N-armonia e rock

Ripartiamo con delle scelte in cui l’armonia e non la forza, rappresenta lo spessore principale di una canzone, anche se, non per questo, viene a mancare l’impeto del rock. D’altronde, per sorseggiare un bell’aperitivo insieme, la musica giusta ha la sua importanza. Il resto viene da solo…

rock e armonia - ottimi album primi mesi 2022

Mojiti alla frutta

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The Dream Syndicate
Ultraviolet Battle Hymns and True Confession

Chiaramente sono stato molto in dubbio, dentro quale sezione inserire l’ultimo album degli alfieri del cosiddetto paisley underground: quel connubio fra punk, psichedelia e melodia che li ha resi famosi nel decennio degli anni ’80. Alla fine ha vinto l’armonia, perché dopo la reunion che li ha visti tornare sulle scene con degli ottimi album, in quest’ultimo emerge a mio avviso proprio una collettività di fondo.  Non più schitarrate pazzesche intorno ad una canzone ben definita, ma una coesione molto più vicina ad una improvvisazione blues-fusion che a una cavalcata rockeggiante. Questo loro ultima fatica inizia in sordina per poi lasciarsi andare dentro dei pezzi fluidificanti dalla bellezza cristallina finendo in grandezza come sanno fare loro. Chiaramente non mancano le loro visioni lisergiche infarcite di ritmi e cavalcate tanbureggianti, ma nell’insieme generale prevale una dolcezza latente la quale prende per mano tutta l’espressivita del disco, sorprendendo per la creatività di questa loro seconda giovinezza. D’altronde se il loro leader, quel Steve Wynn dalla passione musicale senza fine, un giorno disse: “…quando avevo vent’anni suonavo il rock per protestare contro i quarantenni che lo praticavano, e ora che ho io quarant’anni, il rock lo fanno ancora i sessantenni…” Caro Steve, ora che anche tu hai sessant’anni, non dico che il rock lo fanno ancora gli ottantenni, ma quando avrai tu, ottant’anni, continuerai ancora a fare dischi belli come questo.  Voto 8,5

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A - Chelsea Carmichael – The River Doensn’t Like Strangers

Chelsea Carmichael
The River Doesn’t Like Strangers

Nei territori della fusion, la miscellanea conturbante di questa sassofonista di colore, al suo primo album, raggiunge tutta una serie di atmosfere particolari, generando continue stratificazioni sempre in equilibrio fra la bellezza e la meditazione, l’introspezione e la fascinazione. Costruito insieme al jazzista Shabaka Hutchings, sono riusciti a contaminare tutti i suoni con un funky particolare, sempre a metà fra delle atmosfere caraibiche con un retrogusto tribale, il quale genera una gioia interiore difficile da scrivere, tanto è particolare da vivere e da sentire. Sempre in equilibrio fra un incedere ipnotico e degli echi afro-beat, tutto il disco scivola via come un fiume dove scorre melodia e improvvisazione, lasciando alla voce del sax un tocco di vellutate sfumature, le quali accarezzano degli accenti pop, per poi immergersi nella sperimentazione pura. Emergono così insieme alla base ritmica, tutte le fasi cromatiche in possesso di una professionista di cui sentiremo parlare a lungo insieme alle sue visioni dal respiro enorme. Voto 8,5

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Rabdomantic-Almagre_front_RGB

Rhabdomantic Orchestra
Almagre

Quando un combo etno-jazz riesce ad esplorare territori carichi di calore, voglia di vivere ed espressioni variopinte intrise di intuizioni nuove, tutto il tessuto narrativo esplode proprio intorno all’armonia che lo ha generato.  Queste escursioni estremizzate intorno alla loro ricerca, partono dal nord Africa per finire nelle campagne europee, fondendo word e fusion con un alfabeto nuovo, rivitalizzano un genere fino a stupire per l’imprevedibilità ritmiica dentro una piacevolezza dell’ascolto. Il torinese Manuel Volpi, capitano della sinergia, circumnaviga intorno a dei territori molto ampi, ma che fanno parte di un globo immerso nelle trascendenze musicali di varie influenze che si amalgamano fino a diventare un sound unico, fatto di vibrazioni e di emozioni, di lingue diverse e di accenti vicini alla nostra modernità. Non importa se il titolo si rifà ad una tonalità di colore rosso ottenuto con un processo alchemico, perché la mescolanza delle varie culture si determina proprio intorno a dei suoni nati sotto una forma di miracolo, e la musica si sa, va oltre tutto questo. Voto 8

