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Il titolo esatto doveva essere: “Joker – Original Motion Picture Soundtrack – Music by Hildur Gudnadottir” ovvero “L’ossessione del bene e del male“, ma capite, era troppo lungo.  Jim Morrison diceva che il rock era un fottuto mezzo per spacciare poesie, e io potrei aggiungere che un Barman appassionato di musica, potrebbe utilizzare una colonna sonora per spacciare la recensione di un film; giusto perché parlo spesso di musica e poco di cinema.
Entrare nei solchi di una colonna sonora è come entrare nel film stesso: veder ripassare tutta la pellicola nella propria mente, in una sorta di suddivisione delle scene quasi al rallentatore, e in questo caso, accentuate dalla tragedia di un uomo attraverso la potenzialità delle note stesse, oltre al dramma da cui si genera tutta la sceneggiatura. Tanto per rimanere in tema con questo lungometraggio, si vive in un sdoppiamento della personalità. come se il protagonista di una fiction diventasse reale, giusto il tempo per coinvolgere quella parte del presente che abbiamo sotto gli occhi, in cui effettivamente sono troppe le menti che vacillano..

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Il film alterna intelligentemente sociologia a fiction, soprattutto pensando allo sviluppo della trama, in cui il classico disadattato sottomesso da tutti (o quasi) si trasforma in un mostro assassino. Forse, questa mia semplificazione è fatta male, nel senso che sono tante le chiavi di lettura, al di là di eventuali paragoni con la realtà in cui fatti cruenti sono all’ordine del giorno: primo su tutti quella strage del luglio 2012, in cui alla prima del “Cavaliere Oscuro – Il Ritorno”, un giovane americano irruppe nel cinema armato fino ai denti uccidendo 12 persone e facendo più di cinquanta feriti, proprio vestito da Joker. Ma allora, se una situazione sempre in equilibrio tra follia e realtà che conosciamo da tempo, diventa a tutti gli effetti il pretesto per addentrarci nelle pieghe nascoste della società, riuscendo a narrare la genesi di uno dei più famosi personaggi dei fumetti legato alla saga di Batman, e nello stesso tempo ci fa riflettere sulle mille sfaccettature della psiche umana, cosa potremmo aggiungere?

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Il discorso va posto da un’altra parte, anzi, da altre parti, per esempio rilevando la bravura degli attori e soprattutto quella del protagonista interpretato da un Joaquin Phoenix perfetto, il quale sfodera un’interpretazione magistrale. Non è casuale che per tre quarti di film, assistiamo alla trasformazione di una psiche già compromessa e su come l’ambiente contribuisce a frastagliare ogni singolo neurone in scaglie impazzite; mentre, nell’ultimo quarto viene a galla il fumetto, probabilmente com’è giusto che sia, soprattutto per i puristi. Il collegamento alla storia originaria fra lui e quello che diverrà poi il suo avversario, o giustiziere se vogliamo (qui rivisitato nell’assassinio dei genitori di un Bruce Wayne bambino, mentre la trasformazione di Arthur Fleck è sempre più radicale), doveva per forza coincidere con la genesi della DC Comics, o così almeno ci piace pensarlo, anche se l’idea originaria dei suoi ideatori Bob Kane, Bill Finger e Jerry Robinson, sull’identità del Joker, si è sempre mantenuta misteriosa. Poi, se nel The Killing Joke di Alan Moore e Brian Bolland (a cui probabilmente il regista Tood Phillips si è ispirato), o successivamente ne L’uomo che ride di Ed Brubaker e Doug Mahnke, si è cercato appunto di capire com’è avvenuta la nascita di un personaggio così caratteristico, è anche perché la sete ossessiva di prequel e sequel è alla base della moltiplicazione di graphic novel o pellicole basate sulle storie dei cosiddetti supereroi e dei loro rispettivi nemici. Ma va bene anche così, non è questo il punto…

