godspeed you black emperor G_d's Pee at State's End!

Proprio nel post precedente avevo accennato a come la creatività nel mondo musicale odierno si sia rivolta al passato, costruendo un presente in cui l’evoluzione è rimasta circoscritta in una forma di bellezza ripetitiva, emulativa, rispecchiata in sé stessa, probabilmente, perché era talmente alta quella precedente che il superarla diventava quasi impossibile. Attenzione: quasi!
Perché è importante questo avverbio? Perché nel calderone di oggi in cui la pubblicazione infinita di materiale messo in circolazione, spesso confonde gruppi o solisti meritevoli, capita di imbattersi in un’opera veramente buona, la quale rischia di perdersi nella moltitudine e di sfuggire al grande pubblico, o perlomeno, al pubblico mainstream. Non che sia importante, perché solitamente l’appassionato autentico di musica scopre e ascolta una qualità la quale evade una certa notorietà, rimanendo circoscritta nei circuiti underground o nelle vie di culto trasformandosi in casi artistici o leggende che assumono la notorietà col tempo.
Questo è il caso dei Godspeed You! Black Emperor: ensemble canadese da cui straripa un fascino immaginifico unico e costellato da una carriera particolare, centellinata con le giuste dosi per seminare un capolavoro dietro l’altro, lungo un arco che supera i 25 anni, come quest’ultimo album, assolutamente fantastico.

godspeed you black emperor G_d's Pee at State's End!-composizione

La  loro trilogia iniziale: F♯ A♯ ∞ Lift Your Skinny Fists Like Antennas to Heaven – Yanqui U.X.O. rispettivamente del ’97, 2000 e 2002 è ormai annoverata come una delle soluzioni più originali di quegli anni di fine e inizio millennio, sintetizzando una ribellione post-rock che andava oltre il suo incedere urticante. Veniva trasfigurata una forma di rivolta tanto caotica quanto espressivamente travolgente, sia come impeto e sia come desiderio di superare una certa indulgenza prigioniera del passato. Sfregiavano la forma progressive, evolvendola nelle strutture distorte, prigioniere di una eredità insopportabile, per poi concentrarle nel dolore e nella successiva risposta tra la catarsi e una vibrazione musicale così elevata da esplodere e implodere dentro le sue vie di fuga.
Mentre la successiva ‘Alleluja! Don’t Bend! Aascend!Asunder, Sweet and Other Distress e Luciferian Towers del 2012, 2015 e 2017 rappresenta la forza evocativa che ha preso forma dopo il superamento dell’apogeo in attesa di quello successivo. La sua strabordante messinscena riutilizza la grandezza sinfonica facendole stridere, come se l’urlo racchiuso nelle corde dei violini si lacerasse a sua volta nella bellezza e nell’incedere di crescendo ostinati e straziati fino a perdere il fiato.
Se poi consideriamo che fra la pausa delle due triadi: 2002 e 2012, alcuni  membri del gruppo hanno fondato progetti paralleli come la Thee Silver Mt. Zion Memorial Orchestra, aggiungendo classe ad altra classe, qualità ad altra qualità, visionarietà e violenza sopra ad altra bellezza, allora ragazzi, che dire di più?

Godspeed You! Black Emperor-cover-album

Di più c’è ora quest’ultimo lavoro, talmente coinvolgente da sottolineare tutti gli aggettivi possibili e tutte le dinamiche rivolte al presente pensando al futuro, come se il cortocircuito di un’attualità si fosse elettrizzato sul pentagramma per trasmetterci altra energia possibile, altra vitalità dove attingere la forza per emergere, preparandoci allo scontro che fra poco ci coinvolgerà. Loro stessi ci dicono nelle note che in questa fase della nostra storia qualcosa non va bene: parla di tutti noi che aspettiamo la fine, risponde a tutti noi che invochiamo l’inizio. Aspettano il giorno in cui la gente scenderà in strada non solo per abbracciarsi, ma per rispondere in coro alle pressioni di questo nuovo regime che strumentalizza le coscienze del popolo, mettendo in pericolo la nostra onestà con la paura, giustificando così milioni di fallimenti.

godspeed you black emperor-poster-1

Non è casuale che per un gioco di opposti vediamo sulla copertina dei fiori Taijitu disegnati dall’artista William Schmiechen sotto forma di yin-yang e invece nel retro sono raffigurati i contenitori dei gas lacrimogeni, come se mascherare l’oppressione in poesia diventasse via via una soluzione complice per aggirare la verità, senza accorgersi che il serpente prima o poi si morderà la coda, senza fermarsi. In fondo, l’onestà intellettuale ci chiede sempre di evocare con tutti gli strumenti che abbiamo, la nostra forza dirompente racchiusa soprattutto nelle potenzialità dell’arte, e la musica ancora di più per la sua trasmissibilità. Se loro stessi ci dicono che le onde radio non devono essere occupate dalla polizia un motivo ci sarà. Se le grida dei pastori dell’apocalisse alzano il volume della voce, noi non dobbiamo ascoltarle. Se una nuova forma strisciante d’imperialismo vuole prendere il posto delle nostre costituzioni, bisogna opporsi senza farsi spaventare, e un suono può essere l’inizio.

