Un amico mi ha detto che 52 categorie per un blog  sono tante, mah… (?) sarà … (!) Ma il mio è un bar ben fornito, altrimenti che bar sarebbe. Comunque le ho divise in principali e secondarie, in modo da fare una prima selezione. Ognuno si può servire il cocktail preferito, perché ad ognuno è abbinata una categoria ben definita (arte, attualità, sociologia, curiosità … ironia). E poi, ne avrete uno per ogni settimana dell’anno.   Per esteso ve le elenco tutte e in seguito vi spiego il significato della scelta.
Che vi devo dire… fate una buona bevuta !!!!!!!!!

Five colorful gin tonic cocktails in wine glasses on bar counter in pup or restaurant

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Categorie principali

01) Canned  Heat – Musica tossica (rock e dintorni)
02) Green Sritz – L’eterna giovinezza (gli album più belli dell’anno)
03) Drink Marketing – L’immagine prima di tutto (le copertine più belle dell’anno)
04) Mexican  Sangrita – Viva Vinile!  (capolavori da riscoprire)
05) On The Rocks – Letteratura necessaria (libri per vivere e morire)
06) Campari Shakerato – Arte minima (poesia – teatro)
07) Martini  Dry – Agitato non mescolato (appunti di cinema)
08) Dark  Angel – Fantascienza oscura (film – serie TV – Fumetti)
09) Old  Fashioned – Senza tempo (protagonisti del passato)
10) Daiquiri – Per chi suona la campana (protagonisti del presente)
11) Uu calice di vino – Per intenditori (arte – mostre – performance)
12) Long Island Ice Tea – La classe non è acqua (grandi artisti)
13) Una birra media – Finalmente un sorso (esperienze divertenti)
14) Bad Breath – Fiato cattivo (critica sociale)
15) Aperol Spritz – Per tutti i gusti

Altre categorie

16) Aquardiente – Parole di fuoco
17) Bronx – Tutto d ‘un fiato
18) Alexander – Tutti in bianco
19) Americano – Idee rubate
20) Gin Fizz – Idee fresche
21) Cuba  Libre – Idee rivoluzionarie
22) Bloody  Mary – Idee sanguinarie
23) Palombaro – Idee sommerse
24) Invisibile – Velvet gallows
25) Negroni – Atto di forza
26) Margarita – Doppia scelta
27) Pinacolada – Opera buffa
28) Caipiroska – Ridere per sopravvivere
29) Tequila  Bum  Bum – Colpi di tosse
30) Tequila  Sunrise – Colpi di sole
31) Vampire  Kiss – Quell’oscuro oggetto del desiderio
32) Luxuria – Vi ricordate dell’Ubalda?
33) Xantippe – La bisbetica domata
34) White Russian – Il grande Lebowski
35) Sidecar –  L’ accompagnatore sbronzo
36) Stinger – Nascondigli segreti
37) Whiskey  Sour – Semplicemente aspro
38) Irish  Coffee – Mi devo scaldare / mi devo svegliare
39) Screwdriver – Lavori di cacciavite
40) Easy  Rider – Voglia di libertà
41) Mojito – Un incantesimo
42) Bellini – I soliti fighetti
43) Autodafé – I soliti sospetti
44) Horse’s  Nick – Così non si uccidono neanche i cavalli
45) Bouncing  Bomb – L’ arsenale
46) Knockout – Un pugno nello stomaco
47)  October  Revolution – Ultimi incendi
48) Zombie – La notte dei morti viventi
49) Un  Latte  Caldo – Spero ti scoppi in mano
50) Acqua  Minerale – Mi nonno non l’ha mai bevuta
51) Stomach  Reviver – L ‘ ultima possibilità
52) Fernet & Coke – Punto di non ritorno
53) Ghost Track – The day after tomorrow


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Categorie principali

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Canned Heat

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Letteralmente “Calore in Lattina”, era la bevanda più in voga fra i negri americani, almeno sino a tutta la prima metà del ‘900, dato il prezzo estremamente economico e il tasso etilico molto alto.
Era un tipo di whisky distillato dal granoturco e trattato con alcool combustibile e con la benzina usato per riscaldare il cibo. Venduto in lattina ubriacava con molta facilità ed era molto tossico.
È anche  il nome di un celebre gruppo rock-blues statunitense; e altri artisti hanno preso spunto per le loro opere da questo tipo di bevanda.
Diventa inevitabile l ‘accostamento uno un certo tipo di musica.

canned heat


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Green Spritz

Lo Green Spritz è sostanzialmente una variante dello Spritz originale che unisce la freschezza del prosecco con i profumi di oltre 20 erbe aromatiche, e nasce dalla creatività del Team Ricerca e Sviluppo di F&De Group per unire un bouquet particolare alla bellezza del colore verde. Quello che caratterizza questo cocktail è l’infuso denominato P31 ed è formato dall’unione di Camomilla, Arancia dolce, Tiglio, Vaniglia, Zenzero, Chiodi di garofano, Cannella, Coriandolo, Maggiorana, Assenzio, Rabarbaro, Tamarindo e Genziana. Praticamente un brevetto originale che sta alla base del composto stesso e servito per la prima volta nello storico Caffè Pedrocchi di Padova e che va servito con due parti di P31 Aperitivo Green, tre parti di prosecco, una parte di soda o acqua gassata, alcune gocce di lime e si prepara direttamente nel calice. Volendo lo si può anche guarnire con uno spicchio di lime o una fettina di mela, con l’aggiunta di cetriolo e rosmarino. Estremamente dissetante è l’ideale come bevanda estiva, la quale unisce freschezza a divertimento.
Questa categoria l’ho abbinata agli album musicali più belli dell’anno, proprio perché si concentrano in un unico articolo tutte le bellezza che si sono distinte nell’anno appena passato, diventando così naturale vivere in un’eterna giovinezza tra le eccellenze che abbiamo vissuto e che vivremo ancora, continuamente.

green spritz - l'eterna giovinezza

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Drink Marketing

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Questo composto non ha una ricetta precisa, nel senso che si basa proprio sulla fantasia del Barman, il quale, in base alla sua abilità e rimanendo sempre legato alla sua esperienza, improvvisa un cocktail molto appariscente, attirando l’attenzione degli avventori, unendo gusto, profumo e soprattutto impatto visivo.
L’espressività artistica lo sappiamo, ha molte sfaccettature che si sviluppano in tutti i campi del genere umano, sia nella cultura del “bere”così come nel campo musicale, e in maniera particolare nel formato “vinile”, il quale, ha la possibilità di spaziare in maniera infinità con la creatività. Diventa così naturale l’abbinamento con le copertine più belle dell’anno, giusto il tempo per farsi una bella scorpacciata di illustrazioni e di colori, insieme al vostro cocktail preferito.

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Mexican Sangrita

Originariamente la Mexican Sangrita era ed è una bevanda alcolica solitamente servita con Tequila e aromatizzata con agrumi, limoni, cipolle, pomodoro e peperoni (anche piccanti), lasciati in infusione. E questa potremmo chiamarla come la ricetta “strong”, poi, lo sappiamo tutti, la versione europea comunemente chiamata “Sangria”, ha sostituito il liquore con del vino e il resto delle verdure con della frutta di stagione, spesso allungata con gassosa o delle bibite a piacere come Cola o Ginger, creando così una bevanda molto piacevole e di compagnia, soprattutto in estate, dal basso tasso alcolico, ideale per delle chiacchierate con amici vicini a un barbecue. Chiaramente, l’abbinamento con la ricetta originale vuole entrare nell’immaginario collettivo facendo un parallelo con la rivoluzione messicana, utilizzando la parola “Viva Vinile” per identificare quei capolavori musicali dimenticati troppo presto, ma egualmente grandi per quello che hanno espresso con la loro creatività.

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On The Rocks

In realtà questa è tutta una serie di cocktail alcolici preparati con alcuni cubetti di ghiaccio, quindi shakerati e messi direttamente nei bicchieri ( “old fashion” o nei piccoli e medi tubler)
La loro caratteristica è l’ essere leggermente diluiti all’ acqua di fusione del ghiaccio, quindi nella loro preparazione non si raffredda il bicchiere. I barman professionisti mettono alcuni cubetti di ghiaccio nel bicchiere  e lo girano con lo stick  in modo da raffreddare  il contenitore, poi scolano l’acqua di fusione e versano gli ingredienti necessari per la sua composizione (come dire: annacquato ma non troppo; freddo al punto giusto ma non esagerato, forte e delicato al tempo stesso). Tra l’altro, ultimamente, è stata creata pure una linea di prodotti con questa sigla.
Per questa varietà  li ho accostati a una letteratura di cui ognuno di noi ha bisogno, quasi come l’ aria; e il cosiddetto “annacquamento” significa la facilita di lettura dentro a un pregevole lavoro, o meglio ancora, lo stile molto scorrevole della scrittura dentro a un autentico capolavoro.
Se poi si uniscono il significato non letterale  ma mitico della parola
“on the rocks”, beh!  vi si apre davanti tutto un immaginario che oserei chiamare straordinario.

cocktail on the rocks

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Campari Shakerato

Questo celeberrimo prodotto nasce a Novara nel 1860, nel locale di Gaspare Campari, “Il Caffè dell’ Amicizia”, ma nel 1862, Il suo creatore apre a Milano il “Caffè Campari”, facendolo diventare un ritrovo alla moda, frequentato da artisti e personaggi famosi. Non è un caso che il connubio con con tutte le avanguardie artistiche dei primi del ‘900, ha fatto diventare il marchio “Campari” un’icona entrato nella storia della comunicazione pubblicitaria. Famosissima è la bottiglietta disegnata da Depero nel 1932 per lanciare il “Campari Soda”. Ma già nel 1904 nasce il primo impianto produttivo a Sesto San Giovanni, nella periferia di Milano. Da li in poi Il suo successo fu inarrestabile. La ricetta originale viene utilizzata inalterata ancora oggi: fatta con erbe amaricanti, parti di piante aromatiche, frutta, alcool e acqua. La sua  è l’immagine della passione, della seduzione, trasgressione e sensualità ed è un simbolo dell’eccellenza italiana nel mondo.
Il Campari deve essere sempre servito molto freddo per esaltarne il gusto equilibrato (la bottiglia va conservata a una temperatura fino a ° -5) va shakerato con ghiaccio e servito nei bicchieri del Martini; Volendo gli si può aggiungere  1/20 di Vodka o Gin in base alle proprie esigenze acoliche, anche se innumerevoli sono i suoi abbinamenti.
E’ per questa sua eterogeneità e duttilità che l’ho scelto come abbinamento all’Arte minima , a quell’espressività artistica, che  riesce con poco a realizzare prodotti eccellenti: semplicità e qualità al servizio di intuizioni geniali, come per esempio la poesia e il teatro, i quali, da secoli, sono rimasti inalterati nella loro idea di base.