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Quello che a noi interessa è l’equilibrio o la contrapposizione con la nostra parte oscura, o meglio ancora, il rapporto e il piacere con la nostra parte “maledetta”, per dirla alla Georges Bataille, e giusto perché lo abbiamo nominato, cercare di capire il perché si capovolgono le definizioni stesse di Bene e di Male e la loro correlazione: come a dire, se io eccedo nelle stratificazioni del male, vuol dire che vivo nella mia anarchia gridando viva la libertà. Fondamentalmente quello che chiamiamo “bene” è tutta una sorta di convenzioni definite dall’odine costituito, stabilite dalle regole e dalle leggi, ma siccome spesso vengono viste come delle imposizioni, non sempre la loro visione è accettata, anzi, quando questo codice si trasforma in divieto, il poterlo trasgredire si trasforma a sua volta in un vero e proprio piacere, per non dire un “atto di coraggio”. A questo punto l’espressività artistica diventa il mezzo perfetto per evidenziare questa trasgressione e come tale, che sia letteratura o cinema, questa o questo diventano l’affermazione di colui che, consapevole di essere colpevole, non vive questa condizione all’interno di un conflitto di colpa, ma al contrario si esalta nell’aver realizzato un atto di rivolta contro l’ingiustizia nei suoi confronti.

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Nel film, dopo che Joker uccide casualmente tre teppisti nella metropolitana che volevano picchiarlo solamente perché aveva ancora in viso il trucco da clown; questa situazione scatena una ribellione collettiva da parte degli emarginati, i quali si vestono come lui e si comportano come lui: violando le leggi, mascherati.  Questo anche perché spesso, le leggi, vengono usate dal potere come un mezzo per costringere le masse a una sorta di sottomissione, cambiano il concetto iniziale di “bene”, ma usandolo per scopi propri e alterandolo in modo tale da passare dall’atra parte della barricata come i veri cattivi. Ma se nella realtà questa situazione subisce scenari in cui tutti siamo coinvolti e facciamo le nostre valutazioni perché facciamo parte di una collettività compromessa; nella fiction, come ho già detto: che sia letteratura o cinema, la situazione si ribalta, ovvero subentra la condizione del “gioco”, perché in campo artistico possiamo farlo pensando che non sia vero. Ecco che, se prendiamo le parti del “cattivo”, lo facciamo perché all’interno del  nostro abisso interiore, qualcosa ci dice che in questo caso lo possiamo fare, facendo uscire allo scoperto la “nostra parte maledetta”, tanto che ce ne importa: in fondo è solo un gioco, e allora perché non divertirci uccidendo, stuprando e picchiando chi se lo merita? Se vuoi osservate la ferocia e nello stesso tempo il divertimento di quelli che si scalmanano nei videogiochi di guerra, probabilmente capirete quello che voglio dire.

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A questo scopo potrebbe venirci incontro Baudelaire, non tanto perché i suoi “Les Fleurs du Mal” sono considerati un capolavoro di poesia, ma perché ci fanno entrare in un universo capovolto in cui, per capire il valore del bene bisogna trasgredire in una specie di fusione originaria, dove due parti opposte si attirano invece che respingersi, e così facendo e ammettendo le responsabilità dell’errore, non solo si riconosce il suo limite, ma è proprio da questo limite che si riconosce a sua volta il valore del Bene. Lo stesso poeta ci dice: “…Bisognerà dire a voi, a voi che non lo avete indovinato più di quanto lo abbiano indovinato gli altri, che in questo libro atroce (e noi potremmo aggiungere: anche questo film), ho messo tutto il mio cuore, la mia tenerezza, tutta la mia religione travestita, tutto il mio odio, tutta la mia disgrazia?  È vero che scriverò il contrario, giurerò per gli dei che è un libro (e lo ripeto, anche un film) di arte pure, una facezia, un gioco di prestigio, e mentirò come un ciarlatano…”  Ecco, continuano a muoverci in uno spazio ludico dove tutto è il contrario di tutto, dove l’arte s’identifica in una sorta d’insurrezione e nello stesso tempo ammette la sua finzione in cui l’artista, e poi in senso traslato anche l’uomo, per amarsi si deve anche condannare.

