La poesia è spesso un viaggio psicanalitico che supera gli abissi della nostra mente, perché, partendo da queste profondità, si eleva superando l’illusione di rigenerarsi con le parole. Sostanzialmente, la parola stessa diventa materia organica e non mezzo simbolico dove fondersi con i propri sentimenti, lasciandoli poi evaporare così come sono nati. Seguendo questa traccia la poesia di Lorenzo Morandotti si plasma proprio dentro una struttura mai casuale, nel senso che l’impatto emotivo, apparentemente oscuro, appartiene a una matrice ben definita e molto ragionata da cui è partita. Tra l’altro, il titolo di questa sua ultima opera è emblematico come se il nostro legame d’amore, fosse talmente indissolubile da non lasciare scampo a chi scrive, perché il poeta si volterà sempre per guardare il suo inferno, o il volto della sua amata perduta, e le conseguenze le conosciamo da sempre.
Ma allora, l’artista sarà sempre costretto a soffrire dentro il vortice che l’ha generato? In realtà il conflitto binario fra gioia e dolore è alla base non solo del mondo letterario, ma del mondo stesso in cui, un equilibrio evolutivo che fonda la sua essenza nella contrapposizione fra quiete e violenza, ci ha sempre portato verso un gradino superiore di conoscenza. Se il concetto di civiltà è nato proprio dall’impegno di superare un’idea legata al male, evidentemente, esistiamo per inseguire la bellezza, anche se l’impossibilità di raggiungere la perfezione sarà sempre alla base della nostra spinta per andare oltre il nostro futuro, o in senso più quotidiano, verso il giorno successivo.
La poesia di Lorenzo Morandotti ha origini lontane, e inizia dalle neo-avanguardie che negli anni ’70 profetizzavano l’il-leggibile delle letture, come se la lezione degli strutturalisti arrivasse alle estreme conseguenze, superando il punto di non ritorno. “...Lo sguardo allo specchio / scruta l’inesistenza…” diceva Antonio Porta “…sceglie una direzione / inconsapevole o folle…” Ma siamo sicuri che oltre la nostra immagine esista solo il nulla al di là della nostra maschera? Forse è questa la soglia che moltiplica tutti i punti di fuga, li apre ad una forma nuova di espressionismo, di follia, scegliendo non solo l’infinito che si apre davanti allo spettatore di sé stesso, ma riesce a inventarsi ogni volta, senza nessuna regola. Poi tutto si ricompone, ritornando nel mondo reale. I versi di Lorenzo iniziano proprio da questa contemplazione, o se vogliamo, da questa domanda. Cercano di rispondersi, senza l’urgenza di svelarci una spiegazione logica, perché quello che si nasconde dietro le parole (o lo specchio), prima o poi verrà a galla, prima o poi ci apparirà nel suo riflesso. Il suo è un camminamento orfico, buio, ambiguo, apparentemente incomprensibile, come se il bianco e nero della copertina ci lasciasse nel dubbio di cosa possa pensare la donna raffigurata. Ma se ognuno di noi, cerca disperatamente la propria Euridice, ogni nostro pensiero, ogni nostra azione, ritornerà sempre al punto di partenza, perché la nostra vitalità non verrà mai meno, e ogni volta ritorniamo da dove siamo partiti, per ricominciare, insistentemente.
