Ci sono artisti di cui è quasi impossibile stilare a livello nozionistico, tutta la produzione di una carriera multiforme, sempre concepita e vissuta sopra una linea di confine in cui, jazz, fusion, rock, etnica, exsperimental e ambient, si è via via modificata e costruita intorno al lavoro di manager, di compositore o di jam-session, inanellando tutta una serie di lavori notevoli e di grande respiro. Già produttore dei Ramones e di Iggy Pop; ha collaborato con Brian Eno, Manu Dibango, Peter Brotzmann, George Clinton, Fela Kuti, Peter Vermeesch, Mick Harris, Ginger Baker, tanto per citarne alcuni. Ha fondato insieme a Daevid Allen i “New York Gong”; insieme a Michael Beinhorn i “Material”; insieme a Anton Fier i “Golden Palominos”; insieme a Tony Williams gli “Arcana”; insieme a Zakir Hussain i “Tabla Beat Science”, insieme a Sonny Sharrock i “Last Exit”, insieme a Bernie Warrell i “Praxis”; senza contare i “Massacre”, i “Divination”, i “Blixt”, gli “African Dub”, o i suoi molteplici lavori solisti e le sue infinite collaborazioni. Insomma, c’è da perdersi dentro un magma sonoro capace di competere con giganti tipo Frank Zappa o John Zorn, anche e proprio per la poliedricità delle sue scelte e della sua voglie di rinnovarsi ogni volta, mai capace di fermarsi dentro un singolo genere.
Anche in questo suo ultimo album lo vediamo insieme a un collettivo straordinario che lui è capace di guidare riuscendo a contenerne l’irruenza pur lasciando loro quella libertà espressiva necessaria per una creatività e un’improvvisazione fascinosa. Basta citare un monumento come Herbie Hancock al piano elettrico, o i sassofonisti Pharoah Sanders e Peter Apfelbaum, e di ben quattro batteristi: Jerry Marotta, Chad Smith, Hideo Yamaki, Satoyasu Shomura, con l’aggiunta del percussionista Adam Rudolph.
Ne esce un affresco affascinante, multiforme, immaginifico, dove il cromatismo di tutti gli elementi si amalgamano in una sorta di metamorfosi collettiva, strutturando la genesi e la morfologia sonora di una storia, la quale nasce da lontano, fin dai vulcani e dalle acque che hanno dato origine alla nostra vita, per arrivare alla quotidianità di questi giorni, in cui, la massa enorme dell’impero, ci opprime come un peso insopportabile, ridotti a pedine manovrabili con una semplice ordinanza.
In 60 minuti di suite sono solo 4 le tracce: Golden Spiral, la prima, parte proprio con un assolo di sax, per poi intraprendere un viaggio fatto di elettronica e di percussioni che si sovrappongono ai vari innesti sia del piano e sia dei due sassofoni, in un continuo dialogo il quale ripercorre tutti i riflessi di questa spirale, come se l’universo fosse intorno a noi, inglobandoci con lui. D’altronde, la vita è nata proprio dalle stelle. Tabu il secondo pezzo, ci conduce nel mistero e nella bellezza della nostra creazione, anche se le batterie, in una continua sovrapposizione di ritmi e controritmi scandiscono le varie fasi dell’esecuzione. Maestoso, il sax di Sanders emerge come una Venere dalle acque, conquistando le terre emerse con una progressione free palpitante. Gli intermezzi impressionistici di Hancock servono da visione per appartenere agli orizzonti che via via si immaginano, fino a quando esplode la vitalità e l’energia. Traccia fantastica, eseguita con una professionalità pazzesca e visionaria.
La terza traccia: Shadowline, è la prosecuzione della seconda, dove i ritmi si intensificano miscelando jazz a funky, dove anche il basso del nostro protagonista prende il sopravvento, dialogando con il sax incuneato dentro ai luoghi dove melodia e noise s’incontrano senza mai eccedere nella misura della loro dinamica. Ecco che le percussioni dettano legge, tracciando quella linea dove ombra e luce formano il territorio della nostra fantasia e delle nostre ipotesi sulla nascita dell’uomo. Poi, come sempre, siamo noi a delineare il confine fra gioia e ribellione, fra catarsi ed estetica.
L’ultimo pezzo: The Seven Holy Mountains, rappresenta nei suoi 18 minuti la conseguenza del caleidoscopio venutosi a formare fra questi interpreti strepitosi, mai fuori dalle righe, sempre coerenti nonostante l’apparente illusione di aver svelato al pentagramma il segreto della nostra origine, per cui, pensare al Bitches Brew di Miles Davis non è peccato, anzi…
Bill Laswell dimostra ancora una volta di riuscire a convivere con tutte le sue varie anime, trasformandosi e inventandosi come un alchimista di suoni, senza essere blasfemo, senza sconfinare nell’esagerazione pur divagando negli stili sovrapposti. Riesce a creare un insieme talmente coerente da lasciarci stupiti per come ogni struttura armonica diventa una pennellata sopra un quadro tridimensionale.