campari shakerato

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Martini Dry

(Shaken not stirred o stirred not shaken) In realtà il problema si è risolto da tempo.
La dicitura corretta di questo mitico  cocktail sarebbe in verità “Dry Martini” e le tesi riguardanti le sue origini sono svariate. La più autorevole, documentata da John Doxan in “Stirred Not Shaken”, afferma che un barista di nome Martini, originario di Arma di Taggia in Liguria, emigrato negli Stati Uniti agli inizi del ‘900, avesse creato la miscela attorno al 1910 presso il Knickerbocker Hotel di New York, in onore di John D. Rokefeller. Altre versioni vengono attribuite all’estro di un tale Martinez, noto barista di New Orleans, o addirittura portano a una cittadina della California chiamata Martinez. Qui infatti una targa in bronzo reca scritto “In questo luogo, nel 1874, Julio Richelieu, barista, ha servito il primo Martini a un minatore che, entrato nel suo salone, aveva chiesto qualcosa di speciale. Gli venne servito un Martinez Special. Dopo molti bicchieri la “z” si era persa per strada “. In realtà John Richelieu, che successivamente si trasferì a San Francisco, non rivendicò mai Il suo brevetto. Ma a confermare l’inesattezza di questa tesi fù Barnaby Conrad III,  che pone come creatore di questo drink, Jerry Thomas, noto barman di San Francisco all’Occidental Hotel di Montgomery Street. Secondo la leggenda, un viaggiatore diretto alla città di Martinez, gettò una pepita  d’oro sul banco, chiedendo  gli venisse preparato qualcosa di speciale. E fu così che gli venne servito il  cocktail che in seguito chiamò con il nome della città dove era diretto. L’Oxford English Dictionary invece, associa erroneamente l’origine del nome a quello del vermouth Martini & Rossi, ma la Ditta rarebbe nata più tardi del cocktail stesso, anche se  per tutto il 1800, molte aziende italiane commercializzavano questo liquore  in America, e per contrastare la concorrenza francese, lo fecero più secco: dry,  appunto.
Lo si prepara nel mixing glass riempito con  3 /4 di ghiaccio (lo sheker non va bene perchè il conposto non deve essere agitato con vigore: per gli ingredienti in questione sarebbe troppo traumatico), si ruota il ghiaccio con il cucchiaio da cocktail per raffreddare il recipiente, si elimina l’acqua formatasi, si versano 2 /10 di vermouth dry (possibilmente il Martini & Rossi, apprezzato e diffuso in tutto il mondo. La sua ricetta è custodita in un cavò svizzero); poi  8 /10 di Gin (possibilmente il London Dry in quanto più  secco) e si mescola velocemente ma delicatamente agitando in senso orario e dal basso verso l’ alto sollevando il ghiaccio. Dopo pochi secondi avremmo raggiunto il cosiddetto “punto di fusione”: ben raffreddato e per niente annacquato; poi si filtra subito nella coppetta ormai denominata “Martini” che deve essere freddissima, tenuta possibilmente in freezer e si conclude guarnendo con un oliva,  o con un twist di limone. Questa procedura deve essere eseguita come una religione, e smentisce clamorosamente la famosa frase di Janes Bond: “agitato non mescolato”  entrata nell ‘ immaginario cinematografico collettivo.  Alcuni sostengono che l’agitatura, libera delle componenti antiossidanti che fanno diventare il conposto più forte, ma sono bufale. In realtà il famoso agente segreto al servizio di Sua Maestà, beve il Vodka Martini, e addirittura inventa un cocktail, in “Casinò Royale”, chiamandolo “Vesper Lind”: il nome di un suo amico rimasto ucciso durante una missione. Ed è composto da 3 parti di Gin, 1 di vodka, mezza di Kina Lillet, agitato con ghiaccio e completato con una fettina di limone. Ma innumerevoli sono le pellicole, i libri e i personaggi famosi accostati uno questa celeberrima bevanda. Ernest Heminguay, cliente abituale dell’Harry’s Bar di Venezia (si dice che si serva il miglior Dry Martini al mondo), reinventò le dosi con una variazione chiamata “Americana”, riducendo a una sola spruzzata il Vermouth, quasi a voler solamente aromatizzare il ghiaccio; e aumento la parte di Gin (d’altronde un buon ubriacone come lui non poteva fare certo di meglio). Peggio fece  il vecchio  Frank Sinatra che, dopo aver versato il Gin, faceva solamente ruotare intorno al recipiente la bottiglia di Martini. Per il celebre “Old Blue Eyes”, evidentemente bastava  simbolicamente che il liquore vedesse appena il Vermouth, per appropriarsi del suo profumo. Nikita Kruschev, divenuto primo ministro dell ‘URSS nel 1958, dopo aver bevuto un Martini dry per la prima volta esclamò: “Questa è l’arma  americana più letale“.  Dorothy Parker, indimenticata attrice statunitense, durante un party in suo onore sentenziò:  “adoro farmi un Martini, persino un secondo bicchiere, al terzo finisco sotto il tavolo, al quarto sotto il mio cavaliere“. Invece William Powell, disse con enfasi durante la serata di presentazione di un suo film:”Un Manhattan lo mescoli al ritmo di Fox Trot, un Bronx lo agiti al ritmo di Two-steep ma, un Martini dry, lo si deve mescolare solo al tempo di un Valzer “. Miti, aneddoti che fanno del Martini Dry una leggenda intramontabile.
Per questi motivi l ‘ho utilizzato per la categoria agitato non mescolato (?) dove parlerò di quei buoni film, i quali, con una miscelatura ad arte dei suoi pregi, sono riusciti a diventare delle opere d’arte. A volte, la differenza fra un capolavoro e la normalità, e soltanto una questione di piccolissimi quanto importantissimi dettagli. Shaken not stirred o stirred not shaken … meditate gente, meditate.

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Dark Angel

Non conosco l’ origine di questo cocktail, ne perchè sia stato  definito “Dark”  nonostante la quasi totale presenza di ingredienti chiari (probabilmente il riferimento è dovuto alla “sporcatura” di cacao  o al doppio strato di colore che   “oscura ”  simbolicamente il  “giorno “sottostante). Si prepara nello shaker versando  6/10 di Rum bianco, 1/10 di Gin e  1 /10 di sciroppo di zucchero. Versare in  tubler alto  e aggiungere solo in un secondo momento 1/20 di succo di fragola e il ghiaccio a cubetti, guarnendo con una fettina di limone e una foglia di menta, rifinire il tutto con una spolverata di cacao che deve sporcare il bordo del bicchiere.
Hanno anche inventato una ricetta completamente nera utilizzando al posto del Rum Bianco del liquore alla liquirizia, e questa a mio modesto avviso, è più attinente al nome del composto.
E’ anche una serie televisiva ambientata negli Stai Uniti in una Seattle del futuro. In una base segreta del Wyoming, con il nome in codice di “Progetto Manticore”, una manipolazione genetica crea esseri umani speciali allo scopo di realizzare dei super-soldati, grazie a un DNA potenziato. Ma un gruppo di dodici bambini, prodotti da questo esperimento, riescono scappare, iniziando tutta una serie di episodi che li vedrà, ormai ventenni, partecipi a tutto campo di avventure psico-thriller. La protagonista femminile  di questi telefilm è l’ attrice Jessica Alba che interpreta la parte di Max Guevera e che deve il suo successo nel mondo del cinema proprio con questa serie di episodi.
Per questo motivo ho scelto il cocktail in questione abbinandolo alla categoria “Fantascienza oscura”  che parlerà di questa cinematografia di genere soffermandosi su quella dalle ambientazioni più cupe, ampliando poi la categoria alle serie TV tanto di moda in questi tempi e alle graphic-novel, le quali, hanno superato da tempo il confine tra fumetto e opera d’arte.

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Old Fashioned

Creato nel 1884, è stato inventato al Pendennis Club di Louisville nel Kentuky dal barman e da James E. Pepper, uno dei Membri del Club e comproprietario del Bourbon “Pepper”  nella Woodford Reserve Bourbon, esistente tuttora, distillato e distribuito da Labrot & Graham .
Fu chiamato Old Fashioned Whiskey Cocktail e il suo creatore amò talmente questo preparato che, ovunque andasse nei suoi viaggi, chiedeva ai barman di servire la sua ricetta, a lui e ai suoi ospiti, così fece il giro del mondo e divenne ben presto famosa, al punto che, come il Martini, il bicchiere nel quale è servito prende il nome dal cocktail stesso.
Si prepara direttamente nel bicchiere precedentemente raffreddato, imbevendo una zolletta di zucchero con 2 o 3 gocce di Angostura,  quindi si schiaccia con il cucchiaio, dopo averlo spruzzato con alcune gocce di soda, si versa  1 /20 di whiskey ( Scotch o  Bourbon a richiesta ) e si aggiunge  altra soda. Guarnire poi con fettina d ‘arancia e una ciliegina. In alcune varianti si mette al posto dell’Angostura dell’assenzio puro o diluito, per renderlo più tosto. Lo si può servire anche nella variante “on the rocks” con l ‘aggiunta di ghiaccio.
Per questa sua connotazione “Senza Tempo”  l’ho abbinata alla categoria dove si parlerà di quegli artisti del passato diventati leggenda.

cocktail old fashioned

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Daiquiri

Questo cocktail di origine caraibica a base di rum, lime e sciroppo di zucchero si può preparare alla frutta anche con diverse varianti. La sua origine la si fa risalire agli inizi del ‘900, quando alcuni operai impegnati nei lavori per una miniera nei pressi di Santiago de Cuba, precisamente a Daiquiri, lo inventarono con gli ingredienti che avevano a disposizione in quel momento, per bere qualcosa e dissetarsi. Ma in realtà al di là delle leggende che vedono protagonisti due ingegneri: un certo Pagliuchi e un certo Jennings Cox, che lo crearono casualmente dandogli il nome della località dove si trovavano, probabilmente la teoria  più accettabile è quella che il rum bianco era facile da trasportare perché sembrava acqua, ed essendo incolore poteva essere camuffato con della limonata, poi in seguito venne aggiustato nelle dosi dai vari barman del posto.
La ricetta classica consiste nel versare nello sheker riempito per  1/3 di ghiaccio tritato in pezzi non troppo piccoli,  6/10 di rum bianco,  3/10 di succo di lime e  1/10 di sciroppo di zucchero di canna. Agitare con energia per non oltre 5 o 6 secondi e fitrare il tutto in coppette da cocktail raffreddate  precedentemente. Solitamente non c’è nessuna guarnitura, anche se poi nelle varie versioni c’è sempre chi si sbizzarrisce.
Il Daiquiri è stato reso famoso da Ernest Heminguay, che lo considerava uno dei suoi cocktail preferiti, viene anche ripetutamente citato nel film “Il nostro agente all ‘Avana” (1958). Per questi motivi l’ho utilizzato nella categoria “Per chi suona la campana ” , parafrasando chiaramente lo scrittore americano, dove verranno analizzate opere momentaneamente alla moda nel momento stesso che se ne parla, o ai protagonisti del presente.