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Con queste premesse entriamo negli spazi di un album vissuto e trasudato oltre gli sforzi della loro stessa immaginazione, tutto racchiuso in un marchio di fabbrica che ce li fa riconoscere e ammirare senza mezzi termini. Composto da due suite di 20 minuti l’una suddivise in capitoli e da due pezzi più brevi,  entriamo nelle orbite di un mondo tanto splendido quanto devastato dalla sua stessa follia. Tutto questo ci viene trasmesso come se alla bellezza si sovrapponesse della carta abrasiva che via via diventa una corrente impetuosa la quale raschia e leviga ogni cosa. Assistiamo a una forma di propaganda costruita istintivamente sopra dei mantra ossessivi in cui l’inizio sinfonico ed elegiaco insegue una forma di anarchia punk che sfugge al loro stesso controllo, fino a raggiungere una forma di distorsione che raggela il sangue e nello stesso tempo ci lascia estasiati per un impeto di meraviglia dove convergono epica e trascendenza.

Link traccia d’ascolto

È incredibile come l’attualità che ci circonda si liquefa nel fuoco di un bordone continuo, nella metamorfosi dove melodia e rumore compiono un atto sessuale per generare un suono militante e coinvolgente, talmente vicino alle dimensioni del nostro pianeta da farci sentire delle nullità dentro a queste forze concentriche. Ed è proprio il vortice in cui siamo travolti che ci lascia sconvolti ed esterrefatti al tempo stesso, come se ingoiati in un buco nero ne uscissimo purificati verso una nuova vita. La musica segue tutti questi stati d’animo e tutte queste evoluzioni, perché se all’inizio sentiamo delle stazioni radio mischiate alle sirene fin troppo attuali, e alla fine il suono delle campane, è tutto quello che sta in mezzo che ci lascia in una specie di annichilimento. Fondamentalmente, anche le immagini hanno il suo potenziale, perché se tutto inizia come una forma di meditazione, perché poi l’umanità deve prendere sempre una deriva iconoclasta?

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Lo dico da sempre: se noi siamo nati dentro un equilibrio in cui quiete e violenza hanno generato la nostra evoluzione, come possiamo rompere questa legge dell’universo credendoci Dio?
I GY!BE assimilano e filtrano con la loro strumentazione fatta di chitarre e archi lacerati, questa rabbia, giusto il tempo per lasciar scorrere la loro espressione artistica come una sorta di redenzione: trasmettere uno stato d’animo che ci faccia vibrare, anche urlare se vogliamo, ma alla fine dobbiamo gioire, guardarci negli occhi ed essere felici per l’immensità che siamo riusciti a comprendere. Se le partiture di questa sinfonia eseguita sul baratro del caos diventa via via un maestoso inno alla bellezza di cui siamo partecipi, un motivo ci sarà!
Ogni traccia si lascia coinvolgere nel suo stesso magma di suoni che mai come questa volta formulano un’omogeneità sorprendente, fino a trasformare il canto e la dissonanza in una cosa sola. Poi, se dei colpi di pistola zittiscono anche il canto degli uccelli, allora, sta a noi decidere da che parte stare.

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Se loro stessi si lasciano andare a dei proclami al limite della demagogia come quello di svuotare le prigioni; di togliere il potere alla polizia e affidarlo ai quartieri che terrorizzano; di porre fine alle guerre eterne e a tutte le forme d’imperialismo; di tassare i ricchi fino a che non s’impoveriscano e ritornare a occupare le strade; cos’altro aggiungere? Loro lasciano che sia la musica a esprimere ogni forma di emozione, perché non siamo di fronte ai soliti proclami tipo power to the people o people have the power, ma ad una forma anarchica che li contraddistingue senza un leader: lasciano pochissime interviste e si gestiscono come un collettivo; vivono una forma di “comune” in cui è la musica la vera protagonista e dev’essere solo lei a parlare. D’altronde, lo abbiamo capito tutti, dopo quest’ultimo anno non sarà più come prima e il destino è nelle nostre mani, non di quelle che ci vogliono manipolare. Se il titolo dell’album ci dice che pisciare sulla fine dello Stato così come lo abbiamo conosciuto fino ad ora, è sostanzialmente aver capito che ormai non conta più nulla, è voler andare oltre per non diventare una serie infinita di pecore, o peggio ancora: delle innumerevoli cavie da laboratorio.

