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Tales From The Loop” e una serie fantascientifica a episodi distribuita dalla piattaforma di Amazon Prime, la quale si ispira al famoso volume di illustrazioni dello svedese Simon Stålenhag: “Loop“, appunto. Le opere di quest’artista scandinavo sono un’ibrido fra narrazione, graphic-novel, disegni iperrealisti e visioni legate a un archeologia urbana retro-futurista, in cui i protagonisti si aggirano intorno a paesaggi di un futuro prossimo venturo già facente parte del passato, e dove, gli impressionanti scheletri della tecnologia, sono a tutti gli effetti un monito della nostra presunzione, come se le enorme carcasse abbandonate, fossero proprio dei simulacri rimasti ad osservarci.

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Nell’opera originale le storie  si riferiscono al progetto del sopracitato “Loop”: un anello di accelerazione delle particelle, costruito nel nord della Svezia e in particolare modo nelle Isole Mälaren, inaugurato nel 1970 dopo undici anni di costruzione e chiuso nel 1994. I residui industriali di quell’esperimento, ispirarono per un adolescente fervido di fantasia come Stålenhag, all’edificare il suo mondo fantastico, dove l’immaginazione si fuse con la realtà, soprattutto in relazione alle storie che si vociferavano, in cui tale struttura poteva curvare lo spazio-tempo e che alla fine ha lasciato soltanto rottami sparsi per le foreste. Questo almeno nella fantasia dell’autore.

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Ecco che lo scrittore e produttore statunitense Nathaniel Halpern (già direttore tra l’altro di “Legion“; “Killing” e “Manh(a)ttan“), prende spunto da queste storie e realizza una sua serie trasportandola in America, nei silenzi di una cittadina di provincia, la quale è legata economicamente a questo acceleratore di particelle, in cui, quasi tutti  gli abitanti, direttamente o indirettamente, ci lavorano e si giovano della sua presenza. Ma è proprio a questo punto che diventa protagonista la fantasia, presa per mano da attori bambini o adolescenti, giusto per essere gli alter ego al mondo egli adulti, dove, come anticipato prima, le alterazioni dello spazio-tempo, cambiamo per sempre le loro vite e la loro prospettiva della realtà, anche nella purezza infantile. Però attenzione, non è una serie dedicata a loro, tutt’altro: siamo noi gli ipotetici fruitori del messaggio.
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Gli episodi sono tutti sceneggiati attraverso una visione quasi zen, nel senso che lo stretto rapporto con la natura, diventa metafora tra il volere e l’essere nell’alternanza e nell’intromissione della tecnologia. La narrazione è volutamente lenta, per non dire,  lentissima, e se inizialmente questa costruzione potrebbe diventare fastidiosa e in un certo senso pesante, la sua dinamica alla lunga si trasforma proprio in una meditazione fra noi e quello che circonda la nostra vita e su quello che può resistere al tempo. Nonostante lo si voglia cambiare a tutti i costi, proprio in relazione all’immutabilità di un pianeta che può resistere a tutto, e in contrapposizione al nostro modo di concepire l’eternità o la nostra esistenza, vista come un battito di ciglia, il tutto va osservato nel godere proprio di quest’attimo. Come si dice nella storia stessa: “…a volte le cose sono speciali, perché non durano“.

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Le realtà parallele che si generano, anche emotivamente, contribuiscono a dare forma a tutte le variabili che fanno parte delle nostre dinamiche familiari, in cui, l’inevitabile non lo si può cambiare, neanche con equazioni quantistiche, perché le eventuali modifiche sulle ipotesi del tempo, non potranno mai modificarlo a nostro piacimento, ma sarà sempre il contrario.
La presenza di questi laboratori scientifici alla lunga diventa una messinscena appena accennata, nel senso che saranno soltanto le persone gli autentici protagonisti di questa storia, divisa in otto episodi autoconclusivi, ma interconnessi fra di loro come un legame impossibile da sciogliere, anche nello scorrere impietoso delle ore, lasciando che sia la poesia a parlare.

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Tra l’altro la perfezione che il produttore ha voluto contemplare con le sue visioni e i dipinti dello stesso artista svedese, è veramente esemplare, come se un pezzo di filosofia nordica si inserisse nella quotidianità americana, mantenendo intatta quella che era l’ipotesi iniziale, senza alterare niente. Ed è proprio questo punto che sorprende: in un era dove la voracità delle scene dev’essere per forza vissuta a ritmi velocissimi, questa visione che nasce da una tecnologia in decadenza privilegiando le strutture della natura, rispecchia quella deriva che non dovremmo intraprendere. Intorno a noi esiste un pianeta bellissimo: cerchiamo di viverci in perfetta sintonia.
Il rendere possibile l’apparentemente impossibile, siamo sicuri che sia la strada giusta?

