In una stagione di lotte e fermenti come gli anni ’60 del secolo scorso, Pasolini inaugurava quella che chiamò “poesia operaia“, e che successivamente prese una strada del tutto particolare, un po’ per allontanarsi dalla realtà salottiera di allora, fintamente intellettuale, e un po’ per uscire dai piagnistei di una certa letteratura della solitudine, in cui molte liriche del ‘900 si erano circoscritte intorno alla politica del frammento, spesso incomprensibile. C’era bisogno di alzare il tiro della discussione, di far entrare la poesia nelle fabbriche per essere parte stessa della lotta, per sentirsi partecipi di un particolare periodo storico, per portare la cultura in ogni settore sociale, per dare voce a chi, altrimenti, veniva ghettizzato nei circuiti underground, perdendosi poi negli stessi labirinti in cui si cercava di uscire. L’intellighenzia dominante (o del potere costituito) rifiutava una “parola” che esprimeva un dissenso scritto con i verbi di tutti i giorni. Si creò così una realtà parallela: quella alta sfociò nelle avanguardie, e quella proletaria invece, rimase ancorata nelle sue convinzioni di base, di denuncia, di provocazione, di realismo crudo e intimo nello stesso tempo, per farsi sentire, anche con i sentimenti. Potremmo citare esempi illustri come i ciclostili di Ferruccio Brugnaro, i volantini di Franco Cardinale, l’ironia di Donato Rossi e Sandro Sardella, i rumori di Francesco Currà, il ferro e la terra di Tommaso Di Ciaula, fino al dialetto di Giovanni Rapetti od opere splendide come “Una cosa sublime” di Attilio Zanichelli.
In questo filone s’inserisce a pieno titolo la poesia di Matteo Rusconi. La sua ultima raccolta intitolata “Trucioli” (AutAutEdizioni) è una bellissima dimostrazione letteraria di una giornata di lavoro in cui, la fatica, la fabbrica, l’alienazione e i fogli di un libro sono una cosa sola, fra ingranaggi e sentimenti.
Il volume delle frese, l’ossessiva ripetizione del tornio, le differenze e le incongruenze fra colleghi, capi e dirigenti; i rapporti continui con le giornate tutte uguali, diventano un diario personale che non lascia un attimo di respiro, adatto per rappresentare la frenesia della produzione. Eppure la rabbia è contenuta, le urla sono racchiuse nel petto di ognuno, come se le mura di un luogo asfittico si fossero cristallizzate nel pensiero per diventare espressione delle persone. E sono proprio le persone a prendere il sopravvento sulla realtà, in un continuo interscambio con una vita spesso cruda e monotona, insieme a tutta l’intimità che abbiamo dentro, pronta a implodere al primo attimo di smarrimento. Ma come sempre, l’artista si riempie d’orgoglio e diventa partecipe di una commedia umana, la quale ci appartiene e ci consuma nello stesso tempo, come in una sovrapposizione identica che ci fa commuovere, prima di provare un moto di stizza. E alla fine trionfa, vive di luce propria, diventa protagonista dentro a un teatro dell’assurdo, come se tutta la rappresentazione si volesse guardare, prima di risucchiare ogni frase nel suo vortice meccanico. Alla parola rimane l’ultimo sussulto, l’ultimo inno alla vita, l’ultimo desiderio che non è la classica sigaretta, ma la consapevolezza di essere ancora vivo per raccontarla.
Questo libro ci narra una “normale” giornata di lavoro: primo turno, secondo turno, straordinari; identificandosi senza una pagina di pausa con la natura di una realtà asservita solo alla produttività. Lo stile poetico è semplice, schietto, ironico, senza fronzoli, adatto per farsi capire, dando al lettore tutte le emozioni possibili per farlo partecipe, come se l’attore principale ci chiamasse sullo stesso palcoscenico per respirare quella polvere, quella limatura di ferro, quel sudore sporco di catrame. Alla fine anche noi ci sentiremo addosso quell’odore di olio bruciato, quella puzza che oltre i muri ha contaminato la pelle, quella stanchezza inevitabile che piega anche i più forti. Però, ci rimane la poesia, quella bellezza che si tramuta in rivalsa per testimoniare la nostra integrità oltre ogni apparenza.
Trucioli
Non chiedermi il perché
di questo folle volare
è volgare il mio mestiere
e non si grava di purezza.
La risposta sarà
nella lentezza
di un truciolo nero in un campo di neve
e non sul dorso di farfalle sincere.
