bob dylan rough and rowdy ways

Parlare di un nuovo disco di Dylan è senz’altro impegnativo ma anche un piacere, soprattutto pensando al fatto che nel giorno dell’assegnazione del Nobel, fui uno di quelli che applaudii, gongolando al pensiero degli pseudo-intellettuali di casa nostra che storsero il naso. Innanzitutto, come sempre, parleremo di poesia, perché di poesia si tratta, una poesia tipicamente americana, che ci guarda, che racconta delle storie, che entra nelle nostre case come quelle serie tv che vanno di moda oggi, ma che contrariamente ai loro stereotipi in questo caso aprono uno squarcio pieno di simbolismi e di letteratura sulla realtà a stelle e strisce, nate dalla penna di uno dei personaggi più rappresentativi degli ultimi sessant’anni. Se dopo Dylan sono arrivati Cohen, Reed, Cave, Jim Carroll e altri, è proprio per merito suo, per aver portato nella canzone una qualità superiore: quella di alto livello, e la canzone stessa è diventata un’altra cosa.

musica popolare americana

È chiaro, proprio ritornando sulla cultura americana, che il raccontare e raccontarsi attraverso l’accompagnamento degli strumenti musicali, era ed è stata una realtà nata insieme alla sua colonizzazione: folk, cantastorie e interpreti di ogni tipo, provenienti da ogni dove e infine i blues-man, hanno contribuito a formare un retroterra dove attingere e dove inventare un’epica vergine, infinitamente vasta come gli sterminati spazi adatti per rappresentarla. Dylan nasce e continua questa tradizione riuscendo nell’intento di andare oltre, superando il limite filologico che voleva i testi di queste ballate delle semplici espressioni adatte solo come intrattenimento. È andato oltre, dando a questi testi una forma lirica di spessore, e la sua carriera lo dimostra pienamente. Ma anche questo, lo sapevamo già.

bob-dylan-mille-volti

Ora, dopo quel “Time Out of Mind” di oltre vent’anni fa, non era più riuscito a ripetersi con la sincerità che gli apparteneva ma, con quest’ultimo lavoro, è riuscito a raggiungere vette molto vicine alla bellezza originaria, soprattutto pensando alle molteplici sfumature di questo “Rough and Rowdy Way“: un disco veramente completo. Come sempre, quando si parla di un album di questo grande artista mi viene in mente l’espressione di quel giornalista, il quale parlando di Dylan disse che ha tanti lati dove guardarlo da sembrare un cerchio. Sostanzialmente, la dimostrazione di questo teorema si evidenzia nel percorso poetico legato alle varie canzoni di quest’ultima fatica, fino a diventare una traccia unica legata con le altre, raffigurandolo come un poema moderno in cui la circolarità del tempo è anche la stessa della storia: passato e presente che diventano un’unica entità.

bob dylan un poema moderno

È chiaro che non si può liquidare un album di questo grande artista con il solito trafiletto. La complessità della sua immaginazione impone un analisi più ampia e approfondita: di conseguenza, se siete abituati al “grappino” bevuto come digestivo scappando di corsa lasciandovi dietro il solito like come attestato di solidarietà, fermatevi… non siete dei lettori attenti, non siete dei bevitori. All’ INTONATION COCKTAIL CLUB ci si sente parte stessa di un alcolico, si ride e si scherza come dovrebbe essere, ma quando s’incontrano delle persone appassionate di un argomento, queste riescono a parlare per ore o anche tutta una notte tra una birra e l’altra, tra un whiskey e l’altro. La bellezza delle proprie idee, vive e si esalta attraverso il reciproco rapporto, magari o soprattutto scherzando, ma la discussione è sempre un dialogo di qualità. Tutto questo per dire che Dylan ha bisogno di una lunga narrazione, come la sua opera, e se avete voglia di leggere e bere insieme a me, allora, potete alzare il bicchiere iniziando una lunga serie di giri, altrimenti servitevi da soli.

