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In attesa che questo nuovo anno ci porti delle pubblicazioni convincenti, proviamo a rimanere affascinati da un genere che non si stanca mai di proporre album di ogni tipo, tutti concentrati sulla continuità di un delirio elettrico e sulla combustione che produce nello sferragliante incedere della sua visione. Spesso l’amore per questo genere raggiunge adepti di ogni nazionalità, proprio per confutare la tesi che il concetto di retromania, pur essendo reale, viene sempre messo in disparte proprio per esibirsi all’interno del suo furore, anche per un bisogno interiore derivato dalla sua forza e dalla sua inarrestabile vitalità. Non c’è mai stata una vera trasformazione, ma una continua rielaborazione delle vecchie radici e delle insostituibili emozioni, le quali continuano a emergere dal terreno che le ha seminate.

album psichedelici gennaio 2021

Ho provato a selezionare sei album usciti a cavallo di questi ultimi mesi, concentrandomi sulle uscite di gennaio, le quali sorprendentemente non finiscono mai di stupire per la novità e l’insostituibile voglia di suonare…

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Black Sky Giant - Planet Terror

Black Sky Giant

Planet Terror

Provenienti dall’Argentina e precisamente da Rosario, questi ragazzi estendono con questo loro secondo album, la loro miscela di stoner-rock utilizzando delle variazioni psichedeliche  molto pulite e ben strutturate, piacevoli all’ascolto, perché tutto il sound è costruito intorno alla sezione ritmica ripetuta senza sosta. Alla fine questo tuffo vintage non stanca per niente, anche quando l’iconografia del titolo riecheggia quel pizzico di fantascienza utilizzato per uno scopo preciso e adattato proprio per le loro divagazioni strumentali. La chitarra segue perfettamente in simbiosi la compostezza di basso e batteria, quasi ad immedesimarsi con le atmosfere ricercate, evocando uno straniante ibrido fra western e futuro, in cui una colonna sonora immaginaria, percorre infinite praterie senza fine. L’introspezione cosmica è sempre dietro la porta, trasportando queste suite oltre i limiti di un’immaginazione già visitata da altri, ma ripetuta e accarezzata per sentirsi parte di un universo in movimento che non si stancherà mai di stupire.

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Stout and Black
(il buio che si ripete)

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Holyweed - Tales of the Stoned

Holyweed
Tales of the Stoned

Se analizziamo il nome di questa band francese traducibile in “erba santa” e il titolo dell’album  letteralmente nei “racconti dello sballato”, e poi ci gustiamo la copertina, capiamo subito di cosa stiamo parlando. Sostanzialmente è un trip lisergico senza un attimo di pausa: 35 minuti di suoni allucinogeni vissuti intorno alle visioni hippy e alle reminiscenze di un sogno sixties che si vuole tener vivo e rielaborata da una pubblicazione precedente. Il problema è che la mancanza di una forma canzone, nella durata può stancare, oppure, per gli appassionati, è una forma di delirio che riesce per un attimo (beh… diciamo per una mezz’ora) a far lievitare spirito e corpo nella dimensione che si vuole raggiungere. Fondamentalmente è suonato divinamente: la pulizia della lunghissima jam è ineccepibile e ascoltato dal vivo lascerà sicuramente il segno. Lo consiglio ai puristi del genere e a tutti coloro per i quali lo slogan “pace e amore” è rimasto fedele all’utopia che lo ha generato. In fondo, la traccia del tempo qualcosa ci ha lasciato.

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cocktail abbinato

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L’erbavoglio
(il giardino dei desideri)

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King Weed - Let There Be Weed

King Weed
Let There Be Weed

Stessa matrice di cui sopra, per non dire una costola del gruppo, anche in questo caso “L’erba del Re”, e per esteso il titolo “lascia che sia erba”, o meglio ancora: finché c’è erba c’è……  non lascia tregua ad altre immaginazioni. Quello che però mi fa felice non è l’allusione scontata, ma la presenza di moltissime persone le quali vivono gli anni ’60 e ’70 come, non solo l’origine di ogni suono, ma come l’unica forma di vitalità in cui sfogarsi. Mancanza di fantasia? Non lo so! Fra queste tracce respiriamo tutti gli stilemi di un hard-rock stile Led Zeppelin sotto forma strumentale. Le canzoni ci sarebbero, ma la mancanza della voce può essere un limite perché a mio avviso snatura un percorso di perfezione completato dai testi o dall’equazione poetica, la quale, segnerebbe l’impronta in maniera indelebile. Evidentemente, la loro propensione e la loro passione evolutasi solamente per la voglia di suonare, li fa contenti così. Giunti al 14 album non si sono ancora stancati e li sentiremo ancora fino all’inverosimile.

