arpad weisz di polo balbi

Proprio per il passaggio del “Giorno della Memoria”, ci sono storie che lasciano il segno, o che lo hanno lasciato attraverso un percorso incancellabile, magari tenuto nascosto con la solita misura dell’omissione, ma che inevitabilmente ritornano a galla, proprio per  la bellezza di una trama, per quanto tragica, che va raccontata e impressa nella nostra di memoria, e in quella di tutti gli uomini giusti, perché, mai come in questo caso, sport, politica e letteratura, sono parte integrante del secolo appena trascorso, con tutte le sue sfaccettature, sia positive che negative.

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La storia di questo allenatore ungherese, ebreo, ha potenzialmente tutte le possibilità per essere la sceneggiatura che ognuno di noi potrebbe vivere, anche nel suo profondo, come parte integrante degli avvenimenti che hanno devastato il mondo, attraverso due guerre mondiali, tre scudetti, le leggi razziali e la Shoah, di cui tutti siamo protagonisti, vittime e carnefici, complici o innocenti.

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Arpad Weisz nasce nel 1896 in un paese vicino a Budapest, nell’ambiente colto di una famiglia borghese e come suddito dell’Impero Austro-Ungarico combatte nella Grande Guerra dove viene fatto prigioniero nel 1915 e portato in Sicilia nei campi di prigionia o di lavoro, posizionati in una regione così lontana proprio per evitare che un’eventuale fuga riportasse di nuovo sul fronte i soldati detenuti. Finito il conflitto e il difficile rientro in patria, con tutte le problematiche dovute allo smembramento e alla ricostruzioni delle nazioni coinvolte, il giovane Arpad emerge subito in campo sportivo come un grande calciatore, il quale raggiunge ben presto i vertici della sua nazionale. Fu proprio una partita giocata contro l’Italia nel 1923 che lo fece notare dagli osservatori del tempo, i quali gli proposero un contratto per una squadra di Milano: l’Inter. Chiaramente Weisz accettò subito ma un brutto infortunio gli troncò la carriera, facendogli optare per la carriera di allenatore che lo portò subito al successo. Vinse uno scudetto proprio con l’Inter, anche se la fama maggiore la ottenne con il Bologna del presidente Dall’Ara, che lo volle a tutti i costi e con cui vinse atri due scudetti straordinari e quella che potremmo definire la Champion di allora, a Parigi, nel Trofeo Internazionale dell’Expo, battendo in finale il Chelsea, prima squadra italiana a superare una compagine inglese. Avrebbe vinto sicuramente un altro campionato, ma l’abominio delle leggi razziali nel ’38 costrinse lui e la sua famiglia alla fuga dall’Italia. Andarono in Francia, ma la situazione politica e antisemita del paese d’oltralpe non era certo delle migliori, e fu allora che fece una scelta sbagliata: invece che andare in Sudamerica (probabilmente troppo lontana) dove lo avrebbero accolto a braccia aperte, o in Inghilterra; scelse l’Olanda, credendo nella sua neutralità. La susseguente invasione nazista face arrestare lui, la moglie e i suoi due figli, dove vennero deportati nel campo di sterminio di Auschwitz. Morirono proprio in quel luogo terribile.

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Paolo Balbi, descrive con minuzia particolare tutti i vari episodi della vita di Arpad Weisz, completando in un certo senso un altro libro edito nel 2015 dal giornalista di Sky, Matteo Marani. “Dallo scudetto ad Auschwitz”. Balbi sottolinea soprattutto la figura dello sportivo  e dell’allenatore che portò in Italia una teoria di gioco rivoluzionaria per i tempi, figlia di quella scuola danubiana ricchissime di storie e di personaggi di una grande epoca calcistica. Se la nazionale italiana vinse in quegli anni due campionati del mondo e un olimpiade, è anche perché tutti gli allenatori ungheresi approvati nel nostro paese, contribuirono e portarono degli schemi innovativi dove attinsero i nostri costruttori del pallone, dandogli un’impronta decisiva. Il libro “I gioco del calcio” scritto proprio da Weisz è una testimonianza importante delle sue idee e delle sue pratiche sportive, che lo portarono ad essere uno delle figure più stimate del football di quegli anni.

