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Quando scoprii Will Toledo lo definii un novello Rimbaud, perché dopo aver autoprodotto prima dei vent’anni ben 9 album, e poi, scoperto dalla Matador, pubblica un lavoro pazzesco come “Teens of Denial” del 2016 (sicuramente uno dei dischi migliori degli anni ’10), e rieditando nel 2018 quel “Twin Fantasy” in una doppia versione che include il suo gioiellino giovanile con la versione nuova rivista; ebbene, non mi capacitavo, vista la situazione odierna, se la sua figura potesse scomparire subito dopo aver creato tanto, o ripartire circondandosi con quell’aura di culto, in cui, personaggi artistici superiori, vengono poi definiti sempre a metà fra il genio o l’autore borderline. In realtà questo ragazzotto dall’aspetto tipicamente nerd, dopo aver creato i Car Seat Headrest si riprende la scena, fregandosene ampiamente dei miei paragoni con il maledetto francese, dimostrando una classe superiore alla media con un altro lavoro particolarmente interessante.

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Making A Door Less Open” è un altro passo avanti per sottolineare le doti di Will, perché, concepisce prima questo lavoro in maniera tradizionale, registrandolo con il suo classico stile indie, per poi riarrangiarlo con gli 1 Trait Tanger: una sorta di progetto parallelo ideato dallo stesso Toledo con il batterista Andrew Katz (vi lascio il Link del loro lavoro d’esordio), in cui l’urgenza dell’elettronica dance/rap miscelata a una forte dose d’ironia e di divertimento, struttura, come ci dicono i suoi protagonisti, degli spettacoli comici definiti “commedie”, probabilmente per alternarli alle tragedie con cui siamo circondati, e soprattutto, per dimostrare come una band possa ridere di se stessa e far ridere i suoi fan. Frank Zappa lo fece a suo tempo, ma qualcuno doveva pur continuare…  Ecco che se l’essenza seria di questo album si trasforma, inseguendo una modernità particolare ibridandosi con dei suoni diversi, tutta la sua struttura acquisisce il suo giusto equilibrio fra passato e futuro.

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Sono ragazzi giovani, che vogliono trasmettere tutte le loro problematiche, ma anche divertirsi fra una birra e l’altra. Le storie iniziali raccontate in auto mezzi addormentati dopo una serata di baldoria, diventano più mature, si appropriano dell’ironia con cui la vita deve cibarsi e lanciano lo stesso la loro denuncia, perché sono i nostri figli che ci parlano e ci raccontano il mondo così come glielo abbiamo lasciato; così come ogni scarto generazionale gestisce la sua ribellione.

Link traccia d’ascolto

La metafora della maschera, la quale in un certo senso è presente in gran parte delle tracce, non è solamente una eco riproposta da tanta letteratura, ma la rivendicazione teatrale della sua verità nascosta sotto la superficie della realtà, come una rappresentazione quotidiana, in cui ci nascondiamo anche se ci siamo immersi. “…Metti il ​​tuo cuore sul bersaglio / si aspettano che tu urli / … / Pensavo che le persone non cambiassero mai / ma c’è un nuovo assaggio di terrore che non posso spiegare…”

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Tra l’altro con una sconcertante previsione, sembra di vedere qualcuno che si muove in un mondo come quello che stiamo vivendo ora, dove le mascherine antivirus, ci nascondono la faccia quasi per la vergogna di quello che abbiamo provocato fino ad ora. In realtà tutto è stato registrato prima di questi ultimi eventi, ma come sempre succede, la fantasia dell’artista supera ogni previsione, e la sceneggiatura quotidiana entra nelle stanze dove ci nascondiamo e dove ripetiamo sempre gli stessi e medesimi errori.

Link traccia d’ascolto

…Proprio quando penso di essermene andato / tu cambi la traccia su cui mi trovo / Proprio quando penso di aver finito / mi bruci prima dell’alba…”  Si arriva così a condizionare ogni rapporto interpersonale, nella ricerca di un volto dove riconoscersi o di una storia dove ricominciare da capo, ma come sempre succede, la maschera prende il sopravvento e ci si identifica in essa, trovando rifugio nelle finzioni di una cinematografia che da tempo ci ha illusi e in un certo senso ci ha traditi, raccontando quello che non esiste.

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La musica fa tutto il resto, piega al suo volere un indie-rock sporcato di elettronica quanto basta per imprimere quella spinta necessaria a modulare le liriche della vita in note all’impatto interiore senza sosta. Tutti i pezzi sono caratterizzati da un inizio dove si lancia il messaggio per poi fargli prendere il volo, lanciandolo veramente in alto. E a questo punto, non servono più le maschere: servono le ali, soprattutto per quelli che sono riusciti a farsele crescere in fretta.
Come sempre c’è anche molta varietà nell’unità di stile che caratterizza questo gruppo, riuscendo a strutturare un complesso artistico calato a piene mani nell’universo americano, ma sempre attento all’evoluzione che via via bisogna circoscrivere per continuare a esistere.

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Will Toledo e i suoi Car Seat Headrest, si ripropongono migliorandosi e dimostrando che le scelte innovative si risolvono mantenendosi come si è nati, ma crescendo si cambia e ci si veste nello stesso corpo che li ha generati. Una cosa è certa, se prima si ubriacavano dopo un live di successo ora non lo saranno da meno…

Salute ragazzi !

il Barman del Club

6 Comments on “CAR SEAT HEADREST – Making A Door Less Open

    • bene allora: siccome ogni tanto litigo con il programma di wordpress, mi ero preoccupato, anche perché ogni tanto quando lascio dei commenti in altri blog, capita che non si memorizzano o finiscono in spam.
      Vabbè sono contento che ti sia piaciuto il disco: è quello che conta !

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