Come vi avevo preannunciato, dopo il disco di Cave avevo bisogno qualcosa di forte, per riportare l’umore sopra altri livelli. Di conseguenza, giusto il tempo per iniziare questa mia rubrica, il volume si deve alzare a costo di svegliare tutto il condominio. In fondo, se il salame metaforizza qualcosa di paesano in questa nostra società che, a tutti i costi, vuole uniformarsi appiattendo qualsiasi cosa per genuflettersi alle multinazionali, non ci resta la ricerca di quei prodotti i quali conservano ancora il fascino del gusto, e potremmo aggiungere l’aggettivo, “genuino”, proprio perché qualcosa di buono è rimasto. Così come in musica, perché nella marea di proposte avvenuta nel 2019, la selezione della qualità d’ascoltare ci può tenere svegli a suon di decibel con gli amplificatori regolati al massimo.
E allora partiamo per questo primo viaggio diviso in 4 parti a seconda della particolarità dei nostri vicini, perché, loro malgrado, dovranno sopportarci come noi sopportiamo loro.
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BLACK MIDI
“Schlagenheim”
Il disco d’esordio di questa band britannica è una martellata sui gioielli di famiglia, giusto il tempo per assimilare ritmi e controritmi, rielaborati a suon di jazz, hardcore, post-punk e noise, come se la miscela di questo sound dovesse per forza scorticare il ricordo dei Talking Heads, mettendoli poi sulla graticola per bruciarli vivi e innescare un processo di decostruzione sempre a metà, fra la narrazione teatrale dei Pere Ubu e la forsennata sovrapposizione dei Primus. Il risultato è giustamente bilanciato con melodie perfettamente inserite nella trama di quest’opera prima, la quale non delude le aspettative, anzi, si trasforma continuamente, come se la metamorfosi delle sette note, si trovasse improvvisamente di fronte a un epilogo inarrestabile, fra catarsi poetiche e geometrie del futuro prossimo venturo. Hanno solo vent’anni, ma la sintesi che li coinvolge concentra un secolo di musica. Spettacolare (!)
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Black Mountain
“Destroyer”
L’amplificatore posizionato come il monolite di 2011 Odissea nello Spazio di Kubrick, in mezzo all’agitazione delle maree, testimonia di come questa formazione americana sia legata alla tradizione di un rock’n’roll che più rock di così non si può. Eppure, all’interno di questi riff dall’impronta tipicamente seventies, ne esce un album bellissimo che ci fa ricordare il passato al tempo degli dei, ma nello stesso tempo, si ricicla in maniera stupefacente attraverso una manciata di canzoni godevolissime. Mai come ora, Hawkwind e Led Zeppelin sono stati così vicini per scambiarsi a vicenda gli strumenti, riuscendo persino a misurarsi con una psichedelia e una forma canzone straripante da ogni dove, in cui, dentro a questa mareggiata incontenibile, tutto viene trascinato fra le acque, inglobando sabbie ancorate alle rive del progressive e scogliere hard dure a morire. Poderoso (!)
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DOMMENGANG
“No Keys”
Questa band losangelina è la classica conferma che si possono ancora riformulare gli insegnamenti del passato fra la psichedelia della west coast e l’hard-rock eclettico dalle visioni decisamente urbane, anche se l’ideale è proprio fuggire dalle ossessioni delle metropoli, per poi lasciarsi andare liberamente sulle polveri del deserto. Tutto è mutuato dalle rincorse della base ritmica insieme alla chitarra, la quale, furoreggia attraverso impeti e rallentamenti, proprio per immedesimarsi nei paesaggi della loro fuga. Tutto scorre, tutto vibra, come se i silenzi e le urla che li circondano, fossero proprio tutti i segni istintivi dove costruire le tappe di un viaggio tipicamente americano. E non è questione d’inseguire il tanto decantato “sogno”, perché non vogliono farsi fottere com’è successo a milioni di illusi. Quello che conta è suonare: suonare, fino a stancarsi. Il resto lo faranno con i passeggeri della prossima avventura. Cosa dite? Avevate già sentito qualcosa del genere? Avercene (!)