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Un calice di vino

Non mi metto in queste pagine a raccontare la storia del vino, conosciuto fin dall ‘antichità come il “Nettare degli Dei”, ma vi rimando a libri o siti più completi e professionali, perchè ci vorrebbero troppe pagine per analizzare la sua storia fino ad oggi.
In Italia abbiamo dei grandi vini da degustazione: dall’Amarone  al Brunello,  dal Barolo  al Taurasi, dallo Sforzato al Nero d’ Avola,  e vi lascio tranquilli, in solitudine, a  sorseggiare queste meraviglie, mentre la categoria “Per indenditori “si concentrerà su quelle opere artistiche, a volte non facili, ma superbe per il loro valore, concentrato fra il gusto e il retrogusto, e ciò che si può scoprire analizzano con tutti i sensi, le mille sensazioni provate dietro una attenta valutazione, parlando di mostre, esposizioni d’arte e performance.

un calice di vino-2
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Long Island Ice Tea

Questo è uno dei migliori cocktail mai inventati, è uno dei pochi che racchiude tutti i migliori distillati in un unico bicchiere. Alcune fonti lo fanno risalire ai tardi anni ’70,  creato da Robert (Rosebud) Butt, un barista dell’Oak Beach, nella città di Babylon, Long Island – New York, anche se risale ai tempi del proibizionismo americano e reso simile al té (Il suo nome per esteso è “Long Island Ice Tea”), grazie all’ aggiuna della Coca Cola che lo faceva sembrare una bevanda analcolica. E’ forte ma al tempo stesso leggero, fresco e dissetante nonstante il suo tasso alcolico, è uno dei cocktail più bevuti al mondo, ma è anche uno dei più difficili da preparare: tutti gli ingredienti devono combaciare alla perfezione, e la vera differenza tra un Long Island Ice Tea  pessimo e uno eccezzionale è lo Sweet & Sour, che solo i bravi  bartender sanno preparare (composto a base di 1/3 di succo di limone, 1/3 di zucchero liquido e 1/3 di acqua).
Si prepara versando all ‘interno di un bicchiere (o Highball Tumbler medio) 2/10 (20%) di vodka,  2/10 di rum,  2/10 di gin e  2/10 di triple sec (Cointreau), si shakera per 3 secondi e si versa nel contenitore pieno di ghiaccio. Poi si effettua il top aggiuggendo   1/10 di Coca Cola
(i  professionisti aggiungono anche, come ho già detto, 1 /10 di Sweet & Sour) e si guarnisce con una fetta di limone. In molti casi viene aggiunta la Tequila, e in questo caso prende il nome di “Texas Ice Tea”, invece l’utilizzo dello spumante al posto della coca, fa si che si chiami “Beverly Hills Ice Tea”.
Per la difficoltà della sua preparazione l’ho accostato alla dicitura “La classe non è acqua”  e a quei lavori artistici di notevole bravura come i suoi protagonisti.

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Una birra media

Come per il vino, lo stesso discorso vale anche per la birra: prodotto antichissimo nato dalla genialità dell’uomo, ed evolutosi fino ad oggi, in qualità diversissime, che ne esaltano le sue mille sfaccettature: dalle chiare alle scure, passando per le rosse e altre tipologie di miscele. Personalmente preferisco quelle non troppo elaborate, che esaltano il sapore e le sue qualità dissetanti e corroboranti.
La categoria “Finalmente un Sorso ” è orientata proprio sul versante di quei prodotti da qustare con entusiasmo, con una ventata di freschezza, ed anche con divertimento

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Bad Breath

Per risalire a questo intruglio bisogna andare nel Klondike in Alaska, territorio reso famoso dalla corsa all’oro di fine ‘800 e immortalato dai romanzi di Jack London. Praticamente consisteva nel mischiare a caso ogni tipo di alcolico, soprattutto quelli avanzati, perché agli avventori di allora non interessava la perfezione: bastava bere qualcosa di forte per scaldarsi dal freddo. Solitamente era whiskey di bassa qualità unito a quello che si trovava in dispensa e si trangugiava a dosi eccessive, giusto il tempo per ubriacarsi, consumando così il poco oro trovato. Oggigiorno esiste un locale di nome Sourtoe Cocktail Club, in cui, seguendo la tradizione dei cercatori di questo metallo prezioso, serve all’interno di ogni cocktail ordinato dei pezzi di dita umane (deidratate e conservate sotto sale) appartenenti a quei sfortunati che hanno perso le loro estremità per colpa del gelo (il miraggio dell’oro è ancora duro a morire), o semplicemente lasciti in eredità dai clienti affezionati e passati a miglior vita. Ti danno anche un diploma se berrai in questo cocktail club sito nella cittadina di Dawson City. Tra l’altro, proprio con il titolo di questo bar, ho utilizzato questa strana tradizione metaforizzando una mia poesia, perché nella vita troviamo sempre gente che succhia le dita degli altri con la loro ipocrisia, e in questa categoria s’inserisce la critica sociale, giusto il tempo per qualche scorribanda nella nostra quotidianità, sempre controversa.

bad breath cocktail

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Aperol Spritz

Questo composto è probabilmente uno degli aperitivi più conosciuti e più serviti durante il rito del pre-pasto e deve la sua fama ai fratelli Luigi e Silvio Barbieri di Padova, i quali, ereditando la storica azienda familiare di liquori, resero l’Aperol uno dei bitter più famosi al mondo, la cui ricetta segreta è ottenuta miscelando erbe e radici autoctone. La variante dello “spritz” deriva dall’austriaco “spritzen”, che nella loro lingua significa “spruzzare” quando, la dominazione del veneto da parte dell’impero auto-ungarico, vedeva i soldati di questa nazionalità diluire il vino di quelle parti ritenuto troppo forte come gradazione, con dell’acqua per poterlo bere in grandi quantità. Poi, col tempo, assunse varianti sempre più gradevoli.
L’esecuzione recente consiste nel riempire di ghiaccio il calice versando tre parti di prosecco, due parti di Aperol, una parte di soda mescolando il tutto con lo stirrer, guarnendo il tutto con una fettina d’arancia. Chiaramente col tempo ci sono state anche delle varianti, ma lo spritz che conosciamo tutti è quello classico e come tale rimane. Proprio per questo motivo l’accostamento a una categoria denominata “per tutti  gusti”, testimonia la voglia di piacere a qualsiasi dinamica, la quale si allarga a ognuno, come bellezza che ci accomuna.

aperol spritz

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Altre categorie

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 Aguardiente

 L’aguardiente è il nome generico usato nell’ America Latina per le bevande dall’alto tasso alcolico,  e che letteralmente significa “acqua ardente”, in quanto brucia la gola del bevitore. In lingua spagnola con questo termine s’intendono tutti quei distillati derivati dalle vinacce come la nostrana  grappa  (in Sardegna, per esempio, viene chiamata  “Abbardente”), anche se in un senso più ampio rientrano pure il whisky e il calvados. In questi ultimi anni in Italia la grappa ha subito un processo di raffinatezza non indifferente, con produzioni di eccellente qualità. Nelle Regioni andine è aromatizzata con l ‘anice, in Messico viene mescolata  al rum e al “Mezcal” che, secondo la tradizione, fu bevuta ad Alamo nel 1836, durante gli scontri fra i ribelli texani  e le Truppe del dittatore Antonio López de Sant’Anna. Ed è proprio questo episodio che la mente mi riporta alle serie dei fumetti Bonelli (Tex, Zagor ecc.) Dove questa bevanda la si incontrava spesso in mano all’ ubriacone di turno, sempre visualizzata come uno “spaccabudelle”.  A me piace ricordarla come il prodotto principe delle osterie di paese che ormai non ci sono più. e mi ricordo da bambino quando con mio padre andavamo a comprare dai contadini quella distillata clandestinamente, rigorosamente nei bottiglioni da 2 litri, sempre presenti sul tavolo dei miei nonni: era troppo bello il rito del caffè, rigorosamente “corretto grappa”, che poi alla fine era una grappa corretta caffè (cosa volete farci, hanno cominciato ad allenarmi da piccolo, e ho avuto dei buoni maestri … d’altronde erano della zona bresciana a cavallo fra la Franciacorta e la sponda bergamasca della Val Calepio,  terre vinicole d’ eccezzione).
È troppo facile a questo punto l’abbinamento alle Parole di fuoco, categoria dedicata alla poesia che non si nasconde dietro a melliflue  copertine rosate, ma che al suo interno racchiude quella rabbia  e quella voglia di gridare l’effettiva situazione della nostra società.