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Se avete visto il film, è impressionante vedere Joker che ride, ma in quel preciso momento i suoi occhi piangono, come se proprio le due parti contrapposte facessero parte della stessa persona, impersonificandosi dentro una vita fatta di abusi, difficoltà di ogni genere e sogni infranti che lo costringono dentro a un’eterna illusione fino ad alterare la realtà stessa, come se ormai la finzione dell’arte facesse parte di una quotidianità ripetuta all’infinito nello stesso gioco, e proprio perché è un gioco tutto è possibile: il bene e il male come un’unica rappresentazione, come un’unica ossessione.

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Poi è chiaro, è anche un film di Hollywood, con tutti i compromessi e le accettazioni che un prodotto commerciale deve avere, e come ho detto prima, tutte le corrispondenze con la storia del personaggio stesso. Ma quella che mi è piaciuta è la messinscena in cui si è identificata Gotham City (o New York City non importa), soprattutto nella sua parte metropolitana perfettamente descritta con la colonna sonora di Hildur Gudnadottir. Già, la colonna sonora… Bisogna subito dire che per la violoncellista islandese questo 2019 sarà proprio un anno da ricordare, perché dopo la pluripremiata serie “Chernobyl“, di cui lei ha composto le musiche, bissa il successo con questa seconda partitura. Colpisce soprattutto la descrizione delle atmosfere plumbee, perfettamente calate nella rappresentazione di un ambiente claustrofobico, sia negli interni che negli esterni, come un tutt’uno collegato attraverso una teatralità sconcertante.

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Ma è tutto l’insieme che colpisce, perché ogni scena è descritta musicalmente con un gemellaggio emotivo veramente complementare alle immagini, il quale struttura tutti i passaggi narrativi come un involucro di oblio, un po’ come quelli dove si richiudono i cadaveri dopo un’incidente. Il tradimento che Joker ha subito prima dai genitori e poi dalla società lo rendono talmente vulnerabile che la metamorfosi diventa inevitabile, soprattutto pensando che la discesa verso il basso viene travolta dal successo insperato della sua maschera: paradossale capovolgimento di figure attraverso una tragica ironia. Tutto è trasfigurato nella perdita di un’innocenza fin troppo ostentata senza il trucco del pagliaccio, e poi lacerata nel camuffamento imposto dagli adulti.

Link traccia d’ascolto

Questo secondo punto misura proprio il momento in cui, colui che non vorrebbe lasciare il mondo infantile cercando di far ridere gli altri, si perde nella sua impossibilità di poterlo fare e nella disperata rincorsa di riuscirci, mentre la società sa che la perdita dell’innocenza è un calcolo predisposto a tal punto, che anche la frustrazione potrebbe diventare utile alla collettività. Chi non riesce a contenere la sua parte maledetta diventa l’artefice della rivolta, come se il paradiso perduto fosse la scusa per poter uccidere. Ma questa metafora viene inglobata in un contesto ancora più ristretto, perché sostanzialmente quando il male vuole sopraffare il bene, è chiaro che trasforma chiunque in un colpevole da cancellare dalla realtà, e la realtà ne approfitta.

