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Vista la mancanza di uscite poco stimolanti, mi sembra giusto aggiornare la categoria “capolavori da riscoprire“, nata proprio per parlare di quegli album bellissimi rimasti però ai margini della conoscenza generalizzata e spesso circoscritti nella sfera dei pochi appassionati. È il caso di questo live dal fascino indiscutibile e struggente, meraviglioso, realizzato da questo musicista poco conosciuto al grande pubblico, ma dal valore artistico enorme, proprio per i lavori da lui eseguiti durante la sua carriera, come quest’ultimo concerto registrato quando sapeva di avere un tumore al cervello con pochi mesi di vita, decidendo di lasciare ai posteri un’ultima prova di altissima qualità della sua sensibilità e della sua bravura, dall’intensità fuori dal comune.

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Rainer Ptaceck, di origine ceca e tedesca fuggì insieme alla sua famiglia dalla Germania dell’Est quando aveva 5 anni, e crebbe fra Chicago e Tucson. Chitarrista precoce iniziò la sua carriera musicale giovanissimo e fondò insieme a Howe Gelb il primo nucleo dei Giant Sand, partecipando al loro famoso album d’esordio, ma che lasciò subito dopo per formare il Rainer & Das Combo con cui alternerà la sua carriera solista. Non raggiunse mai la fama che meritava per il suo carattere schivo e per l’attaccamento alla sua famiglia, eppure seminò dei capolavori imperdibili per la loro originalità: album come “Worried Spirits” intriso di blues dannato e solitario, o “Nocturnes” in cui sperimentò una forma di elettronica magica e sospesa, insieme ad altri  lavori come “Mush Mind Blues” e “The Texas Tapes“, lo fecero conoscere nel giro importante per essere apprezzato da calibri come Robert Plant e Billy Gibbons degli ZZ Top che spesso lo vollero nelle loro session. La sua tecnica mista fra finger-picking, tape-loop e slide, lo caratterizzava nello stile e lo rendeva particolarissimo nel panorama americano.

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“Live at the performance center”, venne registrato in una chiesa sconsacrata di Tucson, praticamente la sua città, nel giugno del ’97 davanti a un pubblico di amici ed estimatori, come anticipato proprio pochi mesi prima della sua scomparsa, e lui, pur conoscendo il suo destino, si esibì con un coraggio e una serenità fuori dal comune. Questo live è veramente toccante, proprio perché si percepisce la forza interiore del protagonista, attraverso la serie dei suoi pezzi migliori e una scelta di cover per niente banali, sciolinando oltre un’ora di pura emozione dove il pathos e la bellezza raggiunsero vette da brividi.

Link traccia d’ascolto
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Rainer e il suo dobro riuscirono da soli a riempire quella sala attraverso uno stile inimitabile e talmente vivo da far esaltare chiunque. Quelle note dilatate, vibranti, sospese quanto basta da viaggiare fra il sogno e l’estasi, sfocando un blues ipnotico che si lascia andare attraverso accenni di folk ancestrale, e improvvisazioni magiche ricchissime d’intuizioni minimali, trasformate poi nella sequenza di pezzi e melodie che fanno venire la pelle d’oca, diventarono via via un viaggio che supererà ogni tipo di confine.

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Anche le cover, dicevamo, s’inseriscono in questa sequenza di piccole perle, come il compendio di un’esperienza indimenticabile: “Whithin You Without You” di George Harrison; “God Bless the Child” di Billie Holiday; “Slips Away” di Willie Nelson, fino a “Rond and Roud” di JB Lenoir e “One Wrong Turn di Greg Brown, diventano la personificazione di un artista particolarissimo, talmente presente con la sua incredibile vitalità, da fartela sentire dentro come un messaggio di speranza e di appartenenza. Tutti i giri armonici sembrano partire e ritornare dal nucleo iniziale come un corpo unico, facendo diventare questo concerto in un concentrato di velature, tutte sovrapposte per stratificarsi catturando l’ascoltatore, totalmente.

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Da ricordare anche l’album tributo: “The Inner Flame” che gli dedicarono dopo la sua morte e che vedeva ospiti del calibro di John Wesley Harding, Plant e Page, Lucinda Williams, PJ Harvey, Howe Gelb, Vic Chesnutt, Chuck Prophet, Mark Olson e altri, perché, nell’estensione della qualità, il valore dell’amicizia viene riconosciuto anche come risarcimento per una vita dedicata alla musica e a tutta l’arte in senso lato. Poi, se come presumiamo tutti si saranno fatti anche una bella bicchierata in compagnia, è perché chi ci lascia dev’essere sempre ricordato con il sorriso sulle labbra, magari bagnato di alcol e di serenità. Salute ragazzi!

il Barman del Club

18 Comments on “Rainer – Live at the Performance Center

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