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I vari personaggi entrano in contatto con  oggetti ritrovati per caso nella foresta, senza capire la motivazione di tale abbandono. Oggetti che possono cambiare, modificare o alterare le loro stesse vite, in un gioco continuo di passaggi temporali ma, alche questo non è il punto, perché tante domande rimangono inespresse lasciando che sia lo spettatore a formulare delle risposte esaurienti.  È il meccanismo di tali movimenti che porta a una soluzione sempre legata ai sentimenti e alle interpretazioni più intime di noi stessi e di come siamo legati in maniera indissolubile dall’infanzia in poi a quello che abbiamo fatto. Anche con quelli che ci circondano.

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Alla fine però bisogna calarsi dentro a queste storie con la pazienza di chi ad occhi chiusi ricerca, non tanto le risposte della sua esistenza, ma la consapevolezza che tutto è inevitabile, ed ogni tentativo di manipolare il tempo, potrà solamente peggiorare un evento negativo.
A volte c’è qualche lentezza di troppo e si persiste nella contemplazione dell’inespresso come moto per capire e non capire quello che verrà, ma è proprio questo il punto centrale delle storie e della storia stessa: fermarsi un attimo, magari in silenzio e finalmente guardarsi intorno.

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Se leggiamo i veri registi che si sono alternati nella successione degli episodi, ci vengono i brividi: Mark Romanek (già autore dello sci-fi alternativo “Non Lasciarmi“); la sudcoreana So Yong Kim (premiata al Sundance Film Festival del 2006 con “In Between Days“); l’irlandese Dearbhla Walsh (pluripremiata per i vari episodi in diverse serie tra cui “Little Dorrit“); il belga Tim Mileants (noto per “Peaky Blinders“); Anrew Stanton (autore di “WALL-E”  e altri film d’animazione della Pixar); Ti West (l’autore del fanta-horror “The Innkeepers“) e per finire Jodie Foster, la quale si era già cimentata con la sci-fi nell’episodio “Arkangel” della fortunata serie “Black Mirror“. E giusto per concludere il tutto con bellezza: la musiche sono di Paul Lenord Morgan e Philp Glass.
Che aggiungere ancora?

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Potrei aggiungere che nella stasi in cui siamo circondati ora, mi sono sdraiato sul mio terrazzo ad ascoltare il silenzio: nessuna macchina che passa, nessuno schiamazzo, nessun rumore di sottofondo, nessuna agitazione; solo i suoni della natura, i suoi ritmi il passare del vento e un bel whisketto da sorseggiare in santa pace. Così mi sono chiesto: ma tutto il resto della mia vita, perché l’ho passata nel solito casino?

Salute ragazzi !

il Barman del Club

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Le illustrazioni n° 1 – 2 – 3 – 4 – 11 – 12 – 13 – 14 – 15 – 16
sono di Simon Stålenhag e sono tratte dal volume “Loop(Edizioni Mondadori/Oscar-ink)
I fotogrammi n° 5 – 6 – 7 – 8 – 9 – 10
sono tatti dalla serie “Tales From The Loop” di Nathaniel Halpern 

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29 Comments on “TALES FROM THE LOOP

  1. Vista e te ne volevo parlare ma sai il tempo mi vola così ricco di… impegni!

    Certamente leggerti e stato un lungo viaggio che si gusta molto di più avendo visto la serie che certamente non è detto sia apprezzata da tutti perché spesso molto lenta che però è anche voluto.

    Richiami a Black Mirror di cui è cominciata la quarta serie non eccessivamente esaltante! Evviva Jodie Foster che ci ha riprovato!
    Bellissima serie. Introspezione molto profonda difficile davvero da trovare in una serie. La fantascienza è solo un pretesto per indagare i sentimenti umani. Alcuni episodi sono assolutamente fantastici e più precisamente il 2 e il 7!

    Deve essere una tentazione abbastanza comune quella di sdraiarsi per terra, attento all ummido meglio con un tappetino.

