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Se qualcuno vi dicesse che questi ragazzi e queste ragazze provengono da un villaggio di nome Korpilombolo dopo aver ascoltato la loro musica, voi, che zona del mondo indichereste? E se vedreste il loro travestimento in un concerto dal vivo senza sapere la loro origine, di che colore direste, se vi chiedessero quale sfumatura ha la loro pelle? Africa, chiaramente! Nera, chiaramente!   Sbagliato…   La loro pelle è bianchissima e  arrivano da quattro case sperdute nel nord della Svezia, il cui unico pregio è quello di esser state nominate, o nominato, se volete,  da una delle due bionde degli Abba: Agneta Faltskog, per la precisione, in un pezzo datato ormai 1972: “To Mil Kvar Till Korpilombolo, in cui il testo parla per l’appunto di un amore lontano mille miglia, vicino al circolo polare artico che sarà raggiunto a tutti i costi: sinonimo proprio di luogo lontanissimo. Poi il nulla. Chiaramente per “nulla” intendiamo l’anonimato e il silenzio che circonda quei luoghi tanto distanti da noi e per il nostro modo pi pensare come paese latino, ma sicuramente affascinanti soltanto per l’effetto natura: l’ultima Thule, direbbe qualcuno. E’ chiaro poi che la loro miscela di etno-rock o psych-world amplifica gli orizzonti e unisce in un viaggio immaginario il continente nero con la California di fine anni ’60. In fondo. l’anima ancestrale racchiusa dentro ognuno di noi e i misteri cresciuti nelle lande oscure del nostro immaginario (e potremmo aggiungere: amplificate dall’estremo nord) fanno il resto, perché in ogni angolo del mondo esiste un’energia primordiale, pura, assoluta, la quale forma un contatto speciale e inaspettato con tutte le forme della Terra: vegetali e animali, e come tali devono essere parte di noi, insieme a noi, intorno a noi. La scoperta di questa energia è l’esplosione di tutti i nostri istinti, la voglia di essere un tutt’uno con un’anima più grande, che ci accomuna.
Questo però non è un discorso religioso, o mistico, o esoterico, ma qualcosa che ci appartiene da millenni e che essendo dentro di noi, quando vuole esplode e diventa vita: MUSICA, in questo caso. Di conseguenza non dobbiamo stupirci se i Goat vivono la loro gioia dentro a un groove psichedelico quanto tribale per esprimere pulsioni più grandi, anche perché la loro nazione: la Svezia appunto, è una terra con una cultura musicale vastissima e fitta di contaminazioni importanti, che l’hanno portata ad essere al centro dell’attenzione spesso e volentieri, quindi, non è casuale che il bagaglio di questi ragazzi travalica ogni forma e convenzione, miscelando la loro origine e le loro leggende con i loro miti, e in senso metaforico, con le loro visioni, anche se una maschera o un costume assume in questo caso una valenza rituale e sciamanica di appartenenza: una Commune, tanto per citare il loro titolo.