grappa

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Bronx

Anche per questo famoso cocktail la paternità delle sue origini si divide fra aneddoti e leggende. Secondo “The Old Waldonf Astoria Bar Book” di Albert Stevenson Crocket, era il Bronx Cocktail la creazione di Johnny Solone (o Solano), il barman del Waldonf Astoria, che aveva servito celebrità importanti come  Marc Twain e William Cody alias Buffalo Bill. Pare che  la sua ricetta nacque per una sfida che, un cliente  lanciò per verificare le sue conosciute doti dietro il bancone e, visto che la bevanda in voga in quel periodo era il “Duplex”, composta in parti uguali di vermouth francese e italiano, con l ‘aggiunta di Bitter Orange; Solone ebbe l’ idea di versare nel mixing glass 2 parti di Gordon’s Gin, lo riempì con del succo d ‘arancia per circa un terzo, quindi aggiunse in parti uguali i due tipi di Vermouth. Senza neanche assaggiarlo lo porse al cliente che, dopo un primo sorso, lo trangugiò “tutto d ‘un fiato”. Il suo successo fu così strepitoso che dovettero recuperare ulteriori casse di arance dai loro fornitori; il passaparola lo fece diventare richiestissimo e siccome gli avventori si ubriacavano con molta facilità, usavano dire che vedevano degli strani animali durande la sbronza; Solone lo battezzò con il nome del  Bronx Zoo, dove solitamente andava a curiosare per distrarsi durante le pause di lavoro.
Un ‘altra autorevole versione accreditata da fonti dovute, indica in Joseph S. Sormani, ristoratore del Bronx (nato vicino al Lago di Como ed emigrato in America, all’ età di 18 anni), come lo scopritore ufficiale del cocktail. Infatti sul libro “What Shall We Drink ?: popular drink, recipies and toast” del 1934, di Magnus Bredenbek, si legge la storia di questa bevanda nata nella città di Philadelphia e importata nel quartiere newyorkese dal sopracitato Sormani; addirittura il New York Times , lo indica come suo scopritore, nel necrologio che annunciava la sua morte il 17 agosto del 1943. Ma al di là delle elaborazioni mitiche, dovute alla fama di un cocktail così conosciuto, pare che durante il proibizionismo, il succo d ‘arancia veniva aggiunto per nascondere il brutto sapore del gin preparato in casa; soltanto poi i vari barman lo aggiustarono nelle dosi nei bar più raffinati.
Il Bronx Cocktail è essenzialmente un Perfect Martini con succo di agrumi in più, si prepara nello sheker con  4/10 di Gin,  2/10 di Vermouth Rosso, 2/10 di Vermouth dry e  2/10 di succo  d ‘arancia; va poi versato nelle coppette da cocktail raffreddate precedentemente e senza Guarnitura. Secondo Bernard De Voto, storico, scrittore e giornalista americano, il Bronx, fu il primo cocktail con succo di frutta fra gli ingedienti; mentre Harman Burney Burke, noto specialista del settore negli anni ’30, lo classificò al terzo posto fra i cocktail più famosi e bevuti al mondo, dopo il Dry Martini e il Manhattan.
“Tutto d ‘un fiato” dicevamo, e allora godiamoci quei libri o quei dischi da assaporare senza fermarci, perchè è troppo bello, a volte, gustarci una gioia tutta di corsa, e arrivare al traguardo  felici di averlo fatto.

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Alexander

L’origine di questo cocktail è abbastanza nota, fu creato nel 1922 da Harry McElhone, uno dei più conosciuti barman inglesi che a quel tempo lavorava al Ciro’s Club di Londra. Lo Inventò in occasione delle nozze dell’ affascinante Mary Princes con Lord Lascelles. Il suo colore bianco, voleva essere un omaggio alla giovane sposa. Lo chiamò Alexander pensando alla grandezza del famoso condottiero macedone, per la sua regalità; ma altre voci dicono che si riferisse all’omonimo maresciallo dell’esercito di Sua Maestà, già noto negli ambienti militari e che in seguito fu protagonista, durante la Seconda Guerra Mondiale, della vittoria a El Alamein sulle truppe dell’Asse.
Lo si prepara mettendo il ghiaccio nello shaker,  si scola l ‘acqua residua e si aggiunge  1/30 di Brandy,  1/30 di crema di cacao bianca e  1/30 di panna di latte, si agita per 6/8 secondi, senza esagerare, altrimenti la panna schiuma:  il composto deve essere cremoso e morbido al tempo stesso, poi si filtra in una coppetta Martini e si decora con una grattuggiata di noce moscata (alcuni mettono del cacao in polvere, ma non è un ‘operazione da intenditori ). In alre versioni viene sostituito il Brandy dal Gin o dal Whisky, e viene aggiuto  1/10 di Kahlua per aromatizzarlo lievemente al caffè. Altri sostituiscono la crema di cacao bianca  con quella scura ma, l’effetto scenico dato dal colore bianco, è sicuramente migliore.
E allora, Tutti in bianco, certo, sarà capitato anche a voi, non siamo tutti fenomeni (ma cosa avete capito … io intendo nel senso più ampio), e allora si parla anche di questo. D’ altronde essendo soprattutto un dessert alcolico gradito dopocena, ci si può sempre consolare … sigh!

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Americano

Questo cocktail  che a dispetto del nome fa uso di prodotti esclusivamente italiani,  si narra sia stato inventato da Gaspare Canpari verso la fine del 1800, e che inizialmente si chiamasse “Milano-Torino” per la presenza dei due ingredianti principali: il Campari e il Cinzano (il Martini non esisteva ancora). Divenne poi “americano” quando si osservò dire che era molto amato dagli americani stessi. Atre fonti dicono che fu composto dai barman italiani agli inizi del ‘900 per imitare il modo americano di bere un cocktail;  effettivamente agli inizi venne chiamato “Italiano “, ma il nome cambiò per il successo  che ottenne anche d’oltreoceano. Tra l’ altro è anche una base importante per altre miscele famose come il “Negroni” e lo “Sbagliato”.
Si prepara versando direttamente nell’old fashion o nei tumbler bassi riempiti di ghiaccio, da cui,  precedentemente raffreddati è stata buttata l’ acqua formatasi,  1/30 di Vermouth Rosso (possibilmente Martini) e  1/30 di Bitter Campari. Si miscela e si aggiunge  1/30 di Soda Water e una fettina  d ‘arancia.  Si conclude strofinando la buccia di un limone, tagliata precedentemente, intorno al bordo del bicchiere, prima di deporla accanto a quella dell’ arancia.
Perchè Idee rubate,  beh!  nel mondo dell’ arte si dice che  “il  mediocre copia e il genio ruba”  (Americano… Italiano… quanti giochi di parole tra la convenienza e il ruffiano), vedremo chi saranno i geni e chi i mediocri…
E i ruffiani … !?

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Gin Fizz

Bere questo composto era una caratteristica dell ‘epoca del Charleston sulla costa atlantica della Carolina del Sud, e fu inventato dagli scaricatori di porto per dissetarsi con una bevanda fresca dal discreto tasso alcolico. Ritornò di moda subito dopo la guerra, fra i giovani degli anni ’50 che riscoprivano il divertimento, inizialmente nelle feste organizzate in case private, e successivamente, nei locali che aprivano verso sera. Anche se ancora oggi viene richiesto come un cocktail estremamente adatto ad ogni ora del giorno, e della notte.
Si prepara raffreddando lo shaker e versando  3/10 di Gin di ottima qualità (per esaltarne il gusto),  2/10 di succo di limone e  1/10 di sciroppo di zucchero; agitare energicamente e filtrare in un tubler alto con del ghiaccio, Successivamente Aggiungere  4/10 di Soda Water e guarnire con fettine di limone sporcando il bordo del bicchiere con dello zucchero, arricchendo la natura di questo composto.
“Idee fresche”, dunque. quelle idee artistiche dotate di una notevole voglia di stupire, senza prendersi troppo sul serio.

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Cuba Libre

Questo famoso composto è stato inventato  nell’ isola di Cuba (come dice la parola stessa) dove si produce il migliore rum del mondo. Molte ipotesi si sono fatte  sulla sua nascita  e quasi tutte portano alla guerra d’ Indipendenza dalla Spagna, ottenuta nel 1898 con l’ aiuto degli Stati Uniti. Per festeggiare questa vittoria, pare che i baristi dell’ isola, unirono simbolicamente le nazioni con i due prodotti tipici: appunto il Rum e la CocaCola;  anche se romanticamente viene attribuito ad un capitano statunitense, che pretese  l’ aggiunta della cola alla solita miscela di rum e succo di lime, fu così che il suo plotone nel berlo esclamò: “por Cuba libre ! ”  E  successivamente il suo successo fece il giro dei Caraibi.
Agli inizi infatti, era un Daiquiri allungato con la Cola originaria, che era meno dolce, e aggiunta alla mistura  le donava un gusto pieno e rotondo. Meno romanticamente possiamo affermare che l’ isola divenne il paradiso dei benpensanti americani, i quali, soggiornando  chiedevano ai vari barman cosa si bevesse di buono, e probabimente furono proprio loro a far aggiugere alla miscela tipo Daiquiri, la classica bevanda stelle-a-strisce. Poi poco a poco la Cola aumentò e diminuì lo zucchero fino a scomparire del tutto, e il lime si ridusse ad una sola fettina sul bordo del bicchiere. In quanto al nome, un ‘altra versione indica nel titolo del giornale rivoluzionario “Cuba Libre”, fondato nel 1928 da Julio Antonio Mella,  l’ origine di  tale scelta, e per la storia dell’ isola, era più che mai appropriata. Infatti, gli avvenimenti succedutosi dalla fine dell’ 800 fino ai giorni nostri, hanno fatto di questa terra caraibica, il terreno ideale per fermenti rivoluzionari non indifferenti: da Josè Martì a Ramon Grau, fino a Fidel Castro. D ‘altronde per tutto il ‘900 gli Stati Uniti, con la loro egemonia si erano sostituiti alla Spagna fino alla dittatura di Batista, che fece diventare Cuba – dopo aver svenduto per un suo arricchimento personale, miniere e proprietà terriere statali – la capitale del gioco d’azzardo e della prostituzione, ospitando anche esponenti della mafia americana, i quali,  s’ impadronirono di alberghi e case da gioco, sfruttando il turismo statunitense.
Un nome è sempre legato al suo destino e assume connotati simbolici non indifferenti che vanno al di là della storia, degli usi e dei costumi di un intero popolo. In sintesi il “Cuba Libre” è un cochtail che oltre il suo immaginario è anche lo specchio di luoghi meravigliosi, dove la natura prende sempre il sopravvento su qualsiasi fatto umano.
Icona di freschezza e gioia, è insieme al “gin tonic” la bevanda più richiesta nei luoghi del divertimento notturno. Si prepara versando direttamente nel bicchiere con del ghiaccio  4/10 di Rum ambrato,  6/10 di Coca Cola, si mescola dolcemente e si aggiunge una fettina di limone.
Semplice, come semplici possono essere delle idee rivoluzionarie, idee che possono cambiare, non dico il corso dell’ arte o della storia, ma il modo di vedere e sentire la nostra realtà … vedremo.
Ah! dimenticavo, in alcuni bar di Milano Servono il “Cubotto”, dove al posto della Coca mettono il Chinotto, e se volete potete fare anche il “Cubanciata” (rum e Aranciata) o il “Cub-uma-ura” (rum e spuma scura), o meglio ancora il “Cubino” o il “Cubass” (con il vino ed il gas … della Gazzosa) ma, badate bene, potete anche darvi delle arie, ma queste, non saranno mai, idee rivoluzionarie.