contengo moltitudini

birra chiaraPrimo giro

Il primo potrebbe iniziare con il titolo, probabilmente attinto da un articolo del poeta Walt Whitman pubblicato sul Brooklyn Daily Times nel 1857, il quale faceva riferimento ai modi “rozzi e rissosi” con cui si stava costruendo l’America. Ma tutto questo serve per introdurre il primo pezzo: “I Contain Moltitudes” (Contengo Moltitudini), preso proprio da un verso contenuto nella celebre raccolta “Foglie d’erba”, sempre di Whitman, e rielaborato a immagine e somiglianza di Dylan proprio per rappresentarsi dentro le sue infinite sfaccettature. Non è casuale che all’interno questa prima canzone troviamo una lunga serie di rimandi e giochi di parole tra il personale e il metropolitano, dove s’incontrano personaggi di ogni tipo nelle vie, nei bar e nell’immaginazione del  suo cantore. I Rolling Stones e Beethoven; Indiana Jones e Chopin; Edgar Allan Poe e Anna Frank; Willian Blake e Warren Smith; senza contare gli infiniti riferimenti nascosti che vanno da Edith Piaf al poeta irlandese Antoine Ó Raifteirí, ricordato come un bardo vagabondo; giusto per non farci mancare niente. Però, non siamo di fronte a una nuova Desolation Row, perché in questo caso tutto si svolge sotto le luci di un’intera città che pullula di vita trasformandosi in quel flusso di coscienza tanto caro al nostro eroe, e messo in pratica per farci perdere nei suoi labirinti. “…Non ho scuse da porgere / Tutto scorre nello stesso momento / Vivo sul viale del crimine / Guido auto veloci, mangio nei fast food / Contengo moltitudini / (…) / Sono uomo di contraddizioni, sono un uomo lunatico / Contengo moltitudini / Vecchio lupo avido, ti mostrerò il mio cuore / Ma non tutto, solo la parte che odia / Ti venderò al fiume, metterò una taglia sulla tua testa / Cos’altro posso dirti? Dormo nello stesso letto con la vita e la morte… / Contengo moltitudini…” Ma se dall’altra parte dell’oceano Fernando Pessoa costruiva i suoi eteronomi per essere parte di loro come un’unica entità divisa e frastagliata ai limiti della schizofrenia, Dylan non si vuole immischiare con tutti questi: li cita come parte di se stesso e s’immedesima in loro senza però perdere la sua personalità, anche se moltiplicata all’infinito. Sono loro che si perdono dentro questa specie di trance venendo subito dimenticati, come dopo una sbronza colossale. E parlando di sbronze vediamo di non esagerare, altrimenti, ci ubriachiamo soltanto al primo giro.

Dylan-false-prophet

birra chiaraSecondo giro

Al secondo ci troviamo di fronte a un’affermazione importante, o a una provocazione, dipende sempre da come si legge la canzone. “False Prophet” (Falso profeta) è la rielaborazione di un pezzo degli anni ’50: “If Lovin’ is Believing“, relativo al cantante predicatore Billy “The Kid” Emerson, e le stesse frasi del testo creano un ponte temporale, non solo con la storia statunitense, ma con la storia del personaggio in cui Dylan s’identifica, lasciando come sempre l’ascoltatore nel dubbio di chi sia il vero protagonista. “…Un altro giorno di rabbia, amarezza e dubbio / Lo so come è successo: l’ho visto cominciare / Ho aperto il mio cuore al mondo e il mondo è entrato / … / Sono nemico del tradimento, nemico del conflitto / Sono nemico della vita insignificante e non vissuta / Non sono un falso profeta, so solo quel che so / Vado dove soltanto chi è solo può andare / … / Canto canzoni d’amore, canto canzoni di tradimento / Non m’importa cosa bevo, non m’importa cosa mangio… / Non assomiglio a niente che il mio aspetto spettrale potrebbe suggerire / Non sono un falso profeta, ho solo detto quello che ho detto / Sono qui per portare vendetta sulla testa di qualcuno / … / Non sono un falso profeta, non sono la sposa di nessuno / Non ricordo quando sono nato e ho dimenticato quando sono morto…” Frasi che lasciano il segno sottoscrivendo una vita di azioni e reazioni sul fronte della parola collusa con la musica ma, con la chitarra in mano, sappiamo come si possono lasciare dei messaggi. Non è casuale che la copertina di questo brano scelto come singolo, è un’ulteriore rielaborazione di un magazine horror-noir del ’42, in cui si raffigurava un giustiziere mascherato, mentre nella versione di oggi al posto della pistola si vede una siringa, con un’ombra proiettata sul muro a forma d’impiccato che qualcuno ha identificato in Trump. Insomma, ce ne per tutti i gusti, anche perché di falsi profeti ce ne abbiamo piene le tasche, mentre quelli veri vengono messi sempre in disparte.