Queste sono liriche che ci lasciano attoniti, proprio perché continuando a penetrare sempre più a fondo nella ricerca di questo io perduto, o di questo legame che ci appartiene, non fanno altro che raffigurare tutte le nostre pulsioni e tutte le nostre speranze in cui ognuno si potrà riconoscere. Ci ammaliano nella nella loro musicalità, apparentemente ipnotica, come se i giardini del sonno d’amore (così recita un capitolo del libro), per quando inaccessibili, si aprissero ogni volta per darci una direzione, nonostante la nebbia che li avvolge. Non è casuale che il rapporto fra struttura ed evento narrativo si basa proprio sul continuo trasferimento dei significati verso il passo successivo, quasi a spostare continuamente il pathos della metafora nello scritto che avverrà fino a perdersi del tutto nella sua metonimia, lasciando alla magia del canto la risposta che cercavamo. Basta il suono di uno strumento per entrarci e le voci si moltiplicheranno. “…Già parlano di me nel sottosuolo / contano le acque fino ai piedi / fiabe di fatica i loro mondi / dove piangere è una coincidenza…”
Poesie di Lorenzo Morandotti
L’orologio dei predatori
O creatura di cicatrici
la valigia del nostro mondo
è un deserto di sabbia
guscio d’uomo
una granata inerte
e i figli scellerati
Barcarola
Dolce Penelope tesse la tela
di quell’ombrello in cui non pioverà
Settembre è il mese dei proverbi
primo fungo bianco
sul greto nunziale
rocce animali nomi
e prima di morire voli pazzi
di mosche e mille ragni
si aggrappano sugli armadi
dove piove la maligna
Prolungo in te l’estate
anche se perdo i frutti
Cantilena
Torna a splendere la ruota dei colori
e la mia pelle si sta rigenerando
faccio domanda
e non conto risposta
l’ansia del verdetto
la sconfitta del portamento
occhio da martire
avrei detto se richiesto
<< prima venivano le campane
poi il mondo >>
Campo delle stelle
Per secoli
ho bruciato l’alveare
c’era il gelo di famiglie intere
dove stringere l’acqua fra i denti
Ho conquistato
l’angolo servile
qui dove sempre
misere e volatili
vengono rifatte
sorrisi arcobaleno
per questi mondi umani
per la città sprangata
le ragazze dell’ossario
Filotea
Da che giorno è caduto
l’insolito vero?
Torna e galleggia
un’altra circostanza
mi ripeto
un giorno
ogni abisso sarà lieve
Nel torpore
Già parlano di me nel sottosuolo
contano le acque fino ai piedi
fiabe di fatica i loro mondi
dove piangere è una coincidenza
A una stele salvata da ignoranti
insegnano la via del meteorite
Indifferenza delle creature
Nei giorni di pioggia le persone
vagano al rallentatore
si parlano attraverso l’acqua
in un mondo di sostanza elementare
dove dormono i sonni più profondi
Quello che si sta perdutamente
rotola veloce dalle scale
in un gioco di emulsioni a specchio
Natura morta con tempesta
Spezza rami con il piede
il ventre pieno
nel gesto dell’offerta
prende il posto
dell’abito da lupo
brucia ancora la pelle che saluta
e se ne è andata la metà del sangue
I vecchi sono lampade di cera
lo spazio di accoglienza
del disordine
le donne che è difficile guardare
Ma prima di parlare
c’è qualcosa
che vede senza occhi
una fiala d’acqua
un corpo inesorabile
che prende a pugni le tue sabbie
da Nero Euridice (edizioni Lietocolle)
tutte le immagini sono prese dal web
Dentro questa raccolta Lorenzo Morandotti riesce a chiudere un cerchio lasciato interrotto da chi lo ha preceduto. Ci lascia una porta aperta perché ogni viaggio si possa concludere dove altri hanno fallito soltanto per un impulso istintivo. In fondo, quando estetica e contenuto razionale si fondono per generare un magma solidificato, le tracce di questo passaggio formeranno un paesaggio in cui, le stesse forme vuote, avranno le stesse caratteristiche della bellezza, insieme alla loro contemplazione e il rischio di attraversarle. “…Ho l’accento vecchio / e con pericolo sono qui per voi...”
Bene, giunti a questo punto, insieme all’autore, un brindisi è necessario…
Salute ragazzi!
il Barman del Club
Mi hai tenuto x mano in questo mondo di poesia che -come x altri (mondi)- non conoscevo e ne sono uscita arricchita.
Salut Barman a’ notre santèe🥂🍾
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Salute Shera… cin cin anche a te!
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Le poesie sono belle, ma solo io vedo un’impaginazione sbagliata tipica del nuovo linguaggio WordPress? Perdendo la struttura della poesia, essa ne risente in termini di qualità.
Le tue recensioni, al solito, sono eccezionali. Alla tua 🥂
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Lascia perdere, ultimamente sto tribolando con questo nuovo programma. Se io nel pannello di controllo impagino un articolo come l’ho concepito, poi sul blog me lo ritrovo cambiato e non c’è verso di risistemarlo. Alla fine desisto e lo lascio tutto come viene…
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Carissimo, ormai passo raramente per le vie di WP. Oggi mi fermo da te e come sempre è una scoperta di versi a me sconosciuti. Sei una fonte preziosa.
Auguri per queste feste e anche oltre!
Cin cin con abbraccio! 🥂🤗
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Un abbraccio anche a te ❤
Cin Cin e tanti auguri !
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