    Saluti! No Whisky per me è l’unico tipo di alcol credo che non mi piace😫

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  2. Ho apprezzato Tales from the loop per le riflessioni che genera sul concetto del tempo analizzandolo sotto vari aspetti: fermare il tempo, andare indietro nel tempo, andare avanti nel tempo, il tempo della morte, il tempo dell’adolescenza, il tempo della maturità. Quello che alla fine scaturisce da questi otto splendidi e lenti episodi è che la vita non è altro che ” un battito di ciglia”. Dovremmo ricordarlo sempre.
    La visione la accompagnerei ad un cocktail evocativo come lo star cocktail (Calvados, vermouth rosso, Angostura). Alla tua.

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  3. Come sempre un interessantissimo articolo.
    Sono molto colpito da queste scenografie, o dipinti originanti. Il relitto futuristico in un presente interrogativo, che quasi resuscita sentimenti e aspirazioni primitive mi affascina molto. Così come i segnali predisposti dalla nostra specie per una possibile comunicazione con generazioni e forme di vita che vanno oltre la sua stessa durata. Messaggi in bottiglie lanciate nello spazio o incastonate nel nostro stesso pianeta che in un futuro ipotetico e di metamorfosi potrebbe ancora ricevere visita… (mi riferisco a un altro tuo suggestivo articolo dell’estate scorsa).
    Insomma. Evocazioni che suscitano anche un importante sentimento di caducità e smarrimento (un’agorafobia non spaziale, ma temporale), come giustamente sottolinei più volte nell’articolo, che è giusto stemperare dilatando il presente (in compagnia di un buon whisky, perché no). Ed ecco che quelle immagini, reali, se pensiamo al filone di fotografi dediti all’archeologia industriale del XX secolo – stupende le foto dell’inverno siberiano che fagocita centrali e postazioni missilistiche dell’ex Unione Sovietica, ad esempio, ma anche la vicinissima Consonno, per citare un sito più “domestico” – diventano monito, scultura, monoliti, con i qual l’essere umano, nella sua infinitamente ricca finitezza, è chiamato a confrontarsi.

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    • Bel commento grazie: hai analizzato alla perfezione le mie impressioni, all’interno di un universo emotivo ristretto intorno a una piccola cerchia di persone, ma che in senso lato si ampliano a tutte le forme viventi. Il rapporto uomo-macchina è in questo caso sviluppato molto bene, considerando il contrasto col concetto di tempo. Mentre il nostro rapporto con l’archeologia urbana o industriale, ha da sempre un fascino particolare, perché ci fa entrare nella dimensione di un futuro terribilmente decadente, il quale sposta la storia talmente indietro a noi, da farcela paragonare ai resti di culture antiche. E’ incredibile come tutto ciò che credevamo eterno è invece di una caducità impressionante. Hai citato “Consonno”, per esempio, ma potremmo elencarne altri, proprio per erigere dei monumenti come fossero palafitte del presente, costruite intorno ai grattacieli. I grattacieli cadono e le palafitte restano. Forse fermarsi ad ammirare questi resti, a volte, è meglio di un tempio geco. Non lo so… io continuo a sorseggiare il whischetto, e chissà se la sentenza ce la potranno dare i posteri? Intanto salute e grazie ancora del tuo intervento !

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      • Perfettamente d’accordo, prosit!
        La natura biologica pare fagocitare le nostre creazioni senza troppa fatica (tutto sommato me lo auspico) e sembra altrettanto in grado di disarcionarci dai nostri troni di carta e intelletto e tecnologia e spazzarci via in men che non si dica. Una cavalletta, da questo punto di vista è mooooolto più forte e resiliente di un sapiens. Condivido il senso di ammirazione e rispetto. Se vogliamo continuare a viverci, sarebbe opportuno riflettere, guardarsi indietro e ammirare, ma soprattutto rispettare.
        (In tutto ciò mi hai dato spunto per un raccontino…)

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  4. Per me sarà una bella scoperta, grazie. Adoro queste cose, non solo il fascino delle rovine, non solo archeologia industriale, anche l’idea che stiamo vivendo in un futuro remoto, così remoto da essere ormai a sua volta antico (si è un po’ contorto, Ballard parlando del primo Guerre Stellari, l’aveva spiegato meglio) e poi il tempo. In queste settimane siamo in una bolla ed è più facile che mai dedicarsi a certe speculazioni. Tieni pronti i bicchieri, prima o poi il tempo ripartirà. Ciao.

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