Frankenstein e l'America

09-cocktail-una-birra-mediaTerzo giro

E così, da profeti falsi o veri e da un noir all’altro, arriviamo al terzo giro in cui le ombre diventano sempre più scure, come la nostra birra. “My Own Version of You” (La mia versione di te) è la rappresentazione della Storia e la sua connivenza con i mostri che l’hanno accompagnata: dalle mura di Troia al genocidio dei nativi americani, passando per tutti gli orrori di un puzzle che l’autore compone con i pezzi dei cadaveri disseminati lungo un arco temporale vasto quanto la sua violenza. Una violenza che diventa ossessione morbosa nel ricreare un dramma come se fosse un amore, e come tale dev’essere ricostruito, fingendo la trama di un sentimento che dovrebbe appartenerci e che invece si colora sempre con il sangue. “…Ho visitato obitori e monasteri / Alla ricerca delle parti del corpo necessarie / Arti e fegati e cervelli e cuori / Darò vita a qualcuno, è quello che voglio fare / Voglio creare la mia versione di te / … / Darò vita a qualcuno, qualcuno per davvero / Qualcuno che prova ciò che provo io… / Darò vita a qualcuno in più di un modo / Non importa quanto ci vorrà, sarà pronto quando sarà pronto / … / Sarò alla Locanda del Cavaliere Nero su Armageddon Street / Due porte più in basso, non molto distante andando a piedi / Ascolterò i tuoi passi, non dovrai bussare / Darò vita a qualcuno, pareggerò i conti / Non tralascerò alcun dettaglio insignificante / … / Vedo la storia di tutta la razza umana… / Dove donne e bambini di Troia furono venduti in schiavitù / Molto prima delle Crociate / Molto prima della nascita dell’Inghilterra o dell’America / Entra nell’inferno ardente / Dove dimorano alcuni dei nemici più noti dell’umanità / … / Un fulmine è tutto ciò di cui ho bisogno/ E un’esplosione di elettricità che scorre alla massima velocità / Mostrami il costato, io infilzerò il coltello / Allaccerò i cavi e la mia creazione prenderà vita / Voglio riportare in vita qualcuno, riavvolgere gli anni / Lo farò con le risate e con le lacrime…
Ecco, bastano le parole !

dylan e le donne

rossaQuarto giro

Nel quarto giro facciamo una pausa dove entra l’amore vero, quello che ci consola con una carezza e con un bacio, fino al rapporto completo. I’ve Made Up My Mind to Give Myself to You (Ho deciso nella mia mente di donarmi a te) è probabilmente un desiderio o se vogliamo, la speranza di conciliarsi con la sua vita e con se stesso, concedendosi all’amata. “…Sono seduto sulla mia terrazza, perso nelle stelle / Ascoltando i suoni delle chitarre tristi / Ho pensato a tutto e fino in fondo / Ho deciso nella mia mente di donarmi a te / … / Il mio occhio è come una stella cadente / Non guarda niente qui o là, non guarda niente vicino o lontano / Nessuno me l’ha mai detto, è solo qualcosa che sapevo / Ho deciso nella mia mente di donarmi a te…
La birra “rossa” non è casuale, anche se alcuni intravedono nella metafora la ricerca di un rapporto con la morte e conoscendo Dylan, tutto è possibile, e forse, il pezzo susseguente, è la sua degna prosecuzione.