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Bloody  Mary

Questo famosissimo cocktail a base di succo di pomodoro, vodka, succo di limone e salse piccanti, ha delle origini molto confuse, ed è sempre stato spunto per  divergenze che spaziano dal gossip al sadismo macabro dei buontemponi, creando delle controversie non indifferenti. In realtà il giornalista Lucio Beebe, nella sua colonna scandalistica del New York Herald Tribune: “This New York”, nel dicembre del ’29, pubblicò quello che si ritiene sia il primo riferimento ufficiale a questo composto,  spettegolando sull’ attore e cantante George Jessel, e del suo nuovo “pick-me-up drink”  chiamato appunto Bloody Mary, e del successo di che stava vendo negli ambienti “in” della città.
La seconda versione, narra che il vero inventore del cocktail fu il francese Fernand Petiot, barman capo al King Cole Bar del St. Regis Hotel di New York. In un’  intervista lasciata al “New Yorker”, Petiot affermava che il creatore del composto era lui; che Jessel aveva solamente miscelato vodka e pomodoro. Invece Lui, asseriva di avere inserito le spezie, regolato tutti gli ingredienti nelle dosi necessarie e di averlo reso famoso con la dovuta professionalità. Infatti in  un tubler alto  vengono messi sul fondo del sale e del peperoncino, vanno aggiunti  1/10 di succo di limone,  1/30 di Vodka, 3/4 gocce (o  2 cucchiai da té) di salsa Worcestershire, e a seconda delle richieste del cliente  2/3 gocce di Tabasco (perchè molto piccante), colmare infine con del succo di pomodoro (circa  6/10) e una spruzzata di pepe (attenzione, per pomodoro non s’ intende la classica salsa ma, il “pelato” vero e proprio  passato nel mixer);  mescolare  dolcemente e guarnire infine con un ganbo di sedano (che fu introdotto in seguito da un ospite della “Pump Room” dell ‘Ambassador East Hotel di Chicago) o volendo anche dei gamberetti.
Anche l’ origine del nome viene associato a diverse figure femminili, storiche o fittizie, soprattutto a  Maria Tudor I d’Inghilterra detta “La saguinaria”, per le repressioni condotte contro i protestanti, nel tentativo di ripristinare la religione cattolica; figlia di Enrico VIII, governò tra 1553 e il 1558.  Altri sostengono che fosse riferito alla drammatica decapitazione di Maria Stuart (o Stewart) di Scozia, (italianizzata come Maria Stuarda), del 1587, dove ci vollero ben due colpi di scure per tagliarle la testa, e che per recidere gli ultimi tendini dovettero usare  una sega, e lei, come narra la leggenda, mosse per tutta l’ esecuzione, le labbra, come una silenziosa preghiera, e apri le braccia, quasi a simulare la croce.
Altri sostengono che all’ideatore piacessero le storie macabre come quella di Bloody Mary (a cui molti film horror hanno attinto), dove una fanciulla creduta morta fù seppellita viva, e solamente dopo le insistenze della madre che fece dei sogni premonitori, riesumarono la bara , trovando la salma con i capelli strappati e le unghie consumate nel tentativo di graffiare il legno. I genitori impazzirono, e il fantasma di Lei vagò per molto tempo in cerca del sangue perduto.
Altri ancora più sobri, invece, associano il nome del cocktail alla famosa attrice degli anni ’20, Mary Pickford, che amava aggiungere del pomodoro ai suoi composti di rum e maraschino. Ma, come succede sempre, alla fine, la verità si nasconde nelle cose  più semplici della vita, infatti è molto probabile che l’ideatore  si riferisse ad una avvenente e “sanguigna” cameriera  dai lunghi e fluenti capelli rossi, soprannominata appunto Bloody Mary, perchè alle invenzioni fantastiche dei creduloni o alle poltrone reali delle Regine, preferiva i letti dell’ Hotel dove s’intratteneva con facoltosi clienti che, puntualmente dissanguava, o che lasciava sanguinare (se volete il finale romantico) quando, rimasti soli fra le lenzuola, capivano di avere conosciuto e perduto nello stesso tempo, la cosa più bella della vita. Loro, in perenne viaggio alla ricerca dell’eterna ricchezza, costretti a lasciarsi alle spalle quell’ eterno amore da sempre sognato (ah! L ‘amore … l’ amore … fonte di eterna gioia  ed eterna sofferenza). Così il barista li chiamava e diceva: “consolatevi con questo … siamo in tanti a  sanguinare su questa terra dell’ eterno peccato”.
Così voi vi chiederete, ma esistono delle idee sanguinarie ? Certo, vi rispondo io, in ogni angolo del mondo.
Da Wikipedia leggiamo che il Bloody Mary è anche legato in maniera importante alla cultura “Pop” statunitense, infatti compare in molti film e serie televisive di ogni tempo: nei “Tenenbaum” di Wes Anderson, il protagonista Richie beve frequentemente il Bloody Mary, così come la “mamma” nella nella sit-com “I Jefferson”.   Nella serie “Ugly Betty”, la signora Meade,  dopo aver confessato l’ uccisione dell’ amante di suo marito, offre uno Betty un Bloody Mary.   Nel romanzo “Il diario di Bridget Jones”, Lei e le sue amiche hanno una insana ossessione pomeridiana per questo composto, infatti è molto salutare. Nella canzone “Pre-maestrual Princess Blue” dei Stormtroopes of Death,  Irving viene invitato a prendere un Bloody Mary. E anche nell’ italianissimo  “Miami Supercops — I Poliziotti dell ‘ottava strada “, l’ agente  Steve Forbet interpretato da  Bud Spencer, ordina questo cocktail chiamandolo erroneamente o volutamente “Bionda Mary “…  lapsus froidiano??  (Come vedete la potenza delle allusioni a cui si può associare è straordinaria) … a presto!

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Palombaro

Non conosco l’ origine di questa pazzia di a base di birra e liquori a piacere.
Chiamato anche “sommergibile” o “Russian Boilermaker” consiste nel prendere una pinta o un boccale e si incomincia a riempirlo con circa 33 cl. di birra, pils o lager solitamente, poi ci si immerge (vetro compreso) un  bicchiere di vodka o a piacimento, gin, whisky, cognac. A questo punto si rabbocca  con altri 33 cl. di birra fino a sommergere il tutto, in modo che il superalcolico inizi lentamente a miscelarsi. A questo punto due correnti di pensiero portano a una degustazione lentissima, per assaporare la differenziazione dei gusti; o a una velocissima, per ubriacarsi come dei rincoglioniti. Il punto è questo, al di là delle prestazioni e delle goliardate che si fanno a giovane età, probabilmente, questa era ed è un’ usanza legata all’ alcolismo più estremo, e come tale rimane confinata in questi luoghi oscuri dell ‘animo umano, dove ognuno può nascondersi come vuole.
Però … c’è sempre un però.
Ci sono delle idee che rimangono sommerse e come tali sono visibili a pochi.   Peccato…   speriamo di portarle alla luce o di poterle ammirare in quei fondali dove hanno deciso di rimanere.

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Invisibile

Chi ha inventato questa terribile miscela non doveva amare troppo gli avventori del suo bar, oppure, è nata per lo sfizio di qualche sbruffone che pensava di suicidarsi dando un po’ di spettacolo. Chiamato anche il “4 Bianchi” perchè riunisce in un solo colpo i principali distillati chiari che si trovano in circolazione; si prepara miscelando in un old fashion o tubler  basso con del ghiaccio  1/20 di Gin,  1/20 di Vodka,  1/20 di Tequila e  1/ 20 di Run bianco (volendo si può aggiungere  1/10 di sciroppo di zucchero e  1/10 di succo di limone) e si serve liscio senza guarniture. Anche se non essendoci una ricetta di base, varia da paese a paese, dove le dosi dei vari componenti vengono cambiate in base ai gusti del cliente e del sapore desiderato: secco, dolce o asprigno. Ma il punto è proprio questo, non esiste una ricetta omologata, nazionale, ne internazionale. Un barman serio non dovrebbe mai servire questo cocktail, perchè la sua professionalità deve essere sempre al servizio del cliente, finalizzata come espressione artistica e come filosofia concepita da regole e da accostamenti cromatici e organolettici basilari,  anche nelle più svariate capacità dell’ estro. Un barman  serio deve educare alla “cultura del bere”, in una società come quella di oggi dove l’ idea  dello sballo a tutti i costi,  si è sostituita a quella di  assaporare un opera d ‘arte. E non venitemi a dire che questo intruglio è ideale quando si vuole raggiungere l’ euforia in breve tempo, senza spendere troppo. Chiunque voglia farsi del male o avvelenarsi il fegato è libero di farlo ma, costui non concepisce il senso della bellezza che ruota intorno a una creazione, un insieme integrato di sintesi e gusto, praticità e poesia.
L ‘unico valore di questo composto è simbolico; dall’ aspetto  tranquillamente innocuo, nasconde una deflagrazione  superalcolica micidiale.  Se volete vantarvi di averlo bevuto, potete farlo, ma avete messo il piede su un patibolo di velluto: velvet gallows, per dirla all’ inglese (perchè si aprono scenari musicali e letterari non indifferenti). E quando sarete su questo patibolo non vi accorgerete della sentenza, perchè lei è già stata scritta, senza possibilità d ‘appello.

P. S. – Qualcuno lo associa erroneamente al Long Island Ice Tea per la presenza dei distillati chiari, ma là abbiamo la presenza del Coitreau, della Cola e dello  Sweet & Sour che ammorbidiscono il composto, e poi, per piacere, non confondiamo la classe e la grazia, con l’  ignoranza  e la banalità con cui siamo perennemente circondati.