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Cannabis Dry
(la luce oltre la siepe)

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Samsara Blues Experiment - End Of Forever

Samsara Blues Experiment
End of Forever

Non voglio essere di parte, ma nel carnet di oggi, questo, non è solo il disco migliore, ma anche la band con lo spessore più importante. Provenienti da Berlino e con alle spalle dei pregevoli lavori, di cui il loro One With The Universe è stato recensito in questo locale, rappresentano quel ponte ideale fra passato e presente. Quello che convince di più è una ricerca che vuole andare oltre agli stilemi psych&stoner i quali formano le loro radici, ma nella loro evoluzione sonica il raggiungimento di altri obbiettivi ha fatto coniare il termine di raga-rock, proprio per la componente sperimentale che li ha accompagnati nella loro avventura. L’urgenza di avvalersi della filosofia orientale per una ricerca creativa diversificata, ha spostato spesso il loro percorso dentro un territorio immaginifico pieno di fascino. Quest’ultimo album però è rimasto fedele alla linea di un blues-rock dall’impronta classicheggiante, anche se la bellezza della voce porta questo cammino al di sopra delle vie consuete. Le scorribande di tutti gli strumenti acquistano un sound dall’aspetto molto unitario, come se la compostezza della band giostrasse sopra un punto centrale creando un vortice multicolore. Il resto lo fanno le atmosfere sempre in equilibrio tra un crescendo tribale e una forma di dolcezza che scivola via come un olio profumato di essenze primordiali. Nell’ascolto si è coinvolti completamente: affascinati dallo spostamento d’aria che irrompe su di noi, come se il vento di un anima sempre in affanno, fosse finalmente vissuto a braccia aperte, per gioire istintivamente con quello che abbiamo dentro. Forse questo non è il loro disco migliore, ma è sicuramente la prova che anche un lavoro al di sotto della loro media consueta, è molto al sopra di tantissime band in gravitazione sul genere psichedelico. Unico rammarico rimane nel fatto che dopo questo album si prenderanno un attimo di pausa, sperando che questo annuncio non sia l’anticamera di uno scioglimento, ma tant’è, quello che ci hanno lasciato fino ad ora rimarrà dentro ognuno di noi come l’insieme di piccoli universi pulsanti e roteanti dentro a vinili incancellabili.

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Vi consiglio anche il loro disco dal vivo “Live Rockpalast” che li ha catturati in una dimensione e in una presenza d’eccezione assolutamente delirante.

Samsara Blues Experiment live | Rockpalast

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cocktail abbinato

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Annas Chill Me
(fuoco ghiacciato)

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Electric Yawn - Spice Must Flow

Electric Yawn
Spice Must Flow

Ora facciamo un tuffo nella sterminata terra australiana con un’altra band decisamente psych, piena di risvolti immaginifici e di visioni desertiche. Tutto l’album interamente strumentale, è paragonabile ad un viaggio interiore, in cui, sterminati territori senza fine fanno da sfondo a un sound misterioso e d’atmosfera, come se la voglia di lasciarsi andare fosse la ragione di un equilibrio fra corpo e spirito. Poi, si sa, quando la quiete arriva prima della tempesta, il susseguente epilogo dilagante viene strutturato proprio per immedesimarsi dentro a queste fughe verso l’impossibile, perché di fronte alla bellezza del creato, nulla può fermarsi: bisogna correre a perdifiato per poi ritornare ad ammirare le nostre meraviglie. La vita è un esempio dove l’amore e la violenza si alternano senza sosta, dando origine a un equilibrio che dura da millenni, e in questo caso la musica si immedesima pienamente nella genesi della sua origine. È stata la natura a regalarci i primi suoni e con loro ci siamo evoluti. Questo album è di uno splendore unico, esteso dentro l’incanto della sua espressione, come se il post-rock e la psichedelia si unissero proprio per strutturare tutta la compostezza dell’album, intriso di new age e passione lisergica, come se i Mogwai e i Quicksilver Messenger Service si volessero fondere insieme per riformulare una nuova teoria del caos. Inoltre, le movenze doom lasciano un’eco primordiale, giusto il tempo per calarsi nella messinscena dell’incommensurabile. Siamo sempre noi a rimanere esterrefatti sia per come siamo piccoli e nello stesso tempo, per come riusciamo ad avvicinarsi ai confini della realtà. Per concludere, potremmo tradurre il nome della band, come l’inizio di un lungo sonno dove potersi immergere nei sogni di un’estensione tanto vicino al confine di noi stessi, da farlo diventare vero. In fondo, se qualcuno ha detto che tutto è un’illusione, allora, anche l’illusione stessa, è una parte che ci appartiene.