the black river

09-cocktail-una-birra-mediaQuinto giro

In questa ulteriore bevuta ci inoltriamo in uno dei personaggi che più di tutti hanno cavalcato lungo le pianure dell’immaginario americano: quel Black Rider già citato in una delle canzoni precedenti come nome di una locanda, e in questo caso riproposto come autentico protagonista, nonostante di lui avessimo già un’infinita serie di rappresentazioni, dal cinema al teatro, dai libri alle graphic novel. Per Dylan probabilmente raffigura “il destino” che incombe sempre su di noi: una figura mitica che regola con le sue azioni il succedersi degli eventi, fino a tramutarsi in un archetipo, o addirittura, in un ospite ingombrante dentro il nostro organismo: un’ombra che ci segue fino prendere il nostro posto, le nostre cose, i nostri affetti più cari, pregandolo metaforicamente di cambiar vita. È come quel Man in the Long Black Coat che nelle nostre paure non manca mai, sia da bambini fino all’età adulta. “…Cavaliere nero, cavaliere nero, stai facendo una vita troppo dura / In piedi tutta notte, devi stare in guardia / Il sentiero che percorri è troppo stretto per camminarci… / Cavaliere nero, cavaliere nero, hai visto di tutto / Hai visto il mondo grande, e pure quello piccolo / Sei caduto nel fuoco e ti sei mangiato la fiamma… / Cavaliere nero, cavaliere nero, dimmi quando, dimmi come / Se mai c’è stato un tempo, allora che sia ora / Lasciami passare, apri quella porta… / Cavaliere nero, cavaliere nero, hai fatto questo lavoro troppo a lungo…”  Alla fine il dialogo s’infittisce e ci si premura di lui, come se la figura dovesse riposarsi per l’eternità lasciando gli umani in balia di se stessi, acquisendo il libero arbitrio. In fondo, è sempre il poeta che riesce a superare il confine con la sua espressività. “…Soffrirò in silenzio, non farò alcun rumore / Forse terrò il morale alto / e in una magica notte ti canterò una canzone…” 

jimmi reed cover

birra chiaraSesto giro

Chiaramente dopo aver scomodato la morte, il destino e i lati oscuri dell’umanità, ci voleva un’omaggio a un personaggio che lascia e lascerà brillare la sua luce senza remissioni, e in senso traslato insieme a tutto il mondo del blues. Goodbye Jimmy Reed oltre ad essere una dedica al grande musicista, è appunto la consapevolezza che il blues è l’unica religione degna di essere professata, per  tutto il retroterra e il valore simbolico che rappresenta, fino ad invocare l’artista nero e tutto il mondo della musica come evoluzione di nuovo messia, anche se la rassegnazione prende il posto della speranza, salutando un mondo che se ne va insieme ai suoi eroi perdenti. “…Addio Jimmy Reed, Jimmy Reed, davvero, / dammi la religione di un tempo, solo di quello ho bisogno / Perché tuo è il Regno, il potere e la gloria / Proclamalo dalla montagna, racconta la vera storia / Raccontala nuda e cruda, con quel tono puritano / Nell’ora mistica, in cui l’uomo è da solo / Addio Jimmy Reed, che Dio ti aiuti / Batti sulla Bibbia, proclama un credo / … / Che Dio ti accompagni, fratello… / Sono venuto a vedere dove è sepolto in questa terra perduta / Addio Jimmy Reed…”

dylan e la madre delle muse

birra chiaraSettimo giro

A questo punto, fortunatamente, incomincia a risplendere il sole, o perlomeno, la vita. Avevamo bisogno di luminosità dopo tanto buio. Poi, se volte, sorridete pure vedendo il menestrello di Duluth insieme a tante fanciulle con un’iconografia classicheggiante, ma in fondo, quando si vuole omaggiare la Madre delle Muse in senso lato senza troppi sottintesi, la devozione rimane proprio un episodio di riconoscenza e come tale si deve accettare. D’altronde, il mondo dell’Arte, dall’antica Grecia fino al secolo scorso, ha sempre voluto identificarsi nella raffigurazione mitologica della bellezza, come un’evoluzione dell’estetica, come spinta della rappresentazione e della creatività. Però Dylan è sempre Dylan, e di parola in parola ci fa capire che per avere la libertà di cantare, bisogna lottare, piangere, sudare e spesso, morire. “…Madre delle Muse, canta per il mio cuore / Cantami l’amore / finito troppo presto / Cantami degli eroi, che da soli hanno resistito / i cui nomi sono scolpiti sulle tavole di pietra / che hanno combattuto con dolore perché il mondo fosse libero / Madre delle Muse canta per me / Cantami di Sherman, di Montgomery e di Scott / e di Zhukov e di Patton e delle battaglie che hanno combattuto / Che hanno aperto la strada al canto di Presley / Che hanno aperto la strada a Martin Luther King / Che hanno fatto quel che hanno fatto e sono andati per la loro strada / Dio, potrei raccontare le loro storie per giorni e giorni… / Mi sono innamorato di Calliope / Non è la ragazza di nessuno, perché non la date a me? / Mi parla, e mi parla con gli occhi / Sono così stanco di inseguire menzogne / Madre delle Muse, dovunque tu sia / Ormai ho vissuto molto più di quel che dovevo / … / Portami al fiume, libera i tuoi incantesimi / Per una volta sola fammi stendere nelle tue dolci braccia d’amore / Destami, scuotimi, liberami dal peccato / Fammi diventare invisibile come il vento / Voglio vagare, voglio vagabondare / Viaggerò leggero e tornerò lentamente a casa…”
Chiaramente ogni cosa ritorna a immedesimarsi nell’intimità dell’artista come dovrebbe essere.