Goat promo photoSostanzialmente Commune è l’ideale continuazione del loro esordio di due anni fa: World Music: titolo esplicativo e quanto mai, il loro manifesto artistico in relazione alla capacità d’intenti del loro concetto di musica. Infatti le 9 tracce di quest’ultimo,  sono a tutti gli effetti un insieme di ritmi e d’intrecci di chitarre in cui la parola rock, è solamente il collante per “viaggiare”  in altre direzioni: Africa (lo abbiamo già detto), ma poi ancora, Medioriente, India, Sudamerica o i lidi vicini a Palo Alto, tanto per non allontanarsi dalla contemporaneità, perché il loro motto è proprio questo: “viviamo adesso e non nel passato”. Ne risulta una miscela esplosiva dall’incedere contagioso dove tutti gli strumenti (voci comprese) contribuiscono ad evocare una ritualità, una danza che nelle loro esibizioni dal vivo, si amplifica a dismisura come coinvolgimento emotivo e spettacolare: una vera e propria performance dove i costumi la fanno da padrone, con un impatto emotivo fortissimo e trascinante.
E’ chiaro che la traduzione del loro nome: “capra” in italiano, s’inserisce nell’iconografia pagana sempre visualizzata nel soprannaturale e come tale, se analizziamo il concetto di “padre, sole, e spirito santo”, sappiamo che l’oscuro è sempre dietro di noi, dentro di noi, nell’eterna lotta fra il bene e il male, e quindi, esorcizzare le paure, rappresenta uno dei veicoli dove invocare la salvezza è come inseguire una speranza. In questo caso il veicolo è la musica con le sue pulsioni, le sue ossessioni, le sue visioni, le sue stravaganze, le sue liberatorie emozioni. La “Commune” è la nostra comunità intesa come villaggio globale in cui, partendo da piccole abitazioni dimenticate fra i ghiacci, si può arrivare ad essere cittadini del mondo, parti di una comunità più grande, contraria all’individualismo imperante perché ognuno di noi dipende dal destino dell’altro, e proprio per questo, non dobbiamo allontanarci. Poi il tutto può essere compreso come fiction, espediente per divertirsi e divertire, magari anche guadagnare, ma il concetto di base è importante, e proprio per questo deve essere assimilato, gustato , capito: “Goat vuole rammentare che l’esistenza comunitaria è l’unico modo per vivere e che ciascuno di noi è già situato in varie forme di collettivi. Abbiamo soltanto bisogno di riprendere a riconoscerlo e valorizzarlo.” 

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Se i nostri destini dipendono dai destini degli altri, è giusto allora esplorare le dimensioni comunicative che ci offrono, incominciare a capire la potenza della interconnessione. Un esempio lampante è proprio la “rete”, o questi blog se volete, quest’intesa anche individualista ma completamente parte di un corpo più grande, in cui tutti sono in contatto fra loro e lo muovono, lo agitano, lo vivono completamente, in cui capire e capirsi, accettare e accettarsi, è fondamentalmente alla base della nostra libertà. L’espressività dei Goat è proprio questa: amplificare un’energia positiva e dirompente che può solo far bene all’anima, e il corpo ne trarrà  i suoi benefici. Poi è chiaro, magari loro si vogliono solo divertire, ma a noi va bene lo stesso, perché in questo divertimento è tutto racchiuso il segreto della nostra bellissima gioia… basta solo regalarla agli altri: capirla, comunicarla, condividerla.

il Barman del Club

goat 8tutte le foto sono prese dal web

18 Comments on “GOAT – Commune

  1. Affascinante. Forse il poco di febbre che ho mi ha dato un brivido oppure ho sentito suonare in me alt(r)e parole che ho riconosciuto qui.

    “Se volete c’è una convinzione più di fondo che mi porto dentro da lungo, assai lungo tempo: che noi ci trasformiamo con gli altri, gli altri sono diversi, e sparsi e in cerca. Tutti siamo sparsi. La liberazione la si costruisce insieme.” Pietro Ingrao

    sherasenzaparolesolomusicadentro

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  2. grandi parole fatte da uno dei pochi politici capaci di capire il senso della comunità e del vero socialismo, e che oggi dovrebbero essere prese in considerazione come insegnamento per le future generazioni. Invece s’insegna l’edonismo e altro ancora. Come sono cambiati i tempi… Per questo mi piacciono questi ragazzi, perché vivono la loro libertà consapevoli del bene che possiedono, e che possono condividere con tutti, musica compresa !!!!!!!!!!!!!!!!

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  3. Piacevole La Capra, se non si hanno cose urgenti da fare. Dal vivo sembrano valerne la pena, certo meglio dei sudamericani con flautini e la tastierina che manda new age preregistrata e che vengono piazzati come etnici (definizione che poi non vuol dire un cazzo). Però gli ABBA mi sembrano venire da un futuro ormai irraggiungibile.
    I Cigni, La Capra, Le Scimmie (?) di Albini/Shellac: sei il divulgatore di un rock davvero “animalesco”!!! Ahr, ahr, ahr!

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  4. Per i somari mi sto attrezzando (può andar bene un consiglio comunale comasco?), rock on.

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