Saranno mille solchi di luce
e non viti sinistre
a raggiungerti e svelarti
ciò che lucida la mia anima.
Alla bocca cederò soltanto il fiato
per soffiare via il resto
di un freddo residuo di metallo.
Non faccio altro
Non faccio altro
che caricare e scaricare il mandrino
e attendere la fine dell’ultimo pezzo.
Eseguo cambi di lavorazione
sostituisco bareni e inserti
modifico misure
tolgo la bava in eccesso.
A volte mi capita di fermarmi a osservare
le ganasce ruotare a mille
e mi entra in testa una poesia
che rimane lì, nella sua forma
a giudicarmi.
A volte una poesia mi cade dalla testa
come fosse un caschetto slacciato:
può sembrare una schifezza
per me è salvezza e vita che filtra.
Prezzemolo
Ma questo olezzo che sento
lavandomi la faccia nel lavandino
è come prezzemolo finto.
Lo ritrovo indefesso
sugli abiti che tolgo e appendo in bagno
nel piatto ben lavato
prima di mangiare il risotto.
Lo annuso
nell’intercapedine di ogni sogno
in cui mi squaglio.
Chissà se nottetempo
avrò un altro profumo.
Fiore di carta
(ai lavoratori della ditta Lamina
morti per un incidente sul lavoro)
Dieci ore al chiuso
tra le mura di una fabbrica
mi costringono a dimenticare
di cosa sia fatta l’aria.
Quello che mi riempie fino ai polsi oramai
in gran parte non è più ossigeno,
è acqua che cola marcia
dal rubinetto del cassone del ferro.
I peli del mio naso
sono fili di ruggine e truciolo
e i calli mi parlano
di un padrone lucido e freddo, una lamina
di acciaio temprato.
Dieci ore di lavoro
chiuso in una latta di olio esausto
mi aiutano a forgiare
la tempra di questo foglio
mentre lungo i finestroni di cemento e vetro
cerco l’ultimo respiro buono.
Domani, sotto l’ombra di un fiore di carta
sarò un petalo di cellulosa esplosa
domani, all’ombra di un campo di frumento
riposerò per non essere più corrotto
dall’umidità del metallo.
Catena perpetua
Poesie prefabbricate
versi al carbonio
inox e cemento e cielo grigio
pausa di un’ora
cibo in scatola
carne a pezzetti assembramento di Lego
carie e stress
raschiare il superfluo
produrre il bello, produrlo funzionale
produrre
la biro frena, la poesia sfancula
produrre
respirare
respirare se fai in tempo
si inceppa la Fiat 500
la basta paga non ritorna
produrreprodurreprodurreprodurre
respirare
respirare
respirare se c’è tempo
fumi di veleno
morire
essere sconfinato tra le pagine di un libro.
Matteo Rusconi
poesie tratte da “Trucioli” (AutAutEdizioni)
Dall’antica Grecia fino al Rinascimento l’arte è sempre stata al centro della società, poi, successivamente, con l’avvento della rivoluzione industriale, il centro della società è stato preso dalla scienza, facendo slittare l’arte ai margini di essa. L’artista si è così mutato da protagonista attivo, in un bohèmien, un maledetto, un eroe anarchico vissuto sempre sul confine del bene e del male. L’uomo stesso si è sempre diviso fra questi due opposti, lasciando alla parola il riscatto necessario per la sua rivincita. Matteo Rusconi riabilita la sua immagine proprio fra le pagine di un libro: il suo libro, nato dall’ossessione delle sue giornate lavorative e poi resuscitato nella luce splendida delle sue poesie: “…rileggi la canzone che ti ho cucito / addosso / sul fienile della sera. / La impari a memoria / intanto che / ogni raccordo uscito dal tornio / si porta via con sé / un po’ della mia storia…“
Bene, ora ci vuole una bella bevuta: tanta birra per ingoiare ed espellere tutta quella polvere di ferro che il poeta ci ha fatto respirare, sentendolo recitare sul suo posto di lavoro, tra una pausa e l’altra della lavorazione, e noi, alla fine, brinderemo con lui per inneggiare alla bellezza di chi lotta per non morire.
Salute ragazzi!
il Barman del Club
conosco bene la poesia di Rosko, ed è buona poesia
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Bel libro!
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Sì, belle poesie. Leggerò questo libro volentieri.
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Bene!
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Grazie di cuore!!
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Figurati, per me è stato un piacere!
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L’ha ripubblicato su Parole & Carriolee ha commentato:
Una bellissima recensione a Trucioli che mi riempie il cuore di gioia
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