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cocktail abbinato

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Campari Shakerato
(arte minima)

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Population II - À la Ô Terre

Population II
À la Ô Terre

Atipico, perverso, sincopato e straniante, cupo e forsennato come un fiume elettrico attraversato da correnti punk e vortici hard-fusion, questa band proveniente dal Quebec si tuffa nel cosmo psichedelico con un album allucinato e controverso, giusto il tempo per assaporare il gusto primordiale di un sound stile Amon Düül, e poi rimescolato nella sperimentazione viscerale che sfrutta territori inesplorati e li converge nelle dimensioni deformate dagli specchi concavi posizionati intorno a noi. Ogni cosa prende la forma degli eccessi metropolitani che a suo tempo i Naked City di John Zorn violarono per contrastare le condizioni asfittiche che li circondava, e che ora questi ragazzi provano a coniugare con delle intuizioni alla John Dwyer, anche se il nome del gruppo probabilmente omaggia il primo album solista del pioniere californiano dell’acid-rock Randy Holden. Insomma, tanta roba centrifugata per assaporare il gusto essenziale di una performance probabilmente la più originale del lotto di oggi, e che in un presente troppo confuso (o scontato) s’incunea in uno spazio tutto suo per rimanerci conficcato.

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cocktail abbinato

ice blood
Ice Blood
(sangue sul ghiaccio)

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Va bene ragazzi per oggi abbiamo finito (e bevuto) e dopo tanto sentire, godetevi la serata…
Salute e… at maiora !

il Barman del Club

aret-psych-2Tutte le immagini sono prese dal web

41 Comments on “La fascinazione psichedelica – album gennaio 2021

  1. Complimenti Antonio! Grande articolo, esaustivo ed accurato contenente suggerimenti di alto livello. Approfondirò sicuramente il tutto con grande interesse. Un abbraccio caro!

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  2. beh, che dirti se non che le tue recensioni sono sempre di ottimo livello, sempre esaustivi!
    e io che mi ero fermato alla “vecchia psichedelia”, Canned Heat, Velvet Underground, Pink Floyd, per citarne alcuni
    mi sa che dovrò aggiornarmi 🙂

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    • Ognuno o segue le proprie passioni, anche per quello che lo ha coinvolto nella giovinezza, quasi a volerne prolungare l’essenza. Poi, si sa, quando nasce un genere, esiste un’infinita serie di imitatori pronti a continuare e insistere sull’eredità lasciata loro. Quelli che si vogliono evolvere percorreranno altre strade, mentre altri rimarranno sulla consuetudine. Ti posso assicurare che dietro a queste sonorità pullula un mondo estremamente affollato e non è facile trovare chi si alza al di sopra della media. Chiaramente quando si arriva per secondi, per non dire terzi o quarti, non sempre si può essere ricordati e allora noi che siamo malati di musica, rovistiamo nel calderone pescando quelli senza medaglia, ma che soltanto per aver partecipato, meritano un applauso. Ciao… un salutone !

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  3. mi piace quel “noi che siamo malati di musica”, è proprio così la musica è una sorta di malattia e di panacea allo steso tempo, mi ci sono perso e mi perdo ancora tra le innumerevoli sonorità che in ogni momento accompagnano questo mio cammino. Che vita sarebbe senza quelle vibrazioni che in qualche modo sono un tutt’uno con le emozioni, anzi ne provocano di ulteriori e di nuove, continuamente.
    Non ho preclusioni sui generi, beh a parte quella troppo commerciale (come si diceva una volta, o forse ancora si dice?), mi basta l’evasione mentale e il rapimento sensoriale che mi sconvolgono ogni volta che una particolare dettatura musicale mi provoca. Non potrei starmene in silenzio, sebbene anche il silenzio, per certi versi, abbia una propria, immensa, musicalità. Sul mio blog ho una sezione dedicata, “Sequenze”, dove qualche volta mi cimento in qualche recensione (neanche lontanamente paragonabili alle tue : ) ), su brani o autori che mi sono “vicini”. Dal jazz al blues, ai canti popolari, al reggae, alla cosiddetta musica etnica, basta che le note mi siano compagne. Poi ci vuole un attimo ed arriva la magia, puntuale, tramortente.
    Ciao

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    • Non è vero, sei molto bravo, i tuoi articoli li gusto sempre con piacere, anche perché siamo sulle stesse lunghezze d’onde e di conseguenza ci si completa proprio per quella magia che ci coinvolge (e ci travolge) potremmo dire anche inesorabilmente. Ma il bello è proprio questo…
      Salute ragazzo, un bel brindisi !

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