dylan e il rubicone

rossaOttavo giro

Con Crossing the Rubicon (Attraversando il Rubicone) si passa da un segno (la poesia) a un gesto, utilizzando proprio la metafora di un fatto storico importante e carismatico: quella presa di forza da parte di Giulio Cesare per imporre il potere su Roma, dando così di fatto all’inizio a una guerra intestina iniziando la successiva fase imperiale. In questo caso, oltre alla conoscenza dei classici, Dylan si riferisce a una terza persona dall’aspetto sia femminile e sia maschile, per imporre il suo dominio, o il suo pensiero, per tutto quello che c’è stato prima, come se la convivenza con queste entità fosse alquanto ambigua e contrastante. La reazione è un atto di forza per operare un’ipotetica rivoluzione dopo tante lotte partigiane. “..Mi sono alzato presto / Così da  salutare la Dea dell’alba / Ho dipinto il mio carro, ho abbandonato ogni speranza / E ho attraversato il Rubicone… / Tre miglia a nord del purgatorio / Ad un passo dall’aldilà / Ho pregato presso la croce, ho baciato le ragazze / E ho attraversato il Rubicone… / Cosa sono questi giorni bui che vedo? / in questo mondo così messo male  / Non posso recuperare il tempo  / il tempo così follemente trascorso  / Per quanto potrà durare? / … / Ho messo il mio nascondiglio sulla collina  /Dove troverò un pò di felicità  / Se sopravvivo, allora lasciami amare  / lascia che sia la mia ora  / Prendi la strada alta, prendi quella minore  / Prendi qualsiasi via in cui ti trovi  / Ho riempito il calice e l’ho passato / e ho attraversato il Rubicone…” Alla fine il gesto si compie come se il sacrificio di una vita intera (o di tante vite) fosse necessario per cambiare le cose. Appunto: una rivoluzione, con tutte le sue conseguenze, oppure, come spesso succede nella duplicità dell’immaginazione di Bob, quel confine è la linea che ci separa dal gruppo all’isolamento per tanta frustrazione, per smarrimento o per un desiderio di quiete. Un esilio volontario dove abbandonarsi. 

dylan e key west

birra chiaraNono giro

Ad avallare quest’ultima interpretazione è la canzone susseguente in scaletta: Key West (Philosopher Pirate), una sorta di ultima Thüle americana rappresentata con il punto più a sud degli Stati Uniti: quel luogo della Florida in cui molti scrittori da Hemingway a Tennessee William, da Ginsberg a Gregory Corso, ci hanno vissuto per eleggerla a culto di un’idea, come se oltre quella linea immaginaria esistesse un ponte verso l’aldilà. Un luogo magico diventato ipnotico e viscerale, in cui una radio pirata può trasmettere il sogno della libertà, fino all’esaurimento della voce e della vita, per andare oltre. “…Key West è il posto in cui stare / se cerchi l’immortalità. / Resta sulla strada, segui il cartello autostradale. / Key West è bella e affascinante, / se hai perso il senno, lo ritroverai là. / Key West è sulla linea dell’orizzonte / … / Key West è il posto in cui andare, / oltre il mare, oltre la sabbia cangiante. / Key West è la chiave d’ingresso / verso l’innocenza e la purezza, / Key West, Key West è la terra incantata. / … / mentre provo a prendere quel segnale radio pirata / Ho sentito le notizie, ho sentito la tua ultima richiesta: / “Fly around, my pretty little Miss” / Non amo nessuna, dammi un bacio, giù nel fondo, laggiù a Key West. // Key West è il posto in cui stare se cerchi l’immortalità, / Key West è il paradiso divino. / Key West è bella e affascinante, / se hai perso il senno, lo ritroverai là. / Key West è sulla linea dell’orizzonte…”