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Quello che stupisce è la cortina di silenzi che seguì, non tanto dopo la sua scomparsa durante la guerra, ma anche successivamente negli anni ’50 e ’60, in cui un oblio indecente fece si che di quei fatti vergognosi relativi alle leggi razziali e la deportazione degli ebrei, e di questi interpreti carismatici, non bisognava più parlarne, come se la macchia di uno dei momenti più bui della storia italiana doveva per forza essere rimosso. Ci è voluta l’istituzione del “giorno della memoria” e l’inchiesta di Enzo Biagi, grande tifoso del Bologna, con la passione di altri giornalisti che hanno raccolto il testimone di questi avvenimenti ricostruendo tutto il percorso, non tanto di un uomo unico, ma degli intrecci fra sport, politica e narrativa, i quali creano il cuore e il tessuto di un’Europa mai così vicina alle vicende di tutti.
Si fa in fretta a dimenticare. Si fa in fretta a ricordare.
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Paolo Balbi, dirigente sportivo nel calcio dilettantistico lombardo, divide questo libro nei capitoli decisivi che hanno di fatto creato un personaggio unico, fra la sua storia personale, le squadre da lui allenate, i campi e gli stadi che lo hanno visto protagonista, gli schemi del suo gioco, l’inizio e la fine della sua carriera, la pace e le guerre da lui vissute in prima persona. I suoi trionfi e le sue sconfitte, se la sua fine tragica dev’essere un esempio per come gli uomini possano umiliarsi nonostante il carico di umanità che ci contraddistingue. Un libro necessario per tante ragioni, sia per quelli che vivono lo sport come un esempio bellissimo di vita, sia per quelli che vivono la Storia come un esempio importante proprio delle nostre vite.

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Questo libro lo abbiamo presentato a Como, presso il Gruppo Letterario Acàrya, lo scorso dicembre, in una serata davvero suggestiva, in cui, la presenza dell’autore e del giornalista Damiano Benzoni, ci hanno introdotto dentro a una serie di storie particolari, come per esempio quella di un altro allenatore ungherese: Erno Erbstein, scampato ai campi di sterminio con delle traversie incredibili e poi diventato l’allenatore del grande Torino, poi perito nella tragedia di Superga. Il destino è anche questo. Così come altri sportivi sempre visti in maniera trasversale all’interno della politica mondiale.

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Oggi dove si ricorda il giorno della memoria, si deve per forza riportare dentro di noi come un monito quello che la Storia ci ha insegnato, perché i corsi e ricorsi di ogni epoca sono sempre in agguato. Lo vediamo proprio in questi giorni sotto i nostri occhi, ma basta girarci indietro per un momento, per  intravedere le brutture che ci lasciamo alle spalle. Come dice Darwin Pastorin nella prefazione a questo libro: “Non bisogna mai allentare al presa, bisogna continuare a raccontare…” Si, a raccontare, perché le vite degli altri sono parte di noi e vivono insieme a noi, perché storie come questa siano la nostra storia.

il Braman del Club

31 Comments on ““ARPAD WEISZ – il tempo, gli uomini, i luoghi” – di Paolo Balbi

  1. Grazie caro barman, è proprio vero ‘vivere’ la vita da blogger regala delle opportunità mai banali ma sempre stimolanti come la scoperta di questo uomo di questo sportivo di questa vittima. segnalerò o meglio comprerò io stessa il libro a mio figlio.

    (Sarebbe stato un bellissimo regalo di Natale.)

    Sul valore di questa giornata sono piuttosto sfiduciata che possa insegnare ho mettere in guardia chi finora non ha avuto la sensibilità il percepire questo cambiamento in peggio dei rapporti.

    SheraBuonasettimanaconabbraccio

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  2. fossimo così bravi a non allentare la presa, non servirebbe un Giorno della memoria, nemmeno servirebbe un Otto Marzo… un buon interista non dimentica mai Virgilio Fossati (che non c’entra nulla, lui fu vittima dell’olocausto precedente) o Arpad Weisz

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    • ben detto Flavio, ogni epoca ha i suoi protagonisti, così come ha avuto il suo olocausto, speriamo soltanto che non ne arrivino altri a infangare o riproporre le distorsioni della storia. Come si fa a chiamare una guerra sporca e infame come la “prima”: Grande Guerra”, quasi fosse un’epopea positiva. 800mila morti, un milione d’invalidi, 20milioni di morti in tutta Europa; dovremmo soltanto vergognarci. I veri eroi sono come Fossati, il grande capitano, forse il primo a mettere in fila quella serie di giocatori veramente attaccati a una maglia, e non per combattere, ma per giocarsi un evento sportivo con la passione di essere semplici o fenomeni per 90 minuti. Quelle si che erano epopee…

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  3. ecco una pagina dove fermarsi e lasciarsi trasportare dalle emozioni.
    Persone che mancano, non solo fisicamente ma per tutto quel bagaglio di “vita” che saprebbe insegnare.
    Grazie!

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  4. Grazie per queste chicche di letterarura e di vita. Non conoscevo nulla di questo sportivo, un grande uomo ancor prima. Mi hai fatto ricordare un pochino le staffette partigiane di Gino Bartali con la sua bicicletta, l'”amica” che lo salvò perché durante un fermo della milizia fascista il poliziotto si dimenticò d’ispezionare proprio la bicicletta. Sarebbe stato fucilato. Resta il ricordo degli ottocento ebrei (se non sbaglio il numero) che sono stati salvati da lui.
    Momenti terribili da non dimenticare mai in un presente da non sottovalutare affatto.

    "Mi piace"

    • tempi di eroi e di sconfitti, di angeli e mostri, e se anche alla fine ha vinto il bene, rimane sempre quell’amaro in bocca per avere scritto pagine oscure e terribili, così come di ribellioni e di slanci. Io spero vivamente che l’umanità si salvi, ne ha veramente bisogno…

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