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In Italia, esiste un sottobosco (e non so neanche se questo termine sia giusto) di band eccezionali con musicisti altrettanto eccezionali che fanno musica eccezionale. Scusate il gioco di parole, ma se  il mondo parla in maniera esasperante dei soliti nomi con un’ossessione altrettanto ripetitiva, senza dedicarsi a quel filone underground pieno di talenti che suonano proprio per il gusto di suonare, sfoderando prodotti eccellenti, è perché nelle dinamiche commerciali, ormai sconvolte da internet, soprattutto nelle novità, conviene giocare con un continuo mordi e fuggi senza remissione. La scelta viene lasciata agli appassionati veri, i quali si tuffano alla ricerca di quei capolavori fortunatamente presenti in rete come dei tesori, ma che sono immersi in un oceano di proposte inimmaginabili, talmente numerose che a volte il loro ritrovamento è proprio legato al passaparola o all’utilizzo di una “mappa” capitata lì per caso. Ecco che Da Captain Trips troverete tutti i presupposti per regolare il sestante verso quelle meraviglie, perché l’ultimo album di questa band piacentina, divisa fra Lecco e Busto Arsizio, è di una bellezza luccicante, in cui, tutti gli stilemi del rock psichedelico, si concentrano in questi 50 minuti di suggestioni caleidoscopiche.

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immagine presa dal web

Il titolo è abbastanza esplicativo: Improvisation… giusto per sottolineare la propensione lisergica legata alle jam dove può convergere di tutto, insieme alle dinamiche della musica eseguita dal vivo. Rock, jazz, space, prog, kraut e appunto psichedelia, a go go, giocando proprio sulle sfumature e sulle capacità dei vari componenti di leggersi negli occhi con un battito di ciglia, per una variazione di ritmo, un’esecuzione alternativa o una navigazione diversa dalle rotte consuete. È anche vero che il timone è sempre sulle mani del chitarrista Riccardo “Cavitos” Cavicchia, mentre come due fedeli marinai, il basso di Federico Chiappa e la batteria di Tommaso Villa, lo supportano a meraviglia, mentre il synthy di Proteo Tien rimane di vedetta per controllare orizzonti e ponte di comando. 

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Non è casuale che l’album è suddiviso in due uniche tracce: Metaphysical Suspension e Catharsis, ambedue ampiamente superiori ai venti minuti di suono ininterrotto, ma se la prima naviga dentro a ritmi ondeggianti intuitivamente precisi, senza una sbavatura, che via via amplificano la loro potenza espositiva; la seconda emerge da un vortice siderale, come se le fluidificazioni space fossero la meta di un viaggio proteso verso una sovrapposizione di fascinazioni, continuamente in espansione, generando da un’unica stratificazione sonora, molteplici direttive alternative che fuggono e ritornano nel nucleo primordiale che le ha viste nascere.

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le foto sono tratte da un live del 2017 insieme ai gallesi Sendelica presso il Dazibao di Tortona, e sono di Dario De Marco

La percezione dell’insieme è proprio l’eleganza ritmica che contraddistingue tutto il lavoro, anche quando le divagazioni rock sembrano prendere il sopravvento. Non c’è mai un salto free, un intromissione noise o un ammutinamento anarcoide che vuole staccarsi dal rigore dello spirito di gruppo. D’altronde, se dalle rotte marine si è continuato il viaggio verso una spazialità che ha dato vita a un universo sempre in evoluzione, allora, non abbiamo bisogno del caos, ma proprio di una dimensione caotica nella quale tutti gli atomi della materia raggiungono un equilibrio fantastico, la quale impressiona per la sua potenza espressiva. Anche quando, sul finire dell’album, la chitarra sembra voler eruttare una fusione di lapilli per un’altra genesi, tutto si allontana nella giusta misura, lasciando che sia la sua eco a ricordarci come una successiva esplosione possiamo soltanto immaginarla, magari nel volume 2, presagita dalla numerazione.

link traccia d’ascolto

Probabilmente Improvisation vol. 1 non raggiunge la bellezza del loro album precedente: “Adventures In The Upside Down”, del 2017, molto più completo, ma galleggia nel cosmo di un’espressività notevole, anche perché, essendo concepito di getto, non è supportato dal lavoro di costruzione in studio. Se nulla si crea e nulla si distrugge, ma tutto si trasforma, quest’idea musicale è la tempesta perfetta che riesce a dare un senso a tutte le onde che l’attraversano, proprio come un lungo succedersi di piccoli eventi, i quali nell’insieme ne formano uno solo, inarrestabile, continuo, senza fine. Il bello è proprio questo: ascoltare e vivere una performance nella sua estensione, in cui la propensione dei vari protagonisti è proprio quella di lasciarsi andare con la massima libertà, pur circoscritti in una dimensione cosmica generata e retta da orbite prestabilite.
La bellezza è proprio questa, chiudere gli occhi e amalgamarsi con il fluire di queste note sempre vicine ai territori del sogno.

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Fondamentalmente, noi potremmo immaginare vascelli o astronavi, o qualsiasi altra cosa, ma essenzialmente questo viaggio cosmico ci mette in pace con noi stessi e ci gratifica notevolmente, nonostante il suo passaggio temporale che ci riporta alla mente episodi tipo i Pink Floyd, Tangerine Dream, Popol Vuh e Cosmic Jokers; ma anche band dei giorni nostri come gli Space Invaders, Causa Sui, ElderØresund Space collettive, Papir, Föllakzoidper esteso anche i Vibravoid, Domo, Electric Octopus o Samsara Blues Experimentgiusto per allargarci un po’ e introdurci in quella scena tedesco-scandinava fertilissima intorno a queste sonorità, e che annovera formazioni, festival e raduni veramente speciali. Non è casuale che gruppi italiani devono emigrare in queste latitudini per farsi apprezzare e per avere il pubblico che meritano. 

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Captain Trips è anche il nome dell’epidemia che nel romanzo “L’Ombra dello scorpione” di Stephen King, stermina il genere umano. E’ anche il soprannome di Jerry Garcia, il leader del gruppo psichedelico californiano Grateful  Dead; o anche il diminutivo del biochimico-hippie conosciuto come Dr. Mark Meadows, specialista nell’utilizzo di farmaci psicoattivi come l’LSD, della serie fantascientifica (libri e videogiochi) Wild Cads curata da George RR Martin, dove anche in questo caso si attribuisce il nome a un virus alieno che riscrive il DNA umano e muta i sopravvissuti. Insomma, di idee e riferimenti ce ne sono in abbondanza, di musica quanto basta, ma quel Da in aggiunta al nome della band è un vero invito ad entrare nel loro locale, perché se i rimandi ci portano dentro a mondi virtuali, alla fine, quello che conta, è farci insieme bella bevuta.

Salute ragazzi…

il Barman del Club

14 Comments on “DA CAPTAIN TRIPS – Improvisation vol. 1

  1. Lungo viaggio di notte, la musica guida l’auto, mi porta fino all’orizzonte e poi sale su, sempre più su ..
    Mi piace, ha molto di già ascoltato eppure rielabora il tutto in maniera molto coinvolgente.

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