dylan-murder-most-foul

09-cocktail-una-birra-mediaDecimo giro

Con Murder Most Foul (l’omicidio più disgustoso) il cerchio si chiude, perché, se nella traccia precedente si faceva riferimento a una trasmissione radio e nel primo pezzo del disco si parlavo di una sola moltitudine, questa canzone racchiude tutto l’album. Sostanzialmente è un’elegia americana, o se vogliamo osare, è proprio un requiem sull’America. Lo spunto è chiarissimo: partendo dal primo atto dell’Amleto di Shakespeare che preannuncia la tragedia e dal conseguente assassinio del presidente John Fitzgerald Kennedy, inizia una lunga processione di luoghi e di eventi legati proprio alle vicende statunitensi e alla cultura pop di questo grande paese, pieno di slanci e di contraddizioni, di vicende e di falsificazioni. Questo lungo rosario centellina e srotola 60 anni di Storia in cui una ridda infinita di citazioni e allusioni sembrano non finire mai, come se il funerale di una nazione dovesse per forza avere la sua colonna sonora. Non è casuale che il continuo richiamo al famoso Dj: Wolfman Jack (voce narrante di “American Graffiti”) sia la consapevolezza che l’evoluzione della musica accompagnerà l’uomo dove nessun altro riuscirà ad arrivare con tanta sincerità, con tanta libertà, ovunque circondati dall’emissione degli eventi. Ed è proprio la vibrazione delle sette note che diventa protagonista sovrapponendosi parallelamente al fatto principale. Ma se l’omicidio Kennedy è soltanto il pretesto per sviscerare una letteratura e una ricostruzione dei nostri tempi vissuti sempre sul confine tra idealismo e fallimento, utopia e repressione, qual’è l’effettivo valore della musica? Rivoluzione o semplice distrazione di massa? Fondamentalmente la voce di Dylan non vuole diventare arbitro di una situazione e nemmeno essere il giudice di un ipotetico processo. Come sempre lo sfogo dell’artista è semplicemente il suo coinvolgimento istintivo nella spirale del tempo, e sarà il tempo stesso a sviscerare la sentenza. Se lui ha completato la sua personale playlist, ognuno di noi dovrà provvedere a stilare la propria scaletta, soprattutto perché le nostre scelte saranno un segno lasciato sulle infinite scie di piccole storie, le quali messe insieme, non finiranno mai.

dylan e la poesia

cocktail-old-fashionedUltimo giro

Le conclusioni non possono che ritornare sul cantore principale di questa messinscena, il quale come tutti gli artisti si è pronunciato per arricchire la sua indipendenza intellettuale, semplicemente per uno sfogo personale. Le poche interviste da lui concesse dicono questo ma, come sempre, il valore delle espressività diventano dopo di noi qualcosa d’importante per farci interagire e avvicinare a quella perfezione, che la bellezza ha come riferimento per rimanere inalterata nel tempo, e noi ne siamo coinvolti. Omero ha scritto l’OdisseaVirgilio l’EneideDante Alighieri La Divina Commedia, John Milton Il Paradiso perduto, Arthur Rimbaud Una Stagione all’Inferno, Thomas Eliot La Terra Desolata, Les Murray Freddy Nettuno, e tutti loro avevano le stesse priorità e le stesse personalità da far esplodere o quietare dentro se stessi. 
Giunti a questo punto qualcuno di voi si chiederà dopo tanto parlare: ma la musica com’è? La musica c’è e diventa funzionale alla sua bellezza: come sempre, anche all’interno di queste canzoni, ed è la musica di Dylan, quella che abbiamo sempre conosciuto, sempre ascoltato, e come tale diventerà e rimarrà nostra, insieme alla “moltitudine” della sua poesia.