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LA IGLESIA ATOMICA
“The Jm Jones Kool-Acid Test vol. 1”
Dopo quasi vent’anni di assenza il leggendario gruppo di hard-blues psichedelico sporcato con lo stoner-rock più viscerale di lingua spagnola, e precisamente di Porto Rico, ritorna sulle scene con una session dall’impatto devastante, perché, dopo aver dato alle stampe nel 2018 l’album “Gran Muro de Coma”, volevano registrare una performance live che li rappresentasse nella loro forma migliore. Inutile girare intorno alle parole: quest’ora circa di sovrapposizioni lisergiche, sottolinea in maniera marcata, la propensione di questi “ragazzi” nel trovarsi a loro agio quando sono sul palco, liberi da ogni costruzione fatta a tavolino. La forma live è il terreno fertile in cui queste formazioni esprimono il meglio del loro repertorio, e in questo caso non ci sono giri di parole: il tutto si lascia andare al meglio senza interruzioni per un disco assolutamente da non perdere. Delirante (!)
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MARK LANEGAN BAND
“Somebody’s Knocking”
Quando sentiamo parlare di Mark Lanegan, ci dobbiamo sedere per ascoltare tutto quello che fa, soprattutto quando, rispolverata la sigla della sua “Band”, si ripropone alla vecchia maniera, in cui, la forma canzone tutta blues-rock insieme ai vari dintorni, che siano desertici o stoner, si manifestano nella sequenza apprezzabilissima con cui ci aveva abituato. Tra l’altro, la scorpacciata di elettronica che caratterizzava i suoi ultimi lavori, qui è modulata con discrezione, nel senso che finalmente è il suono delle chitarre a prendere il sopravvento. E poco importa se le derive post-punk fanno capolino a un sound tutto riversato sulle melodie che si integrano a meraviglia con le rollate dei suoi fedeli compari. Ogni pezzo è sempre vissuto sopra la doppia valenza dell’orecchiabilità con l’incedere perfetto delle corde sincopate, in perfetta simbiosi con gli stili i quali citano in sequenza The Gun Club, New Order e Queens of the Stone Age. Ma se qualcuno sta bussando alla vostra porta è perché la vita gira sempre intorno alle passioni più sfrenate, e il nostro eroe non molla un colpo da circa quarant’anni. Inossidabile (!)
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Bene, il volume si sta alzando come volevamo: la pareti vibrano insieme ai vetri delle finestre; qualcuno probabilmente si lamenterà per la situazione caotica dell’insieme. Ma chissenefrega (!), io voglio sentire il rock’n’roll, e non rompetemi le palle.
Una volta la vicina di un mio amico (malato come me), bussando alla sua porta, gli disse di abbassare il suono del suo impianto stereo perché era troppo alto (per la cronaca sul piatto stava andando”Kick Out the James” degli MC5), ma poi aggiunse la tragica frase: “…e poi cambia musica, perché questa non mi piace (!)“. Orrore… se dite delle parole del genere a gente come noi, non fareste altro che ottenere l’effetto contrario. Infatti, la morale è che il mio amico, senza proferire parola, richiuse l’uscio di casa, continuando ad ascoltare quello che voleva, al massimo della potenza. E’ vero, un giorno mi confidò, che probabilmente stavo sparando al massimo quel pezzo devastante, ma non possiamo farci niente, con noi, e con il rock’n’roll, l’amplificatore deve dare il meglio di sé. Buon ascolto …
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PELICAN
“Nighttime Stories”
Va bene, allora a quella benedetta vicina, le giochiamo un bello scherzetto, nel senso che questo album della band di Chicago, sembra voler nascere come una sinfonia moderna, e invece sfodera post-metal terrificante di ritmi insostenibili, dove la dicitura stessa di rock è difficile da sottolineare. Tutto l’incedere si raggruma dentro a un suono pesante e marcatamente stoner mascherato di sludge, in cui le caratteristiche non hanno bisogno di ulteriori precisazioni. Se gli accordi tipicamente metallari si ripetono fino allo sfinimento, servono solo all’introduzione di un discorso che va oltre all’idea stessa di questo genere, il quale, nonostante la ripetitività marcatamente referenziale, cerca d’introdursi all’interno di una ricerca personale e influenzata dalla morte e dal suo concetto stesso di presenza cupa, per quanto misteriosa. Ma se queste son solo storie notturne, allora, la loro sceneggiatura non potrà che essere un viaggio dalle circostanze plumbee, dove la presenza di Lucifero, sarà soltanto un personaggio come tanti, nella variegata espressività degli strumenti. Asfissiante (!)