Tutta la sezione ritmica, i fiati, l’astrattismo del piano elettrico, sono talmente uniti fra di loro, da diventare stile a loro volta, come se fossimo di fronte a uno strumento unico, senza protagonisti. Questo perché il suo direttore d’orchestra, riesce a imprimere in ognuno di loro quella voglia di essere se stessi pur essendo in un gruppo così eterogeneo, come se uno strumento solo appartenesse a tutti, indistintamente.
le foto sono tutte prese dal web
Questo personaggio eclettico ci regala uno degli album più belli di quest’inizio complicato dell’anno: sia per l’emergenza che ci circonda e sia per l’esagerata proposta musicale di oggi, quasi a reagire “contro l’impero” appunto, su un ipotetico avvenire mai così complesso, mai così inquietante. Eppure, se la musica prende le distanze reagendo con la dolcezza e la rabbia che ha sempre espresso, creando un mondo alternativo in cui vivere, possiamo credere che lo spirito dell’Arte sarà sempre così potente e così espressivo, da reggere l’urto di qualsiasi fantasma messo lì solo per il gusto di spaventarci.
E ora da bere per tutti……
Salute ragazzi !
il Barman del Club
Bella sincronicità: ieri ho consegnato una copia di One Down dei Material ad un caro amico, lui in cambio mi ha dato 2 bottiglie di Rosso veronese bio.
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due grandi amici allora: scambio interessante che merita un brindisi !!!
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Infatti… Già fatto a distanza dal terrazzo al piano terra.
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😀
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Questo album ha un titolo bellissimo!
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vero è piaciuto moltissimo anche a me !
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Da un po’di mesi ho acquistato svariati album dei Material, in vinile.
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Grande… meriti un premio !
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Eh non potevo prenderli al tempo.
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E quindi me lo sono dato da solo il premio…🙂
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ma si, è importante essere sempre felici con se stessi, perché queste sono le nostre infinite soddisfazioni
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E non fanno male…
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😉
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E questo album : The third power dei Material, com’è?
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E Allucination Engine? Mi mancano ma vorrei un tuo parere. Grazie.
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“The Third Power” è un album intriso di funky e hip-hop veramente in maniera magistrale, prima ancora che il rap degenerasse in ogni direzione. In questo caso si è talmente trascinati nei ritmi delle sue tracce che non è possibile stare fermi. Io te lo consiglio vivamente (se ti piace il genere), ma alla fine si farà piacere sicuramente.
“Allucination Engine”, invece, ritorna nei territori di un jazz sperimentale dove convergono dub, etnica e melodia. Siamo da tutt’altra parte confrontandolo con quello di prima, infatti uno si potrebbe chiedere se sia lo stesso gruppo, ma tant’è, Laswell è fatto così, non riesce a stare fermo in nessun luogo. E’ comunque carico di un fascino stratosferico, perché i ritmi “indiani” gli conferiscono un’aura magica. Professionalmente perfetto, sembra di ritrovarsi in un mantra sempre a metà fra la meditazione e l’ascolto alternativo. Oggi suonerebbe derivativo per tante cose che in seguito si sono succedute, ma allora, in piena era gunge, fu sicuramente un bel tuffo in altri mondi. Alle fine si sente sempre l’impronta di un jazz elettrico, alla Hancock per intenderci, ma avercene (!!!). Da comprare a scatola chiusa…… 😉
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Grazie, mi hai convinto. Mi mancano entrambi quindi appena li trovo a buon prezzo … ciao!
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figurati grazie a te…
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Sei un Capo.
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…di Buona Speranza 🙂
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“Hallucination Engine” … L’unico che ho ma bellissimo
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vero, molto fascinoso…
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Doppiamente convinto!
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sicuro… è un album doppio 😀
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🙂
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Ci deve essere qualcosa nell’aria, ho preso oggi (e sono in questo momento al primo ascolto) Sound-System, ovvero Herbie Hancock nelle mani Laswell. Bene, bene. Anzi male, ora mi tocca comprare anche Against Empire. Almeno offrimi un goccio che finisco al verde.
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va bene, quando si parla di musica, non ci sono soldi che tengano… tu compralo e io ti pago da bere ad ogni ascolto 😉
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inoltre quando la trasmigrazione delle anime ci conduce verso i lidi delle sette note, non possiamo che esserne felici … 😀
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Pingback: I migliori album del 2020 – per l’Intonation Cocktail Club 432 – Intonations Cocktail Club 432
Bellissimo e interessante articolo su questi dischi in vinile, come lo sai rendere interessante tu, invogliando i collezionisti ad ascoltarli per rendersi conto della bellezza della musica e del canto amalgamati in un gradevolissimo unicum. Complimenti! Buona serata.😊
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Arte più arte: difficile resistere, almeno per me !
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