Non so se qualcuno di voi si ricorda le vicende che hanno portato sulle scene i Quicksilver Messenger Service. Il fondatore della band, lo songwriter Dino Valenti, che era sostanzialmente il frontman del gruppo, venne incarcerato prima che pubblicassero il loro primo album, dando così ambia libertà ai due chitarristi: John Cipollina e Gary Duncan, i quali, pur non essendo dei compositori d’eccezione, erano dei performer pazzeschi. Non è casuale che la loro leggenda è conosciuta proprio per l’esecuzione delle jam che li consacrarono come un mito (anche se defilato) dell’epopea psichedelica dei sixties, proprio perché, ritornato nell’organico il sopracitato “malfattore”, imponendo il suo cliché, snaturò quella libertà creativa che i due alfieri delle sei corde avevano così anarchicamente improvvisato, costringendoli nei recinti di un forma canzone per niente adatta al loro modo di suonare, finendo per impoverirli fino a smontare il blasone del loro marchio. Non mi dilungo perché ci sarebbe da parlare ancora più dettagliatamente, ma questo riferimento era necessario perché questi Gypsy Sun Revilval, provenienti dal Texas, sono adatti al paragone descritto per il semplice fatto che il loro cantante, un certo Mario Rodriguez, prende troppo il sopravvento sui suoi comprimari, considerando che la chitarra di Will Weise e il basso di Lee Ryan, sono due cavalli di razza dalla bravura altrettanto pazzesca, e a mio avviso potrebbero incendiare tutte le pianure di questo pezzo degli States, se non avessero le briglie al collo, all’interno di una band dalle potenzialità enormi.
Sostanzialmente siamo di fronte ad un hard-rock con sfumature lisergiche dall’impatto abbastanza consueto, se non fosse per le vagonate acidate che la parte strumentale sfodera quando il vento scappa da ogni lato e si lascia andare con la sua potenza. Ogni pezzo infatti incrocia variazioni melodiche dettate dall’evolversi dei testi in cui, il sovrapporsi dei riff e la macinata marcatura della parte ritmica genera l’apoteosi con un finale d’altri tempi. E’ anche vero che la parola “revival” inserito nel nome di questi fuorilegge, oltre ad un evidente richiamo di origine “on the road” idealizzato sul risveglio di un sole vagabondo, o gitano (tanto per influenzare l’iconografia di un passato sempre multiforme), è a tutti gli effetti la voglia di riportare a casa quel sound che aveva fatto questo angolo d’America il centro del mondo, e come tale, sempre in primo piano doveva e deve rimanere.
E’ chiaro che la rincorsa del tempo non si ferma all’emulazione di un altro periodo storico, per quanto leggendario, perché il mito non lo si può ricostruire a proprio piacimento, ma nasce in maniera spontanea e diventa tale proprio per la grande esplosione di vita che genera dalla sua nascita alla sua morte, che poi è la sua successiva incarnazione a farlo diventare monumento. Ecco che la nuova esplosione della psichedelia diventa quel continuo attaccamento a un passato difficile da superare, proprio perché non solo non si vuole inventare qualcosa di nuovo, ma l’attitudine di altrettanti giovani rimane inevitabilmente legata all’icona che ha generato tale epopea. Tutto ruota intorno a una base e ci si diverte così, probabilmente spensierati fregandosene di tutto: non si vuole entrare nella storia, ma è la storia che scivola sopra di loro, perché sono sempre i maestri ad essere ricordati.
Sostanzialmente questo “Journey Outside of Time” è a un passo indietro al loro omonimo esordio del 2016, perché sarà anche un viaggio fuori dal tempo, ma la spontaneità che c’era agli esordi non sono stati capaci a riproporla. Rimane comunque un ascolto estivo che scivola tra una canicola e l’altra, giusto per non abbandonarsi alla morsa del caldo senza remissione.
Io penso che ci siano delle possibilità per dare sfoggio alla bravura di professionisti come questi: bisognerebbe osare di più; andare oltre a quello che si vorrebbe realizzare e far lavorare coloro che emergono con la classe. Non è casuale che nel primo disco l’evoluzione chitarristica ha lo spazio che merita e il bilanciamento fra voce e sound rimane più efficace, lasciando agli strumenti il ruolo dei protagonisti.
Sono e saranno comunque da tener d’occhio per il proseguo della loro carriera, perché sicuramente non si fermeranno a questo lavoro, proprio perché se nel primo disco la marcatura lisergica era molto più evidente, mentre nel secondo emerge un’impostazione hard-rock, come ho già accennato, alla fine tutto il movimento porterà per forza di cose alle scelte che dovranno sviluppare in lavori di qualità superiore, perché in fondo è sempre un bel sentire.
tutte le foto sono prese dal web
Cosa volete che vi dica, il caldo fa di questi scherzi, e prima d’iniziare a parlare di prodotti migliori, bisogna lasciarsi andare intorno a qualcosa che emana un po’ d’energia. giusto per allungarsi sul divano con una bella birra fresca e rilassarsi degnamente dopo un anno di lavoro. Probabilmente questo è il periodo dell’anno dove l’avvicendarsi dei concerti dal vivo gratifica l’attesa degli appassionati, e il tutto si riconcilia con la vita. Siamo fatti così, godendo di tanta bellezza…
Ed ora una bella bevuta !
Salute ragazzi
il Barman del Club
Grazie, Antonio!
Bloody pepper Mary…..?💋🍹
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…e sia 🙂 🙂 🙂
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💋💋🙏
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Allora io non ricordo perché conoscevo! Terrò d’occhio perché non mi dispiacciono affatto.
” non si vuole entrare nella storia, ma è la storia che scivola sopra di loro, perché sono sempre i maestri ad essere …” chissà Come mai questo pensiero mi gira per la testa.
Il mio Margherita please!
Sherabbracciaoooo ☺ ☺ ☺
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va bene, se ti gira la testa allora un Margarita doppio con doppia decorazione… Meglio di così (!)
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Giusto!!!
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non li conosco, segno e cerco: ma se Revival fa aristocrazia e genialità tipo Creedence, beh credo ne varrà la pena
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🙂 avercene allora (!)
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Li ho ascoltati, buona musica senz’altro, grazie.
Alla tua, Barman!
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🙂
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una ichnusa ghiacciata e lisci, grazie!
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con questo caldo merita di sicuro..
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