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PREISTORICS PIGS
“Dai”
Facciamo un passo nelle valli di casa nostra, ed ecco che questo terzetto friulano costruitosi dentro alle impetuose scorribande acid-rock, in cui tutto s’inzuppa con una psichedelia capace di coniugare stoner, fusion, Jimi Hendrix, Black Sabbath e Kyuss, si ripropone in maniera furente, uscendo dalle nebbie della montagna per incendiare con le loro distorsioni tutta l’anima di una penisola abbruttita da anni di nefandezze. Il sound grezzo quanto micidiale, risulta dannatamente efficace e convincente, proprio perché questi ragazzi riescono a strutturare i loro pezzi con degli accorgimenti di piacevole modernità, ricorrendo a strutture melodiche perfettamente inserite dentro a un tappeto classico. Il risultato si coniuga perfettamente con un’originalità la quale in questi casi non è mai banale, anzi, trasforma l’ascolto in una piacevolissima sorpresa e la distende incendiandola di luce propria. Fosforescente (!)
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RED KITE
“Red Kite”
A questo punto se vogliamo sconfinare in un territorio ibrido fra il jazz sperimentale e una forma consueta di rock psichedelico anni ’70, dobbiamo inseguire questo supergruppo norvegese, il quale annovera membri provenienti da band affermate come Shining, Bushman’s Revenge, Grand General e Elephant 9; giusto il tempo per memorizzare la loro origine e poi inabissarsi nel magma sonico di queste suite dall’impronta post-progressive. Fondamentalmente, se un’origine era radicata fra tutti all’interno di un panorama tipicamente nordico, in cui la tradizione heavy ha da sempre furoreggiato, ora, a tutte queste formazioni piace intraprendere percorsi diversi, non necessariamente futuribili, ma attraverso una forma circolare, si espandono oltre ogni genere per poi ritornare sulle tracce da dove erano partiti. La messinscena è consapevole delle finalità con cui si può raggiungere l’apoteosi, e la gioia del risultato finale è un capolavoro di suoni decisamente senza freni. Fantasmagorico (!)
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THE MESSTHETICS
“Anthropocosmic Nest”
Dopo il bell’esordio dell’anno scorso, questo ensemble che raggruppa il chitarrista jazz Anthony Pirog, sempre dedito a mille collaborazioni, insieme alla sezione ritmica dei mitici Fugazi: il batterista Berndan Canty e il bassista Joe Lally; si ripropongono con un secondo lavoro decisamente convincente in cui, la miscela con tutti i post del mondo: hardcore, fusion, punk e rock, sembra davvero la fluttuazione di un treno in procinto di un imminente deragliamento, e che, magistralmente, continua il suo incedere inarrestabile senza un attimo di pausa e senza uscire di strada. La presa diretta di tutti i tempi dispari è veramente una mitragliata che potrebbe massacrare chiunque, eppure, la perfezione delle geometrie sonore è talmente perfetta, nonostante il delirio improvvisativo, che tutti i brani somigliano a un certosino lavoro di tortura avvenuto nelle session di registrazione: violente, nonostante l’opera di pacificazione prima di ogni episodio che prepari la successiva irruenza. Abrasivo (!)
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TOWN PORTAL
“Of Violence”
Concludiamo questo primo giro portando in evidenza l’album di questo trio danese, il quale nonostante l’esplosione vulcanica della copertina, si concretizza intorno a una sequenza di ritmi riconducibili alla violenza degli Shellac o all’ossessione matematica dei Don Caballero. In questo caso, la materia grezza viene lavorata con una serie di martellate che, colpo su colpo si tramutano in morsi veri e propri, come se un artista si accanisse sulla sua opera dopo un lungo lavoro si smussatura. D’altronde, quando la concezione della bellezza si concretizza equilibrando gli opposti che vanno dal classicismo all’avanguardia, allora, tutti i canoni prestabiliti cessano di esistere e si manifestano proprio con la deflagrazione che distrugge ogni cosa. Ci penseremo poi a ricostruire il tutto, ascolto dopo ascolto. Urticante (!)