Godspeed You! Black Emperor - cover-interna-album
Tutte le foto sono prese dal web

Lo so, come al solito mi sono lasciato coinvolgere dall’infinito spessore cromatico di questo disco e dal suo fascino ipnotico che mi porterà ad amarlo fino alla perdizione. Poi, come sempre succede, se mi soffermo sull’ultima foto tratta dall’interno dell’album, vedo che anche loro si sono dati da fare per consumare tanto alcol, perché alla fine, una bella bevuta in compagnia, è la degna conclusione di ogni discussione culturale.
Salute ragazzi !

il Barman del Club

40 Comments on “Godspeed You! Black Emperor – G_d’s Pee at State’s End!

  1. Grazie del post, scritto bene, molto. I GY!BE li conosco abbastanza bene, mi sa che l’album lo prenderò presto… lo cercherò in un negozio di dischi, seguendo il loro suggerimento di non prenderlo dai giganti delle vendite in rete.
    😉

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    • E’ una questione di affinità: questo gruppo mi ha sempre creato una suggestiva dose di fascino e come tale, ogni volta che ascolto un loro lavoro, inevitabilmente rimango coinvolto. Comunque quest’ultimo è buono. Però se devo darti un suggerimento io ti consiglio di acquistare il formato CD, o meglio, se vuoi un prodotto speciale il vinile è meraviglioso per via della confezione (i disegni sono in rilievo) in un doppio formato perché è composta da un 33 giri e da due dischi in 12″ che sicuramente fanno scena ma impongono una continua selezione dell’ascolto, mentre il CD è più continuo per via della continuità delle suite. Ma come sempre è una questione di gusti e approccio ai formati.

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  2. Dal primo ascolto eccola là la musica, esiste ancora chi ti tiene legato all’ascolto, passo dopo passo, nota dopo nota!
    Ancora una volta ci hai visto giusto, sei un vero maestro.
    Dopo me lo ascolto tutto, ma già so .. che stasera passerò da te a bere uno shot e parlare del nuovo album. Tequila, possibilmente, grazie 🙂

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  3. Grazie per le proposte che tanto scrupolosamente ci proponi. Parliamo di un mondo davvero vasto dove fin troppo spesso piccoli gioielli rimangono nelle nicchie. Bisogna essere buoni ricercatori e amanti instancabili per trovare l’oro dentro la miniera del suono. Noi siamo fortunati abbiamo il Barman del club. Stamattina avanti col ritmo corretto con grappa. Buon lunedì.

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  4. Post molto buono e ricco di informazioni, che permettono di acquisire conoscenze sulla qualità musicale. Concordo anche con il fatto che la grande quantità di materiale che circola in campo musicale, come in tutti i settori culturali, causa un appiattimento delle proposte e a volte la qualità anche pregevole viene a perdersi in mezzo a tanta banalità di scarso valore.

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    • Contento che condividi queste mie considerazioni. Una volta c’era un filtro che passava da tante situazioni, e in fondo quelli bravi emergevano proprio per un discorso di selezione naturale. Poi, è vero, c’erano dei casi limite dove l’artista incompreso si faceva conoscere in altre maniere, ma oggi, tutto è bello tutto è brutto. Tutti sono bravi e poi il giorno dopo non lo sono più. La qualità c’è, ma bisogna cercarla… e portarla avanti.

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  5. I GY!BE.. dei grandi a prescindere! E gran bella recensione.. complimenti
    in verità è da parecchissimo che non li ascolto (e non mi hanno mai davvero preso al 100% a parte forse Moya che reputo uno dei crescendo strumentali più incredibili della storia). Ma se il Barman consiglia, vuol dire che un altro giro lo meritano di sicuro.. mi adopero subito (e già che ci siamo, facciamo anche un altro giro di qualcos’altro… di forte 😉

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    • Bene! Da queste parti non si lesinano giri, anzi… più se ne fanno e più siamo felici, soprattutto di questi tempi. Poi colgo l’occasione proprio per il fatto che hai citato “Moya” da Slow Riot for New Zerø Kanada del ’99, l’unico disco di cui non ho parlato (e un mio amico mi ha bacchettato), ma l’ho consideravo un ibrido fra EP/LP, anche se per alcuni è il loro capolavoro. Ecco… così li abbiamo circoscritti tutti.
      Ciao e salute !!!

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