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Fondamentalmente, già da bambini ci ribelliamo al mondo degli adulti per una sorta di rivalsa personale, e di conseguenza senza saperlo combattiamo il Bene attraverso qualsiasi forma di trasgressione, giusto per sottolineare che il seme del Male nasce in noi molto presto, pronto a uscire allo scoperto appena ne sente la possibilità.
Proprio in questi giorni ho letto una storiella in rete che mi ha fatto divertire e che testualmente racconta: “…Tutti mi dicono che non mi comporto bene e che tutto è derivato dalla mia brutta infanzia: ma quale “brutta”!!! Io da piccolo vedevo solo cartoni animati; vedevo Tarzan che girava tutto nudo; Cenerentola arrivava a casa sempre a mezzanotte; Pinocchio diceva bugie; Aladino era un ladro; Batman guidava a 320 km/h; Biancaneve abitava in una casa con 7 uomini; Popeye fumava ed era tutto tatuato; Pacman correva in una sala buia con musica elettronica mangiando pillole che lo rendevano accelerato. Vogliamo parlare anche di Lupin? E Pollon? Usava una poverina bianca per portare allegria; Lamù era palesemente una escort; Lady Oscar era un travestito… Tutto questo per non parlare della famosa filastrocca: “tre civette sul comò che facevano l’amore con la figlia del dottore…” Ma dai!!!  E vogliamo parlare di cosa si era fumata Heidi alla quale sorridevano i monti e le carpette facevano ciaoooo???  Nooo, troppo tardi! La colpa non è della mia infanzia, ma di quello che voi mi avete propinato per guadagnare denaro spacciandolo come intrattenimento…”  
Ok ridiamo un po’ dopo tanto discorrere, altrimenti sareste voi  a farmi del male dopo queste riflessioni.

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In fondo, se vogliamo attribuire al Bene la forma dell’obbedienza e in senso esteso quella della sottomissione, diventa naturale a un certo punto della nostra vita: sia da piccoli che da adulti, stare dalla parte del Male inteso come desiderio di libertà verso l’opportunismo. Non è casuale che se nel film i ricchi guardano “Tempi Moderni” di Chaplin; i poveri devono rovistare nella spazzatura fingendo di ridere come il protagonista. Joker s’inserisce in questo contesto rielaborando una letteratura ricchissima che si è sempre fatta infatuare dal Male come in senso speculare dal fascino dell’erotismo. Il cinema poi è ancora più infarcito di queste alterazioni e sarebbe troppo facile trovare delle corrispondenze con il “Taxi Driver” o il “Rè per una notte” di Scorsese, così com’è stato scomodato “Arancia Meccanica” di Kubrick. Se a tutto questo aggiungiamo la catarsi che un personaggio così controverso genera nell’attore che lo interpreta (e in questo caso pensiamo all Heath Ledger de “Il Cavalier Oscuro” di Nolan) possiamo capire tutto il lavoro psicanalitico con cui Joaquin Phoenix ha dovuto misurare per calarsi nei panni di una mente così alterata e nello stesso tempo, così umana.

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Purtroppo colui che voleva solamente far divertire la gente, si è ritrovato a dover sostenere una parte più cruda nella tragedia dell’umanità, e se fin dall’antica Grecia tutto questo era teatro, anche quella rappresentazione si è fatta sottomettere dal Male.
Quando avevo vent’anni, con la mia compagnia organizzavamo sempre la festa di Carnevale, e un mio amico si vestiva sempre allo stesso modo: abito nero e trucco da Clown. Siccome ero io che maneggiavo i colori, ero sempre io che dovevo truccarlo: viso bianco proprio come il Joker, un labbro che rideva e uno che piangeva, due occhi accentuati in cui da uno scendeva una lacrima e dall’altro saliva un tiepido sole. Alla mia domanda perché si vestiva sempre uguale in quel modo tragicomico, lui rispondeva sempre: “caro mio, se a carnevale tutti mettono la maschera, io me la tolgo...”

Salute ragazzi, alla prossima !

il Barman del Club

38 Comments on “JOKER – L’ossessione del bene e del male

  1. Stai dicendo che Holmes, ad Aurora, indossava una maschera da Joker? Io ricordavo fosse una maschera antigas, ma in questo caso – pur rigettando la tesi della pericolosità di un film di per sé, che sia Joker o qualunque altro – potrei capire senz’altro di più chi protesta un rischio emulazione.

