Il termine “Dogrel”, prende il nome da un modo di esprimersi tipicamente irlandese, che vuole sottintendere una poesia di strada, semplice, diretta, magari scritta male e dallo scarso valore letterario ma, è proprio questo il punto, con un’autoironia tipica di questa terra, questi cinque ragazzotti della periferia di Dublino, lo hanno fatto loro come esigenza del dire e raccontare, d’altronde, se a un gruppo di amici piace andare in giro per i bar a bere e scrivere versi, il risultato è una serie di liriche dall’impatto corrosivo e tagliente, adatte proprio per essere musicate, adatte proprio per essere bevute. Con queste premesse, il disco d’esordio dei Fontaines D.C. è non solo, una sorpresa per gli addetti ai lavori, ma per tutto il panorama irlandese delle nuove generazioni, che aspettava da anni una band in cui rispecchiarsi e ubriacarsi degnamente.
Questa premessa era necessaria, perché è proprio la poesia grezza e sputata in faccia senza intercessioni, il tema ricorrente della loro espressione. L’irish-rock, il punk o il post-punk, il garage o la new-wave e quanto altro ci vogliamo aggiungere, è solamente un vestito dannatamente efficace per poterla urlare al mondo, perché in fondo lo sappiamo tutti, gli inni della rivolta nascono proprio dal basso, dove la gente comune soffre e vive rasoterra con tutte le problematiche quotidiane, e non nei salotti borghesi dalla parola forbita. Inoltre, se la musica è il veicolo necessario per arrivare direttamente alla pancia della gente e soprattutto nella testa dei giovani, questa comunione eretica rappresenta sia la valvola di sfogo e sia la provocazione ideale per coinvolgere chiunque.
Lo sappiamo tutti, quando si vuole arrivare con dei concetti facilmente capibili dalla gente comune, spesso le parlate comiche, soprattutto dialettali, che da noi venivano chiamate “bosinate”, hanno sempre avuto un successo coinvolgente, perché consentivano di sfruttare la “risata” come mezzo improprio per prendere in giro il potente di turno. Sarebbe inutile citare i vari Dario Fò o i Legnanesi (con i dovuti distinguo) di casa nostra, i quali hanno sfruttato proprio queste dinamiche per la loro arte. Ma se nelle realtà operaie irlandesi questo tipo di parlata ha una tradizione radicata nei Pub dove la birra scorreva a fiumi, ecco che l’idea dei Fontaines di calarsi in mezzo ai loro ambienti come parte stessa di quelle mura, rappresenta proprio il senso di quest’appartenenza. Intendiamoci, sappiamo bene che se anche la rabbia si è sostituita alla risata, questo cambiamento nasce dall’anima di esserci a tutti i costi, come se un’idea romantica di rivoluzione culturale, bastasse per salire su un palco e farla sentire a tutti.
Chiaramente i nostri ragazzi, non nascondono le loro influenze che vanno da Joe Strummer a Mark E. Smith; da Iggy Pop a Shane McGowan; a Ian Curtis di cui il frontman del gruppo, Grian Chatten, ha una certa somiglianza, sia nel viso e sia nelle movenze. Probabilmente sono consapevoli che questi inni di rivolta hanno avuto inizio quando non erano ancora nati, ma la nuova ondata di punk che sta travolgendo tutto il mondo anglosassone, probabilmente rappresenta il disagio di questa crisi apparentemente irreversibile, in cui, l’emotività delle nuove generazioni ha assorbito pienamente, e ha bisogno del suo sfogo per non morirci dentro.
Link traccia d’ascolto
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Come sempre, conosciutosi al college e con alle spalle una pubblicazione di liriche intrise di Beat Generation, James Joyce, Patrick Pearse, Thomas Eliot e poeti maledetti, dopo le varie scorribande notturne, decisero di dare della musica ai loro versi, facendosi subito notare nonostante la gavetta effettuata di locale in locale. Poi, come sempre succede, dal passaparola al solito scopritore di talenti, sono riusciti a trovare il loro contratto pubblicando i loro primi singoli, fino a quest’album di debutto veramente travolgente, che riassume in maniera perfetta tutte le apparizioni dal vivo, tutte le loro bevute, tutte le loro voglie di dire quello che avevano da sempre scritto.