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Non fateci caso, non fateci caso… di vicini rompipalle ce ne sono a quintale, siete voi che dovete prendere le contromisure necessarie. Non dovete fare alto che ascoltare la vostra musica preferita, e il resto lo faranno loro masticando le onde d’urto che li sconvolgeranno. La vita è fatta di priorità, e le vostre dovete sempre perseguirle.
Buon ascolto !
il Barman del Club
This is dangerous rhythm! Portami due Union e un southern comfort, che qui c’è da sudare
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con questo tempo potrai solo scaldarti !!!
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beh, dai, da vecchietti
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macché vecchietti, da queste parti siamo solo giovani e la vitalità è il sole dei nostri giorni 😀
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avanti tutta!
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alé!!!!!!!!
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allora facciamola tutta!
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grandi: ci volevano proprio !!!!!!!!!!!!! Vedo che sei sempre sul pezzo…
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eeehhhhhhhhhh! ricordo ancora quando lo trasmettevo in radio… le telefonate di protesta
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Ah ah ah li hai massacrati 😀
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ahahahah “poco radiofonico” per usare un eufemismo
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a proposito, gli Union e il southern comfort sono sul bancone, salute !
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Che botta d’energia! E ce n’è per una settimana!😂🙂🥳
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anche due… buon tutto (!)
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…Appuntino ! L’inizio della traccia di ascolto (ma anche qui e la) assomigliano a:
… Comunque a ‘baccano’ andiamo forte !
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Bello!!
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… Ops ! Il gruppo somigliante… THE MESSTHETICS
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non male non male, ottima anche la sinergia con la voce: jazz-rock suonato da dio (!) Io direi, un appuntone… 🙂
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Mi sono fermata ai Préistorics Pigs… questa sera piove ma finestre chiuse o aperte i cosiddetti fantasmini inquilini del piano di sopra hanno avuto la settimana scorsa una bimba ed è meglio non svegliare Il can che dorme … Ops la bimba che dorme.
Grande musica !
Sherabbraccicari
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no no, la piccina lasciamola dormire, l’innocenza va sempre rispettata. Facciamoci un bel Cognac Riserva che con sto tempo va sempre bene 😉
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Idea siuper 😚
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E alza quella chitarra!!!
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…a tutto volume!!!!!
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Stasera andrò a sentire i Follakzoid…
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fammi sapere…
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Tu pensa che devono ancora iniziare…. non ci ho più fisico……. aiutoooo
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Dunque sappi che occorre scordarsi la band di psichedelia space rock… di fatto tecno dura con i riff di chitarra in loop… ho resistito poco meno di mezz’ora, poi ho girato i tacchi e sono tornato a casa. Cerati dischi ultimi (cd e vinili in due edizioni) a prezzi bassi ma francamente non me la sentivo di acquistare.
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ahi ahi mi spiace
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Si sì pure a me comunque chi gestisce a Verona il locale sono bravi e meritavano il costo del biglietto. Il locale è Il Colorificio Kroen.
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lo so lo so a una certa età è dura 🙂
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Certo ci vuole un fisico bestiale ma mi son detto: che ci faccio qui ? Non mi piace neanche un po’ e mica me l’ha ordinato il medico! 😊
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Vero… comunque mi segno il nome del locale 😉
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http://www.colorificiokroen.it/
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ok grazie
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Grazie per i numerosi e pertinenti suggerimenti, mi do da fare e approfondisco al più presto!
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figurati… intanto bevi quello che vuoi
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Come sempre, sei grande! Ti dico subito: a parte i Black Mountain e Mark Lanegan che sono sempre una sicurezza, mi sono piaciuti soprattutto The Messthetics, Red Kite e i Pelican. La Iglesia Atomica molto interessanti. Di giorno potrò apprezzare tutti al meglio, di notte meglio non svegliar il can che dorme. Grazie, prendo un po’ di Assenzio.
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tranquilla, io ho quello buono 😉
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Un po’ di consigli niente male! Cercherò qualche pezzo da ascoltare!
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…e se vuoi anche da bere, devi solo scegliere (!)
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