  1. Buonasera!!!!!!! Ecco, io non li conosco, ma tu, come al solito, hai dato una recensione che va oltre. Ti coinvolge perché innanzitutto è molto interessante e poi perché è davvero approfondita in ogni……angolo. Un punch caldo?

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  2. Band e disco (a me sconosciuti sinora) decisamente interessante. Non è il sound che solitamente ascolto nella mia quotidianità ma proprio per questo motivo ogni tanto è necessario allargare e ricercare nuovi orizzonti sonori. E condivido un buon Old Fashioned utilizzando un Michter’s, sour mash from Kentucky. buona serata

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  3. Per una volta, perdonami, non pongo l’accento sulla musica ma sulla parte grafica: assolutamente accattivante, il brand del gruppo. Il lavoro grafico si nota: dalle illustrazioni alle opere stilizzate. Un ottimo modo di concepire il sound.
    😉

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    • beh… sicuramente la grafica, così come le cover delle copertine, hanno un fascino sicuramente d’impatto, e ammaliano non poco proprio per essere condotti dentro le loro note. Io infatti consiglierei, se uno è appassionato, l’acquisto del vinile, perché le loro copertine apribili sono una manna per i patiti del collezionismo, soprattutto quest’ultima, molto bella. Il CD la opprime, mentre l’ LP la giganteggia !

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    • se analizziamo il contenuto che ci riporta a tutte ricerche che, con l’onda lunga degli anni ’60, hanno contaminato anche il decennio successivo, direi di si, anche perché questo genere musicale è da sempre intriso di un misticismo particolare, o se vogliamo, di un’interconnessione fra leggende nordiche e spiritualità orientali. Però questi tedeschi mi sembrano sinceri… Probabilmente l’album precedente era più innovativo di questo, ma nel contesto dove si muovono sono sicuramente un gruppo che riesce a suonare in maniera più nuova degli altri, anche se il concetto di nuovo, in questi ultimi anni, sappiamo che non esiste

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  4. Passo da te, imparo e scopro sempre qiualche cosa di nuovo. Brani bellissimi, di atmosfera, da lasciarsi davvero trasportare e buttare tutto alle spalle, almeno nel tempo/spazio dell’ascolto.
    Grazie! E posso anche accomodarmi tranquilla senza bere nulla. Ci penso dopo. 😉

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