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Negroni

Questo conosciutissimo cocktail fu inventato intorno al 1920 dal conte Camillo Negroni, personaggio vivace e creativo, frequentatore del Caffè Casoni di Firenze, dove solitamente si beveva il classico “americano”. Stanco di questa miscela chiese a Fosco Scarselli, giovane barman  di allora, di aggiungere un po ‘di Gin al noto conposto. E il “solito” divenne in brevissimo tempo L ‘aperitivo del Conte Negroni, poi abbreviato in “Negroni”.
È in questi ambienti cosmopoliti dove i Caffè si riempivano di artisti, uomini facoltosi e avventurieri, che nasce la leggenda di uno dei drink più italiani conosciuti al mondo. Una storia di passioni e amicizie anche raccontate in un libro intitolato “Sulle tracce del Conte “, di Luca Picchi, un barman di questa bellissima città che ha voluto ripercorrere un’epopea, un momento irripetibile della nostra storia, un protagonista avvincente, misterioso e accattivante, un luogo, i luoghi dove le speranze tradite dalle successive vicende politiche, hanno caratterizzato e cambiato il nostro futuro, il nostro presente, inesorabilmente. Rimane il tesoro di un’intuizione, di un’ idea che nella sua semplicità, si trasforma e ci lascia immaginare situazioni che non esistono più, o perlomeno, radicalmente cambiate.
Si prepara ghiacciando il bicchiere  che deve essere basso e largo, si riempie ancora di ghiaccio (precisiamo che se mettiamo pochi cubetti, il ghiaccio si scioglie più Facilmente liberando prima l’ acqua; invece se ne mettiamo di più  tiene la sua consistenza, conservando la temperatura desiderata, senza liberarsi dell ‘acqua); si versano  1/30 di Gin,  1/30 di Vermouth Rosso e  1/30 di Bitter Campari: si mescola dal basso verso l’ alto e si guarnisce con una fettina d ‘arancio.
Ci sono anche innumerevoli varianti come lo “Sbagliato”, creato al Bar Basso di Milano negli anni ’60 dal bartender Mirko Stocchetto, ottenuto sostituendo il Gin con dello Spumante Brut.
Ma al di là della successiva creatività il Negroni rimane a tutti gli effetti un Atto di forza, non nel senso letterale del termine, ma nel suo atto simbolico, nel voler cambiare un qualcosa a tutti i costi, per perseguire quel sogno di liberta individuale senza confini, una controllata anarchia che diventa gioia di vivere, gioia per la propria indipendenza e le proprie  passioni, ma, senza solitudini, il tutto è una scelta fatta alla luce del sole, in mezzo agli altri, per gli altri.

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Margarita

 Se dovessimo ripercorrere la storia e la nascita di questo cocktail, ci troveremmo di fronte a numerosissime versioni, diversificate dai molti personaggi che, nel corso degli anni, si sono susseguiti come i loro creatori, fino a  costruire intorno al Margrita un’aura di leggenda , ma il concetto è uno solo: tutti portano a un nome di donna, come dedica o come ispirazione, sconosciute o più o meno famose (qualcuno ha tirato in ballo anche Rita Hayworth: il suo vero nome era Margarita Carmen Cansino che, prima di iniziare la sua carriera cinematografica, giovanissima, aveva lavorato al The Racetrack Club e all’Agua Caliente  a Tijuana). Una donna, eternamente musa, simbolo di gioia e bellezza e protagonista di amori spesso travolgenti dove il  “bere”, vive la sua duplicità: per festeggiare o per dimenticare. La donna è l’archetipo, il senso, la trama … la storia; il bere è la conseguenza, la partecipazione, la svolta … il finale. Due modi di essere, di avere, di sentire, in cui convergono eleganza e stile, colore e precisione, libertà di gioire.
L’immaginario ha sempre un valore simbolico dove si può vivere un sogno, e come tale anche la “cultura del bere” ha questa duplicità di valori e di idee, e alla fine, diventa il sogno stesso; come nel film “Thelma & Louise “, dove le protagoniste, scappando dal mondo, sognano laggiù, in Messico, un Margarita.
Già il “Margarita”.
Si prepara mettendo nello shaker con del ghiaccio (cristallino sempre, mi raccomando)  6 /10 di Tequila,  3/10 di Cointreau,  1/10 di succo di limone o di lime e lo si filtra con colino in una coppetta  da cocktail precedentemente raffreddata,  bordata con una “crusta” di  sale inumidendo il bordo del bicchiere con il limone.
Inizialmente il sale serviva per nascondere il sapore della Tequila di cattiva qualità, ed è rimasta come tradizione. I barman professionisti però, bordano solo  metà del bicchiere, lasciando così libertà di scelta nel bere: con o senza. Una Doppia scelta se volete, perchè spesso ci troviamo di fronte a  questa eventualità, e da questa, a volte, dipende il destino di una vita intera … o di una cazzata.

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PinaColada

 Molte versioni di questo famoso composto a base di Ananas (Pina) mescolato (colado) con altri ingredianti, esistevano già agli inizi del ‘900 nelle zone caraibiche delle Antille, anche se ufficialmente  il primo articolo che ne parla,  è nell’edizione del 16 aprile 1950 del New York Times, in cui si descrivono alcune bevande della Martinica, tra cui la Pina Colada. Un’ altra fonte , invece, sostiene che un giornalista del “Travel Magazine” ne descrisse le bellezze  gustative ben trent’anni  prima.
Per la sua versione moderna (o definitiva) ci sono, come al solito, molte  controversie. Le più autorevoli portano al capo-barman Ramon “Monchito” Marrero Perez del Caribe Hilton Hotel di San Juan de Puerto Rico. Pare che lo inventò nel 1954 per un importante congresso internazionale che si teneva in questo complesso alberghiero, con i governanti del Paese, chiaramente  ottenne un  successo immediato. Anche se, il proprietario di un chiosco denominato “La Boracchina Bar”, un certo Don Ramon Portas Mingot, sempre a San Juan de Puerto Rico, sostiene che fu lui uno creare questo drink con gli ingredienti così come li conosciamo oggi (c’è una targa di marmo in Suo onore sul posto). In qualsiasi caso nel 1978 il Governo di Portorico dichiarò la Pinacolada bevanda nazionale.
La si prepara frullando nel mixer con del ghiaccio  3 /10 di rum bianco,  5/10 di succo d ‘ananas e  2/10 di latte di cocco, si versa senza filtrare in un calice grande o  e si guarnisce con delle fette di ananas e, volendo, anche del cocco o altra frutta a piacere.
E ‘uno dei cocktail tropicali più diffusi perchè è fresco e dissetante, gradevole al palato con un gusto vellutato e persistente, con un tocco d’ armonia e cremosità.
E allora perchè Opera buffa. Chiaramente il senso non vuole essere dispregiativo, anzi, è un concetto ironico che porta dritto al divertimento o alla presa in giro, intesa come voglia di sottolineare l’allegria, anche graffiando.  D’altronde la Pinacolada si guadagnò una pessima fama nei primi anni ’80 (soprattutto in Inghilterra), essendo il drink preferito di Del Boy, il personaggio grottesco della popolarissima sit-com anglosassone: “Only Fools and Horses”.
Dettagli però … dettagli.
Resta il fatto che la tradizione caraibica è sempre visualizzata come luogo di libertà e divertimento, anche se spesso la povertà e la tragedia che hanno vissuto le popolazioni di questi luoghi, creano un contrasto aspro con la dolcezza dell’ immaginazione … come la vita,  a volte,
un opera buffa.

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Caipiroska

Questo composto è una delle numerose varianti della famosissima “Caipirinha”, una delle bevande più popolari del Brasile. Il suo nome è un diminutivo di “Caipira”, parola che indica gli abitanti delle campagne e che si potrebbe tradurre dal portoghese in “sempliciotto” o “uomo di animo semplice”. La storia del suo ingrediente principale: la “cachaça”, si mescola e si confonde con la Storia stessa del suo paese d ‘origine. Infatti nel XVI ° secolo, nei zuccherifici, tutti i residui della produzione dello zucchero  venivano dati agli schiavi,  i quali li distillavano facendoli fermentare, per creare una bibita dall’ elevato tasso alcolico. Questa miscela veniva utilizzata nei periodi più freddi per sopportare il duro lavoro tra i canneti, o per lasciarsi andare, alla sera, nelle feste rituali che si svolgevano in quelle che oggi chiamiamo “favelas”. Ed è proprio per la sua umile origine che l’élite brasiliana non gradiva questa mistura, ed ignorava le sue innumerevoli possibilità d’abbinamento con i frutti locali, che gli schiavi effettuavano con grande ingegno per variegare un distillato semplice, arricchendolo in base alle esigenze: caloriche, dissetanti, gustative, rinforzanti o corroboranti .
La Caipirinha si prepara tagliando mezzo lime fresco i 4 parti o più fette mettendole in un tumbler basso, sopra di queste si aggiungono alcuni cucchiai di zucchero di canna e si incomincia a schiacciare il composto usando il Mundler o un cucchiaio di legno. Successivamente si riempie il bicchiere con del ghiaccio e si aggiunge la Cachaça, si mescola delicatamente e si guarnisce con delle fette di limone, servendolo con delle Cannucce. La variante detta “Caipiroska” la si ottiene sostituendo il classico distillato della canna da zucchero, con della Vodka, mentre il ghiaccio deve essere passato con un cutter molto potente che lo riduca a neve; dopo si può aggiungere anche dello sciroppo di fragola o ai frutti di bosco, o anche alla pesca.
I barman professionisti però, sorridono sempre alla richiesta della caipiroska, un po’ perchè il nome stesso ha un retrogusto comico,  e un po’ perchè  queste innumerevoli variazioni snaturano la vera origine di un cocktail  dalla  storia antica e che, come tale, dovrebbe rimanere: semplice e puro, come gli schiavi che l’ hanno creato.
Però nella vita  bisogna anche  ridere per sopravvivere, ridere di fronte alle innumerevoli situazioni che ci porge la società odierna,  sia economica che politica; un po’ per difendersi dallo stress e un po’ perchè… vaffanculo (!), l’ ironia e la miglior cosa per sdrammatizzare il tutto. E poi, alla fine, beviamoci su…  salute  amici !!!