Salute ragazzi e, dimenticavo, se qualcuno di voi ha ancora sete e non è ancora sbronzo, nessun problema, un’ultima birra è sempre pronta per voi…

il Barman del Club

l'ultima birra 

P.S. – Tutte le immagini sono prese dal web e poi rielaborate

 
 

45 Comments on “BOB DYLAN – Rough and Rowdy Ways (10 giri di birra e poesia)

  1. Cavolo, Antonio, tu così ci vizi proprio.
    Ho un sacro rispetto per Dylan e – non c’entra niente – sono rimasto in qualche modo “segnato” dalla visione del film “Io non sono qui”. Ho intenzione di bermi con la dovuta calma tutti i (tuoi) giri. Ti dirò!
    A presto,
    Paolo

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  2. Concordo con te e con Paolo. Quando Dylan ha vinto il Nobel sono andata a leggermi alcuni testi di canzoni che non conoscevo (anche se lo apprezzavo già da prima). Pugni nello stomaco, ma dati con grazia, è la prima cosa che mi viene da dire, un po’ a braccio. Un grandissimo uso delle parole, che per me è un aspetto tutt’altro che secondario, per raccontare, descrivere, entrare dentro sé stessi e il mondo che ci circonda.
    Quanto al post, ho iniziato con l’introduzione, piano piano mi faccio tutti i giri. Una birra media a sera, ci può stare 🙂

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    • Grazie del bel commento, fai pure con calma, d’altronde non potevo liquidare Dylan in maniera superficiale. Probabilmente è un post per veri appassionati e mi rendo conto della lunghezza ma, se ci abituiamo ai soliti trafiletti riassuntivi, finiremo per ridurre la nostra vita al solito taglia e fuggi continuo solo per prendere like e followers in giro a caso, riducendoci come quei generali che mostravano la sfilza di medaglie al valore delle loro superbie, perché in guerra morivano sempre i poveri cristi. Poi, come dico sempre, ce ne per tutti i gusti, e ognuno sceglie sempre la sua bevanda preferita… Ciao Alexandra buona serata (!)

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  3. Barman. Stavolta sono io che ti pago da bere. Ho letto solo oggi questa tua disquisizione ed e’ al momento la cosa più bella e intelligente che ho letto sul nuovo album di Bob, dovrebbero farla leggere proprio a lui, giusto per conferma che qualcuno ancora ascolta davvero. I miei omaggi.

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    • La ringrazio mister Lastman, ma cosa coi vuoi fare, disquisire su Dylan tra birre e testi poetici in questo periodo uggioso, personalmente, è una delle cose che preferisco, anche perché quando c’è classe (e chiaramente il riferimento è al mitico Bob), si riesce ad andare sul sicuro. In fondo, se le birre sono buone, se la musica è buona, se la poesia è poesia di gran struttura, cosa vuoi più dalla vita? Un’altra birra … ! 🙂

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  4. Sinteticamente : Nobel strameritato e non parliamone più ; Dalla e De Gregori ? ; Quando tratti di musica sei una fonte alla quale ci si dovrebbe tutti abbeverare, grazie. Per quanto riguarda i suggerimenti sulle birre io la penso come quel tale che diceva : ” pensa al futuro, non fermarti alla terza media ” .

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    • 😀 Ah ah ah ah ah… grande Gialloesse! Verissimo, dobbiamo diplomarci tutti insieme alle le nostre tesi future che guariranno tutti i mali del mondo, o almeno, li attenueremo portando felicità !!!

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  5. Ebbene, me li sono fatti tutti i giri. Grande Antonio. Niente di meglio per avvicinare un album complesso di una guida alla lettura (ché tale è l’esperienza, una volta tanto – da ascoltatore principalmente di classica e jazz – ho viaggiato senza musica, che di certo non guasta) come la tua.
    Post stupendo. Hai accompagnato e commentato con cognizione di causa, intelligenza e nessuna invadenza una serie di testi da scoprire e riascoltare nella loro originale freschezza. Grazie!!

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