    […] ogni scena è descritta musicalmente con un gemellaggio emotivo veramente complementare alle immagini, il quale struttura tutti i passaggi narrativi come un involucro di oblio, un po’ come quelli dove si richiudono i cadaveri dopo un’incidente.
    E’ un po’ come dare un’occhiata all’immensità dell’universo di fuori, di notte, ma dovendo restare rinchiusi in una stanzetta asfittica.
    Mi permetto di linkarti il mio post sulla soundtrack: non so quanto le mie sensazioni si possano sovrapporre alle tue, ma condivido.
    http://lecoseminime.home.blog/2019/10/30/joker-original-soundtrack/

    In fondo, se vogliamo attribuire al Bene la forma dell’obbedienza e in senso esteso quella della sottomissione, diventa naturale a un certo punto della nostra vita: sia da piccoli che da adulti, stare dalla parte del Male inteso come desiderio di libertà verso l’opportunismo.
    Mica pizza e fichi, sai. Mica pizza e fichi…

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  2. Antonio, ciao!!!! Joaquin Phoenix bravissimo. Ero una fan di suo fratello River dai tempi di belli e dannati…..ho visto Joker e condivido i tuoi pensieri, le tue considerazioni che, come tuo solito, hai generosamente approfondito regalandoci spunti di riflessione sull’abbinamento con la colonna sonora. Mi è piaciuto più lui con la sua interpretazione che non il film, ma qui è solo questione di gusti. Grazieeeee🙏🎼🎵🎶🎹😊💋

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  3.  “assistiamo alla trasformazione di una psiche già compromessa e su come l’ambiente contribuisce a frastagliare ogni singolo neurone in scaglie impazzite”
    Questo è quanto mi è saltato subito agli occhi: un film di denuncia sociale, sulla esclusione.
    Il tuo finissimo bisturi che arriva all’osso analizzando da ogni angolatura la struttura del film con molti dotti richiami mi ha aiutato a decodificare le infinite ragioni per le quali ho apprezzato e molto il film!

    Barman beviamo!

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  4. Premetto che non ho visto il film, (e se c’era bisogno di una ulteriore spinta per vederlo, tu ci sei riuscito alla grande), ma ho letto in giro varie recensioni, e mi sono fatto convinto (per dirla alla Montalbano) che al di là della grandissima performance di Phoenix, attore che adoro, il film è si una sorta di seduta psico-analitica ma anche un’istantanea sociale autenticamente stordente, un dualismo della peggior specie, perché ci mette di fronte ad alcune responsabilità troppo invadenti e pervasive, esageratamente complicate perché siano anche attraenti.
    Le risata di Joker/Phoenix – bellissima la tua immagina degli occhi che piangono mentre ride – in qualche modo è proprio la prova provata di questo “due che combatte e vive in uno”, una risata che annichilisce di dolore, un grido arcaico d’aiuto che si manifesta nella più magnifica delle emozioni, ridere. Pensa che ossimoro devastante.
    Per la birra ti consiglio la Bevog, un produttore di birra sloveno, molto particolare quella di stampo IPA, ormai non riesco più a bere birra “normale”, abbinata a pizza con mortadella e pistacchio. Una leccornia.
    Ciao Antonio, buona giornata

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    • grazie del tuo bel commento… in fondo è proprio così: un dualismo bipolare insito in una persona che ha forza di ridere finisce per piangere, per poi, come reazione, fare della risata la sua arma.
      Grazie poi per la IPA, anche perché dopo diverse “medie”, concludere con una birra speziata è la degna colcusione di una bevuta in compagnia. Tra l’altro la Bevog non la conoscevo e vedrò di rimediare.
      Ciao Sarino, buona giornata anche a te !

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  5. Mi addolora come non mai non essere uno di quegli opinioni leader (spesso, ahimé, pennivendoli troppo pagati) capaci di spostare l’interesse di migliaia di persone, perché mi piacerebbe fare molto di più che semplice tessere le tue lodi su questo rispettabilissimo spazio web, ma dove chi ci leggerà già conosce te e la tua sapienza critico-estetica: hai scritto infatti un pezzo fenomenale, in cui in più di un punto la tua prosa si è alzata in piedi per scrollarsi di dosso i doverosi legacci della didascalia per abbracciare quelli della poesia e cercare di trasmettere la potenza del messaggio che volevi comunicare, che poi è lo stesso della comunità di artisti che si sono ritrovati assieme a creare questo Joker.