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A - Hifiklub + Duke Garwood & Jean-Michael Bossini – Last Party on Earth

Hifiklub + Duke Garwood & Jean-Michael Bossini
Last Party on Earth

Cosa ci rimane quando la notte avvolge i nostri passi senza sapere dove continuerà il cammino? Nel senso di ogni ombra che si materializza; di ogni impronta inghiottita dal buio; di ogni pensiero vicino al confine dell’imperscrutabile? La mini-orchestra degli Hinfiklub, sempre alla ricerca di collaborazioni eccellenti come in questo caso, sfodera un esperimento dalle tinte oscure, filmiche, come se un teatro costruito sopra a delle storie tenute nascoste da sempre,  si fondesse nella sua stessa metamorfosi di suoni avvincenti e cupi nello stesso tempo. Tutto sembra preannunciare una lenta fine di ogni cosa, eppure, questo blues stratificato come se il fantasma di Mark Lanegan aleggiasse sopra di noi, alla lunga si plasma come una creta morbidissima, curata quanto basta per farsi accarezzare. Quello che sembrava il preambolo di un thriller psicologico, alla fine diventa una storia d’amore in equilibrio fra tristezza e dolcezza, facendo dell’amore stesso il sentimento talmente vicino alla vita e alla morte,  da sentirsi genitore di tutte le cose, compresi noi, come parte dell’infinito. Voto 7,5

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A - Ist Ist - The Art Of Lying

Ist Ist
The Art of Lying

Questa band proveniente da Manchester è stata accomunata alla nuova ondata post-punk che ha travolto l’Inghilterra,  facendo i soliti paragoni come gli eredi dei Joy Division o dei Fall. A mio avviso invece li vedrei meglio vicino ai Talk Talk di Mark D. Hollis per quella loro preparazione musicale vicina a sonorità più morbide e raffinate,  mischiando appunto un embrione di post-rock con la new wave più ricercata. Inoltre, questa loro propensione a non aggredire mai,  quasi a conciliarsi con sé stessi, ci riconduce proprio alle basi di un’armonia non tanto facile, ma costruita proprio intorno a un crescendo musicale intelligente, un po’ come i The National. Non è casuale che l’incedere baritonale della voce ricorda proprio Matt Berninger, e la profondità della struttura cromatica crea via via visioni su visioni, intorno allo scheletro di una città dal passato tipicamente proletario, divenuta ora un crogiolo culturale innovativo e pieno di vitalità, così come le note di questo ottimo album. Voto 8

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A - Just Mustard - Heart Under

Just Mustard
Heart Under

Questa band irlandese è capace di tradurre in melodia un impatto claustrofobico generato dal turbamento che l’individuo, ormai perso nella tecnologia che ha creato, vive in perenne conflitto con se stesso. La trasformazione avviene all’interno di uno shoegaze attraversato da ritmi industrial, e da una messinscena sempre in equilibrio fra una dolcezza ipnotica carica di ossessione e un teatro degli orrori apparentemente strisciante, ma configurato nelle scenografie troppo vicine ai nostri occhi. Tutto il disco vive di impennate ritmiche che implodono nel buio e che esplodono appena la violenza lo consente, le quali, traccia dopo traccia, ci trascinano nel sottosuolo, disperatamente. Eppure, il fascino che generano queste canzoni lo possiamo paragonare a un canto di sirene, tanto bello come crudele, da cui non si può scappare. Veniamo trascinati nel gorgo irresistibile di un sogno dalle tinte fosforescenti, e non importa se all’improvviso ci ritroviamo nell’inferno, perché la bellezza struggente che si respira in questo gorgo sulfureo si traduce alla fine nell’ammirare uno dei lavori più interessanti dell’anno. Voto 9

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A - keeley-forsyth-limbs

Keeley Forsyth
Limbs

Ci sono album che già dal primo ascolto giganteggiano in maniera imprevedibile, dimostrando la loro qualità eccelsa, la loro esposizione superiore, la loro lacerante poesia. Keeley Forsyth si trasforma da attrice in un’interprete dalla bravura pazzesca, in cui dramma e passione si uniscono per diventare una realtà scarnificata fino all’asfissia. Non se se paragonarla a certe performance della Diamanda Galas più oscura, o a delle stratificazioni lacerate dello Scott Walker più nascosto; il fatto è che tutte le canzoni sono attraversate da un brivido irresistibile, perverso, ipnotico quanto basta da perdersi nel suo incedere malato. Eppure, anche in questo caso, tutto il substrato diventa seducente quanto basta da rimanere affascinati da tanta costruzione onirica, anche se i confini che ci separano dall’incubo sono lì ad aspettarci. Però, non ce ne accorgiamo. Lentamente veniamo ubriacati da una trance in cui tutto si liquefa, tutto si fonde nella sua commovente liturgia. Difficile resistere: anche noi stessi veniamo ingoiati nel fluido immaginifico che ingloba quiete e violenza, rimanendo perennemente in apnea, per poi riemergere ad ammirare un altro album dalla bellezza sconvolgente. Voto 10