L’irruenza e la sincerità spontanea emergono subito con una serie di pezzi dall’impatto violento, in cui, la deflagrazione delle chitarre distorte e la base ritmica sono un pugno nello stomaco per chiunque: “Big”; “Too Real”; “Hurricane Laughter”; “Television Screen”; “Roy’s Une”; “Liberty Belle” e “Boys In The Better Land” sono canzoni che lasciano il segno e non ti lasciano andare, mentre le parole ti fulminano il cervello in una sorta di delirio percussivo, con il protagonista che non riesce a stare fermo, travolto da una trance ipnotica senza ritorno. Non mancano gli episodi che fluttuano attraverso una sceneggiatura amara che sfiora l’intimità dei ritrovi più bui, ma l’esigenza della denuncia sociale si riprende ogni volta la scena, e sul palcoscenico che abbiamo intorno ogni giorno, la poesia si fa sempre più umana e lacerata, come una forma d’amore che la rappresenta:“…Dublino sotto la pioggia è mia / una città incinta con una mente cattolica / La mia infanzia era piccola / ma io sarò grande..”.
Amore che trascende per i loro luoghi e la loro città, sempre presente nei loro testi: Dublino e le sue periferie; Dublino e i suoi Pub; Dublino e le sue storie; Dublino e i suoi quartieri, come The Liberties per esempio (da dove provengono), chiamato con questo termine perché i suoi residenti si prendevano la libertà di derubare qualsiasi estraneo inavvertitamente si trovasse a passare, mentre oggi è diventato un luogo frizzante dove continuano a succedere eventi di ogni tipo, arte e musica comprese. In fondo, l’attaccamento romantico alle radici di un ventenne, evidenzia proprio nel bene e nel male, tutta la geografia del suo animo libero di esprimersi nella realtà in cui è nato e cresciuto: “…Sono stato portato in vita mentre eri fresco dalla confessione / Le strade arrabbiate si contorcevano e si gonfiavano dalle risate / Ad ogni modo pensavo che tu avessi bruciato gli stracci in una specie di paura primordiale / e ora la notte è blu e rossa e stanno abbattendo l’intonaco…”
tutte le foto sono prese dal web
“…Non sei vivo finché non inizi a dare calci / Quando la stanza gira e le parole non si attaccano / e la radio parla di un modello in fuga / con una faccia come il peccato / e un cuore come un romanzo di James Joyce / … / Se sei una rockstar, pornostar, superstar, non importa quello che sei / prendi una buona macchina, e fatti un giro / … / Il guidatore ha i nomi per riempire due doppi barili / Sputa fuori gli “Inglesi”. / Fumano solo Carrolls. / Ora stiamo rinfrescando il mondo nella mente, nel corpo. / Mente corpo e spirito / faresti meglio ad ascoltarlo e temerlo…”
Ma se la D.C. dopo il nome, sta proprio per Dublino City, la storie che la rappresentano sono tutto un incrocio fra modernità e tradizione, grandi poeti e gente di strada, attori e musicisti di ogni tipo, lavoratori. Grian Chatten, citando Joyce, ci dice “che all’interno del particolare è contenuto l’universale, e il modo per ottenerlo è se il particolare è scritto con rispetto è onestà, quindi penso che chiunque possa collegarlo al posto da cui proviene. Attraverso questa onestà, puoi vedere cose a cui non credevi necessariamente di pensare, cose che sono banali e cose che sono difficili. Questi sono temi universali”
E poi ancora “… la nostra musica è un prodotto della nostra ossessiva condivisione come amici. Siamo amici che siamo cresciuti insieme, influenzandoci a vicenda con libri, poesia, musica, o qualsiasi altra cosa … Sentiamo le cose insieme perché siamo sempre in giro, quindi di solito c’è una sensazione dominante che tutti possiamo condividere. Quindi ci sediamo e discutiamo. Lo annotiamo a vicenda e usiamo un linguaggio molto onesto per spiegare il sentimento collettivo che abbiamo. Poi, quando sappiamo qual è la sensazione, cerchiamo di catturarla con la musica”.