    Hai reso giustizia,come solo sai fare tu in campo saggistico musicale, ad un’artista fenomenale come Hildur Gudnadottir e per farlo hai anche navigato attorno allo specifico filmico della regia di Todd Phillips, alla recitazione di un immenso Phoenix ed al cast tecnico tutto.

    Mi sono spellato le mani dagli applausi ed ho sorriso beato per tutto il tempo che leggevo il tuo pezzo, che dopo mesi di terribili vaccate copiaincollate lette in giro, di finte critiche inno all’ignoranza gretta, di pseudo originalità di chi si pensa cool solo perché sa sparare nel mucchio, di chi parla di Taxi Driver solo perché glielo hanno detto di fare sui social e di cui ha visto solo i pezzi distribuiti via YouTube, dopo tanta puzzolente melma stantia, il tuo articolo è un inno all’andare oltre il testo, a cercare i rimandi culturali che non siano solo le masturbazioni in salsa nerd, ma uno storytelling servito su un piatto di maschere romanzesche non solo comiche o tragiche, fino alla psichiatria, presente in modo sapiente e non raffazzonato nella sceneggiatura del film.

    Quanto ti voglio bene, barman! Servimi per favore un calice di Sauternes un po’ freschino, ovviamente 1er Cru, perché non sarebbe possibile trovare di meno da te…

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    • Wow! Sei un cliente speciale anche nell’ordinare da bere, perché scegliere un monovitigno così particolare non è roba da tutti i giorni, e allora cin cin !
      Poi, se vogliamo anche divagare nel film, cos’altro aggiungere? Come sai anch’io odio quella ridda di recensioni fatte con lo stampino, che leggendole non mi dicono niente. Non tanto perché io preferisco inoltrarmi nelle pieghe dell’artista, che magari giudico a livello istintivo, però spesso quello che sento dentro cerco di tradurlo con il mio codice. Fondamentalmente tutti noi agiamo pescando dal fondo della nostra anima, e perché allora non inoltrarci in un percorso psicanalitico, il quale non dev’essere per forza visto come un limite, anzi, è proprio con questa analisi che si possono sviscerare tutte le potenzialità, o i difetti, di un’opera d’arte. Poi ripeto, è sempre un discorso personale. Un po’ come faceva Lester Bangs e altri maestri del genere…
      Va bene, vediamo di scolare questa bottiglia, perché in casa ne ho uno della Château La Tour Blanche: penso il migliore…
      Salute !!!

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      • Intanto porto dell’erborinato con me, visto che hai aperto una bottiglia da paura…

        Poi mi siedo a godermi il vino, ascoltandoti/leggendoti, mentre componi sinestesie e crei affascinanti attribuzioni, come quando citi non solo artisti ma persino grandi critici, come il baffuto Bangs (che poi la musica, alla fine, rientra sempre anche dalla finestra).

        Prosit!

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  6. Gran bel finale, al di là del mio giudizio sul film, tutta la recensione è molto piacevole e interessante. Saluti!

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  7. Sono restio al genere ma provvederò a guardarlo ! Tempo fa avevo visto Split (da ciò che scrivi dovrebbe essere simile) e mi era piaciuto molto.
    …Vediamo !
    Comunque ottimo post !

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    • Due bei film tra l’altro: si li ho visti, così come ritengo Joaquin un bravissimo attore, il quale riesce a immergersi dentro a molteplici personalità, diversissime eppure credibili proprio per la sua interpretazione. Penso a “Signs”; “The Village”; “Walk the line”; “The Master”.Probablmente è uno di quelle personalità che riescono a vivere meglio la finzione scenica che la vita reale; ma questa è solo una mia impressione.

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      • La condivido. Colgo l’occasione per segnalarti che ho appena sfornato un nuovo post, più precisamente una classifica dei migliori film del decennio: spero che ti piaccia! 🙂

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