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A - Rosalie Cunningham - Two Piece Puzzle

Rosalie Cunningham
Two Piece Puzzle

Eccentrica quanto basta, l’ex voce di Ipso Facto e Purson, centrifuga un album dove si miscela folk, psichedelia, cabaret,  rock fine anni ’60 e visioni avveniristiche che cercano di reinventare un sound atipico, il quale pesca a piene mani in una sorta di Canterbury o di progressive se vogliamo, ma a sua volta lo rovescia per piegare la tradizione cercando di modernizzarla, come se le ballate di un tempo si dovessero armonizzare con le tempistiche attuali. Ne esce una manciata di canzoni che partono echeggiando un sound tipo Beatles per poi variegare la proposta con armonie più complesse, mischiando Fairport Convention e Jethro Tull, Gong e Amon Dull, senza distinzioni di sorta. Alla fine il mosaico riesce, forgiando una forma canzone efficace e divertente, la quale si fa ascoltare proprio per l’unità della varietà e la varietà nell’unità, considerando che questo non è un gioco di parole, ma l’espressività di un’interprete talentosa, viva quanto basta da sorprenderci piacevolmente. Voto 8

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A - Shamir-Heterosexuality

Shamir
Heterosexuality

Questo cantautore di Philadelphia ci trascina nell’ossessione di sentirsi diverso, con tutta l’oppressione verso una personalità borderline che si materializza nella sua musica. Un insieme di pop, industrial e hip-hop, concentrati insieme a rabbia, dolcezza, rassegnazione e scatti bizzarri che sottolineano la sua bravura, utilizzando ironia e disincanto. I testi sono espliciti, la musica è armonica, la ritmica dolce quanto basta per non essere disturbante, nonostante le tematiche, e  l’album via via si lascia andare lasciandosi alle spalle una sorta di razzismo latente, per plasmarsi nelle melodie che risultano piacevoli anche a un pubblico disattento. Probabilmente, se una condizione di vita dev’essere portata in primo piano come azione-reazione, lo spazio che rimane fra il recepire e il rispondere, sarà colmato dall’andamento carezzevole delle canzoni, le quali, in fondo, sono piacevoli quanto basta per sentirsi tali. Voto 7,5

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A - Whitney K - Hard To Be A God

Whitney K
Hard To Be A God

Quando un genere tipicamente cantautorale contiene fra le sue strofe quel tocco artisticamente magico, e si pone al di sopra della media, provocando emozioni su emozioni, nonostante una dialettica spesso ascoltata nell’universo folk, cos’altro aggiungere? Niente, bisogna soltanto  immergersi nel lirismo vocale, quasi parlato del nostro protagonista. Poi, se nella cover dell’album troviamo Bob Dylan, Lou Reed e Kris Kristofferson, semisepolti vicino a un cane che li ha ritrovati, non è soltanto la riesumazione degli eroi per un’autopsia immaginaria, ma la consapevolezza che un retroterra personale rimarrà sempre vivo nella memoria di tutti, e non nascosto nel dimenticatoio del “dobbiamo andare avanti”. Questo interprete canadese riutilizza il suo blues urbano, fatto di inflessioni minimali e sfumature dall’andamento melanconico, giusto il tempo per fare della poesia quella rappresentazione che la forma canzone esige, e che, accordo dopo accordo, diventa una storia per tutti noi: una delle tante, ma sempre viva. Voto 7,5

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Mojiti alla frutta

Bene, abbiamo terminato anche il secondo giro di aperitivi musicali, nell’attesa delle prossime bevute, perché in questo locale non può mancare niente per la vostra disponibilità.
Salute ragazzi!

il Barman del Club

12 Comments on “ROCK E ARMONIA – Alcuni ottimi album di questi primi mesi del 2022

  1. Pingback: i migliori album del 2022 – per l’Intonation Cocktail Club 432 – Intonations Cocktail Club 432

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