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“…Fondamentalmente non vedo la distinzione tra testi e poesie finché non lo provo in una canzone e se funziona, lo chiamo testo. Mi piace camminare sulla linea tra ciò che funziona come poesia e ciò che non si adatta completamente alla musica … Questo modo di agire, non solo spiega la trasformazione fra parola e suono, ma anche come quel suono possa catturare completamente il sentimento dei brani prima che una parola venga pronunciata”
Una dichiarazione d’intenti efficace per far capire la capacità essenziale di coniugare con i proprio linguaggi tutte le loro visioni.
Se i nuovi linguaggi, la poesia, il loro modo anche sfacciato di “essere” e di “esserci”, l’accento smaccatamente irlandese, il loro senso di appartenenza ad una città e a una nazione è così radicato, dipende proprio da quel tentativo di fondere il suo tradizionale passato, con un presente diverso per relazionarsi alle esigenze delle nuove generazioni, senza staccarsi dall’orgoglio che li rappresenta, proprio come “Dogrel”, una parlata che diventa non tanto bandiera, ma vita di tutti i giorni per circoscrivere buono e cattivo nello stesso tempo, e decantarlo per non farlo morire.
“…Un sell-out è qualcuno che diventa un ipocrita in nome del denaro / Un idiota è qualcuno che lascia che la loro educazione faccia tutto il loro pensiero / Un falso è qualcuno che richiede rispetto per i principi che hanno effetto / Un dilettante è qualcuno che non può dire la differenza tra moda e stile / E il denaro è la cava di sabbia dell’anima…”
“…La morte sta cadendo sulla tua routine lavorativa / e sta cadendo ancora più forte nelle tue chiese e nelle tue regine / Non essere troppo duro nella scena del condominio / la morte sta cadendo sulla tua routine lavorativa / e sta cadendo ancora più forte nelle tue chiese e nelle tue regine…”
“…I mercati di gennaio riempivano l’aria fredda con il loro suono / I ragazzi sono tutti pieni di risate e la loro tasca con la sterlina / E nella rugiada nebbiosa, ti ho visto lanciare forme in giro / Era sotto il risveglio di un cielo della città di Dublino…” (…) “…Era il messaggio che ho sentito quando la società ha detto / Non c’è avvertimento e non c’è futuro / Mi piace il modo in cui mi trattano, ma odio il modo in cui la usano / Odio il modo in cui la usano…
Ma se la “gente di Dublino” riesce sempre a raggrupparsi all’interno dei suoi locali per dare un senso al loro modo di sentire e di vivere, allora, sediamoci anche noi ad ascoltare questi ragazzi dall’impatto emotivo decisamente vero, così, una volta sciolta e sgolata la voce, si ritroveranno insieme a noi, per una bella bevuta come si deve.
Salute ragazzi…
il Barman del Club
Ne ho letto bene … prendo nota per i prox acquisti… sto attendendo con molta trepidazione Vinicio…
Bel post.
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personalmente ritengo che sia un buon acquisto
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meno male che non significa Democrazia Cristiana 🙂 comunque i ragazzuoli non mi sembrano affatto male, segno. Portami una Union, Barman!
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😀 😀 😀 va bene, vada per la Union…….. (!!!)
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Trovati! Grazie! Mi servirà per il sequel 😊
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bene, allora il prossimo giro lo offro io 🙂
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ottima idea, mai dir di no a una bevuta aggratis!
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vedo che la sai lunga 🙂
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🙂
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Musica fresca per i nuovi suoni di adesso. Una buona band Continuo con il rock classico.
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tutti i generi di musica vanno bene, basta essere felici 🙂
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nel suo ascolto chiaramente…
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Ascoltati con piacere, musica e testi notevoli. È quasi l’alba e la tua musica salutava il giorno 😊
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bene, se il buongiorno si vede dal mattino…
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ho letto e ascoltato con piacere, una birra e una sigaretta e un po’ di letture qui e là per farmi un’idea (conoscevo già qualcosa), dopo il tuo articolo ho approfondito. Devo dire niente male, da segnare e risentire. Mi ricordano un po’ i Clash, che probabilmente sono stati un punto di riferimento.
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sicuramente saranno i loro idoli… Questi Fontaines saranno anche semplici e diretti, ma mi hanno divertito e ora sono da sottofondo per il Bar.
Una birra è per te, salute 🙂 !!!
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grazie 😉 accetto volentieri
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riascoltati 🙂
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bene 🙂
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