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Tequila Bum Bum

Una delle tanti varianti del buonissimo distillato messicano, è questa miscela che, oltre al gusto, si aggiunge di un suono onomatopeico, derivato dal modo di berla. Se poi consideriamo anche il gesto, si accomuna un insieme di sensi che riempiono un immaginario variegato, divertente e coinvolgente, legato spesso a  nottate fatte con gli amici o con i “compagni di sbronze”, a  gare alcoliche o addii al celibato dagli esiti imprevedibili.
Si prepara nel bicchiere da shot con Tequila e un prodotto gassato (acqua tonica, gazzosa o sprite, spumante) in parti uguali; si danno uno o due colpi  sul bancone coprendo il bicchiere con il palmo della mano o un tovagliolo , e si beve tutta d’ un fiato, prima che l’ effervescenza creatasi trasbordi… una, due, tre, quattro volte, fino a ritrovarsi sotto a un tavolo completamente ubriachi. Perchè Il rischio è proprio questo: esagerare! Bisogna sempre capire qual’ è il confine che separa una bella serata in compagnia, con una “storta” che può lasciare il segno.
La Tequila Bum Bum è nata proprio così, per sfidarsi, per gareggiare come in un duello Rusticano (messicano?), e il “bum bum” simboleggiava i colpi di una pistola legata al vecchio west.  Inizialmente era  solo Tequila, poi è stata allungata con della soda per evitare  i tanti coma etilici che si creavano fra gli avventori, o se preferite, fra gli sfidanti.
Anche in questo caso, il classico sale sull’ incavo della mano fra il pollice e l’indice, inumidito con del limone, serviva per nascondere il sapore di un distillato mediocre, ma che alla fine, per tradizione, è arrivato fino ai giorni nostri così come la conosciamo.
Beh! I conseguenti Colpi di tosse, appartenevano a quei dilettanti che non potevano reggere il ritmo dei bevitori di professione, o al limite, erano il segnale che bisognava smettere … umilmente.
Oggigiorno, nella nostra società, di Colpi di Tosse ne sentiamo parecchi, perchè il quotidiano è sempre pieno di dilettanti o di persone che credono di essere all’altezza, ma che poi, in fondo, e meglio  che si facciano da parte … umilmente.

tequila bum bum

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Tequila Sunrise

Questo è uno dei long drink più richiesti nel periodo estivo perchè molto dissetante, e nasce negli anni ’50 in Messico come bevanda simbolo delle nascenti città turistiche di Cancun e Acapulco. Il suo colore e il suo nome  vogliono  infatti ricordare un’ alba nascente o un  “buongiorno”.
C’è  anche una leggenda metropolitana, la quale narra di un barman che – rimasto solo nel Locale tutta la notte per inventare un nuovo composto, ordinatagli dal suo principale per soddisfare i numerosi turisti che arrivavano  in Messico – si addormentò, e risvegliato la mattina seguente dal titolare, improvvisò al momento, dicendo che aveva aspettato la nuova alba come effetto scenico inerente alla nuova bevanda. Non solo piaque, ma gli venne pure dato un aumento di stipendio per il successo che ebbe  (a voi è capitato… a me no !!!).
Si prepara versando un un highball o in tubler alto precedentemente riempito fino a metà di ghiaccio,  3/10 di Tequila e  6/10  di succo d’ arancia,  poi si completa con dello sciroppo di granatina (solitamente al melograno) che si deve lasciar scivolare lungo il bicchiere mescolando il tutto molto dolcemente, e ricreando così il colore e le sfumature di un’ alba nascente. Infine si guarnisce con delle fette d’ arancia e una ciliegina.
Si poteva a questo punto abbinare il senso della categoria a qualcosa che simboleggiava, come il suo nome, l’alba, o la nascita, ma ho preferito l’ironia dei  colpi  di  sole, perché come al solito si esagera sempre, e spesso, non si conosce il senso della misura.
Le notizie devono essere sempre eclatanti; devono stupire; bisogna a tutti i costi esaltare una stupidata e lasciare ai margini le cose positive della vita.

tequila sunrise

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Vampire  Kiss

Questo composto fa parte delle  estrosità avvenute negli ultimi anni, o se preferite, delle “boorish action” che spesso accomunano il desiderio d’ inventare un cocktail originale. E’ anche vero che in questo primo decennio di inizio millennio, i vampiri vanno molto di moda, ed è inevitabile che le soluzioni più o meno innovative, possano scivolare verso quel confine a cavallo fra il  “cool”  e il  “kitsch”.
Ad ogni modo l’ unione con la creatività anche più pazza, offre spunti di accostamento straordinario, con qualsiasi tipo di idea o di discorsi in genere.
Si prepara versando in un mixing glass con del ghiaccio  4/10 di Vodka,  2/10 di sciroppo di lampone (Chambord Black) e  1/10 di Champagne; si mescola dolcemente e si filtra in una coppetta Martini precedentemente tenuta in freezer. A questo punto si versano ancora sopra il composto 3/10 di Champagne per creare una variazione di colore e far così risaltare la successiva guarnizione del bicchiere, che sarà bordato di colore rosso. Per ottenere la bordatura si scaldano insieme a dello sciroppo di zucchero, un po’ d’ acqua e del colorante alimentare  “rosso”, possibilmente scarlatto. In assenza del colorante si può utilizzare dello sciroppo di lampone, ma il risultato finale non sarà eccezzionale.  Scaldato il tutto, aiutandosi con un cucchiaio, si versa il contenuto sul bordo della coppetta fredda, il quale crisallizzerà dopo un attimo di colatura, creando delle bellissime sfumature scenografiche che, idealmente, richiameranno il colore del sangue.
Un’ altra vatiante chiamata “Halloween Martini” si ottiene shakerando  3/10 di acqua tonica,  2/10 di Rum aromatizzato al Frutto della Passione; una volta versato nella coppetta si aggiunge una spruzzata di succo di Cranberry guarnendo il tutto con delle amarene.
E  allora perchè  “quell’ oscuro oggetto del desiderio” se parliamo di sangue, streghe e vampiri:  un po’ perchè l’ occulto ha sempre creato molta curiosità, e un po’ perchè nella mitologia e non solo, la donna è sempre stata vista come gioia e dolore, come angelo e demone.
Partendo da questa iconografia si può giocare con le parole e i fatti, all’ interno di una società misogina come la nostra.   In qualsiasi caso, attenti ragazzi… quando conoscerete una bella ragazza, controllate sempre con qualche scusa, la sua dentatura…
non si sa mai

vampire kiss

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Luxuria

Il passaggio a quell’oscuro oggetto del desiderio alla lussuria è breve. Anche se oggigiorno (e magari anche ogninotte) il suo nome è un po’ abusato, dalla moda alla politica, fino al gossip più estremo, per arrivare infine come logica, ai cocktail, e fondamentalmente, al divertimento.
Con questo nome ci sono diversi composti; quello più servito si prepara shakerando con del ghiaccio  1/40 di Prosecco,  1/30 di succo di Pompelmo rosa,  1/20 di sciroppo di fragole  e  un pizzico di peperoncino.
La variante estiva è invece più dissetante, consiste nel sostituire lo sciroppo di fragole e il peperoncino, con  1/10 di succo di lampone e  del succo di anguria, guarnendo il tutto con della frutta a piacere.
Ma al di là delle diverse varianti costruite intorno a questo nome, qualcuno si chiederà perchè ho tirato in ballo “l’Ubalda”, o per lo meno, se ve la ricordavate. Ebbene –  senza considerare i miei turbamenti adolescenziali inevitabilmente collocati fra le poppe della Fenech, nella speranza che l’inquadratura scendesse un po’ più in basso – quello che mi fa sorridere, è che questi filmetti di serie B, ma che dico, anche di C1  o di  C2, ora li hanno fatti passare come “cult”…  (d’ accordo, dimenticate per un attimo le forme della sopracitata “attrice”) beh !  basta incollare vicino alla parola western, la dicitura “spaghetti;  alla “Milano Calibro 9” vantarsi che il regista Quentin Tarantino ha attinto a mani basse, e di conseguenza si trova inevitabile una spiegazione anche per la commedia sexy all’ italiana: palestra di comicità  (quale ?), scuola di recitazione  (eeeh !!!), lancio di giovani attricette  (boh !), un po’ di lavoro per disoccupati dilettanti  (forse…).  A me rimane solamente il ricordo dell’ Ubalda  (la rima ve la ricordate… ?), e il grande Montagnani che guardando il lato B della Edvige esclama:  “Quello non è un culo,  è una tagliola !”


In questo preciso momento passa mia moglie e guardandomi mi dice:

–  Cos’ è quella strana luce nei tuoi occhi ?!!
  Luce ?  Quale luce !
  Ma si, quella classica luce del maschio porcellone e debosciato…
– 
Maschio porcellone e debosciato…  ma chi ?
–  Non fare la scimmia… cosa stai facendo ?
– 
Niente… stò sistemando il blog !
–  E quelle lì cosa sono ?
– 
Quelle cosa… ( ?? )
–  QUELLE  LIIIII !!!!!!!!!!!!!!!!!!!
– 
Ah  quelle…
–  SIII  QUELLEEE  !!!!!!!!!!!!!!!!!
– 
Le tette dell’ Ubalda…
–  Le tette dell’ Ubalda ?????!!!
– 
Si !!!
–  Ormai quelle sono diventate moscie.
– 
Queste sono diventate un “cult”
–  Un cheeee !!!
– 
Un “cult”… e poi non rompere, stò cercando una “tagliola”.
–  Una che ???
–  Senti…  negli anni passati dicevate  “l’utero è mio e me lo gestisco io”.  Ora ti rispondo “il blog è mio e me lo gestisco io”.

e se na va blaterando qualcosa sul maschio represso, sul cesso, e su qualcosa in  riguardo al voyerismo appartenente al genere di sesso opposto al suo.  Cosa volete farci, mi piacerebbe inventare una macchina per spiare i sogni erotici femminili… perché, in fondo, gli “opposti” s’incontreranno sempre.
A proposito di sogni erotici, un’altra versione del sopracitato cocktail consiste nel mettere in un frullatore  1  caffè espresso,  1/30 di sciroppo di cocco,  1/30 di Crema di Whiskey e alcune fettine di banana, versando poi il tutto in una coppetta guarnita con polvere di caffè…
e magari sentirete una bella gnocca ripetervi  “io ce l’ ho vellutata…”
Concludo con un aneddoto. Vicino a Como, un giovane tecnico di nome Epifanio (giuro che è vero) riuscì a inseririrsi nei programmi RAI trasmettendo dei filmini porno.  Alla fine fu beccato ed ebbe qualche problema con la giustizia. Ma sui muri del suo paese, comparvero le scritte:
” GRAZIE  EPIFANIO  ! ”
” RIDATECI  EPIFANIO !! “

Chissà se su qualche muro in giro per l’ Italia qualcuno scriverà:

” RIDATECI  L’ UBALDA !!! “

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Xantippe

Questo curioso composto preparato versando nel mixing glass  4/10 di Vodka,  2/10 di Chartreuse gialla,  2/10 di Cherry Brandy  e, dopo una energica agitatura, filtrare versando il tutto in una coppetta pre-raffreddata. Pare  sia stato ideato pensando alla moglie di Socrate (Xantippe, appunto), una donna molto brontolona che, attratta dalle cose dorate, dicono si addolcisse se qualcuno le offriva una miscela, probabilmente, a quei tempi,  a base di miele.
E allora lo preparo, e con molta delicatezza lo offro alla mia, di moglie.  Lei lo guarda con diffidenza e circospezione, e con fare molto astuto, lo porge, come assaggio alla nostra gatta (si… abbiamo anche una gatta); e anche lei lo guarda con molta diffidenza: lo annusa, le gira intorno, lo annusa ancora, e dopo aver intinto la linguetta, incomincia a leccare, “slappando” tutta la pozione. Poi, un po’ barcollante, raggiunge a fatica la somma del divano e, tutta felice, piomba in un sonno beato.
Guardandomi la moglie mi domanda: cosa c’ era in quel bicchiere ?, uno Xantippe, gli rispondo io. Un X-che ??!  mi richiede lei. Finiscila di combinare cavolate, e pensa un po’ alle cose serie…
Va beh (!)  almeno ci ho provato.  Così ritorno nello studio e, passando per la sala, vedo la gatta che ronfa a pancia in sù con le gambe stinche, e tra me e me ripenso: “almeno una delle due femmine di casa, è fuori uso”
Alla prossima ragazzi…

cocktail xantippe

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White Russian

Il White Russian è un composto diviso a metà fra l’essere un cocktail e un dessert. La sua preparazione è facile: in un bicchiere solitamente basso e largo precedentemente raffreddato aggiungete 50 ml di vodka; 20 ml di liquore al caffè e finite di guarnire con della panna per dolci (quella montata per intenderci) e il gioco è fatto. Pare che sia stato inventato nel 1949 da Gustave Tops, già ideatore del Black Russian, all’Hotel Metropole di Bruxelles, per il fatto che molti clienti volevano una bevanda da sorseggiare al mattino dopo la colazione, ma ebbe così successo che lo vollero anche a fine pasto per le sue qualità digestive insieme alla delicatezza che lo fece somigliare a un gelato o appunto a una variante di dessert. Nell’immaginario collettivo lo associamo al mitico Drugo del film “Il grande Lebowski” dei fratelli Coen e interpretato da Jeff Bridges il quale durante la storia beve continuamente questo tipo di composto, sempre con molto piacere. Infatti proprio per questo motivo la categoria vuole gemellarsi con quell’idea cinematografica in cui il film stesso diventa un “cult”, per tutta una serie di motivi e come tali rimangono nella nostra memoria.

cocktail white russian

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Sidecar

 Rimettiamoci in carrozza, anzi in “carrozzella”, cari miei, ritornando a composti di notevole spessore, come questo. Dopo un allupante miscela alcol/sesso dobbiamo necessariamente farci accompagnare a casa: un amico gentile lo farà sempre.  Non è un caso che metaforicamente il sidecar allude prorio a questo: a un accompagnatore sbronzo, a colui che, standoti vicino, ti parlerà di tutto. “Vino veritas” dicono, ma anche controsensi, farneticazioni e, senza esagerare, allegria a gò gò per tutti i gusti, in ogni direzione ma, attenzione, se la motocicletta procederà a zig zag non c’è più speranza, anche il vostro amico è fatto.
Non è un caso che un lontano giorno del 1922, a Parigi, un capitano dell’ esercito, entrò accidentalmente, con un sidecar appunto, dentro un locale chiamato Harry’s Bar. Il barman, un certo Harry McElhone, dopo un primo sconcerto, servì al malcapitato un qualcosa di forte: lo stesso drink che tutti i giorni beveva un postino del quartiere, il quale consegnava le lettere con lo stesso mezzo di trasporto; fu inevitabile che l’associazione di idee conferì il nome al cocktail.
Lo si prepara mettendo in uno shaker con del ghiaccio  6/10 di Cognac,  3/10 di Cointreau  e  1/10 di succo di limone. Dopo un’ energica agitatura filtrare in una coppetta (precedentemente affraddata) tipo Martini, senza guarnitura, per poter assaporare questo splendido connubio di profumi e sapori. Volendo potete bordare il bicchiere con dello zucchero.
Non vi preoccupate, voi vi sdraiate nel piccolo abitacolo e cominciate a parlare, se volete anche a dormire, dite al vostro amico di inserire il pilota automatico, e quando dopo la prima curva entrerete con tutto il mezzo dentro al primo bar, rimanete sereni, ci sarà sempre dietro al bancone qualcuno che vi consolerà con qualcosa da bere.
E il conto !!!   beh… lo consegnate al pilota e continuate a parlare, se volete anche a dormire, tanto ci sarà qualcun altro  che vi porterà…
in galera.

cocktail sidecar

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Stinger

La storia di questo composto che miscela cognac con crema di menta, risale agli inizi del ‘900 e deve il suo successo durante il proibizionismo quando, appunto, la menta nascondeva la seconda parte alcolica, e in un certo senso addolciva il gusto dei distillati di pessima qualità che circolavano in quel periodo. Lo si prepara mettendo 5 cl di Cognac e 2 cl di crema di menta nello mixing-glass insieme del ghiaccio. Miscelate dolcemente per amalgamare tutto facendo in modo che la menta si unisca al cognac sciogliendosi con esso, e poi filtrate il tutto in una coppetta raffreddata precedentemente, e il gioco è fatto. Chiaramente poi sono nate anche delle varianti in cui al posto cognac e stata messa tequila, gin o vodka, ma come sempre il tutto è legato al proprio gusto personale e alla propria visione nel concepire qualcosa che deve piacere. Non è casuale che il nome di questa miscela deriva proprio nell’assaporare il primo sorso in cui, come se veniste punti da un pungiglione appuntito, tutto il seguito della degustazione risulterà decisa e piacevole al tempo stesso per la forza dei suoi aromi. A mio avviso questo cocktail è ideale come fine pasto per le sue qualità digestive e organolettiche, perché unisce le qualità differenti legate a i due ingredienti base.
Nascondigli segreti perché se durante il proibizionismo questo composto serviva proprio per occultare tutto ciò che arrivava di contrabbando; riportando la metafora fino ai giorni nostri, ci capita spesso di vedere o di sentire notizie riguardanti situazioni di questo genere, anche perché, ognuno di noi, ogni tanto, ha qualcosa da nascondere, senza voler essere per questo troppo negativo, ma semplicemente perché il proverbio “occhio vede cuore non duole” risulta continuamente efficace… o no!?

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Whiskey Sour

Questo composto risulta piacevole e al tempo stesso leggermente acidulo, conferendogli quel tipico gusto fresco e leggermente alcolico, il quale lo rende ideale per un aperitivo alla mano, proprio perché unisce all’ingrediente principale la sapidità del limone, unito alle caratteristiche dello zucchero e dell’albume d’uovo. La sua storia risale verso la fine dell’800 in cui un certo Elliot Stub, sbarcando in una piccola località a cavallo fra il Cile e il Perù, aprì un cocktail bar, decidendo così di servire ai suoi clienti un composto a base di whiskey e il limone tipico di quelle parti, poi successivamente aggiunse lo zucchero per bilanciare l’acidità dell’agrume e infine anche l’albume dell’uovo, creando quella schiumetta particolare che decora la sommità del bicchiere. Il suo successo fu immediato considerando la bassa gradazione alcolica e la sua freschezza molto gradita agli operai del posto. Lo si prepara utilizzando soprattutto il Bourbon, perché il suo retrogusto affumicato lo sposa molto bene con la presa acida del succo di limone, con la misura di 4,5 cl del primo ingrediente e 3 cl del secondo, si aggiungono poi 1,5 cl di sciroppo di zucchero e un cucchiaio di albume d’uovo; si agita fortemente nello shaker e si versa attraverso un colino nel bicchiere colmo di ghiaccio. Chiaramente, se questo composto lo abbiniamo a dei prodotti artistici, la dicitura “semplicemente aspro” lo accumuna a quei prodotti dalla visione forte e decisa, i quali hanno la caratteristica di nascondere come retrogusto (usiamo questa metafora) qualcosa di più carezzevole nonostante la loro caratteristica principale.

cocktail whiskey sour

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Irish Coffee

La storia di questo composto a base di caffè, whiskey e panna inizia nella cittadina irlandese di Foynes, nel cui aeroporto sbarcavano sempre passeggeri infreddoliti e stanchi dai voli transoceanici. Anche se in un’atra versione la sua  invenzione e si deve a un certo Joseph Sheridan, il quale lavorando nell’aeroporto di Shannon, ed essendo il capo dei barman del luogo, decise di servire questo caffè particolare proprio per scaldare gli avventori che transitavano continuamente, aggiungendo la panna per dargli un tocco di dolcezza. Non è casuale che alla domanda se era un caffè latinoamericano, lui rispondeva divertito: “…scherzate! Questo è puro caffè irlandese!”.
Si prepara riscaldando un bicchiere solitamente abbastanza alto, versatevi dentro un cucchiaio di zucchero di canna e successivamente aggiungete 90 ml di caffè caldissimo e 40 ml di whiskey, miscelando continuamente per far sciogliere lo zucchero. A questo punto perdete un cucchiaio girandolo verso il basso quasi immerso nel bicchiere e iniziate aversani la panna precedentemente shakerata, in modo da montarla leggermente. Scorrendo sull’acciaio del cucchiaio non si miscelerà con il composto e rimarrà a galla e una volta finita questa operazione, guarnite con una spolverata di cannella. Ideale per le giornate invernali risulta gradevolissimo in qualsiasi momento della giornata, d’altronde, se si volete scaldare, coma volete di più? (!!!)

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Screwdriver

L’origine di questo cocktail è semplice e curiosa perché, secondo il New York Time, in un bar del Park Hotel di questa metropoli, s’incontravano spesso gli operai dei quartieri in costruzione (siamo intorno agli anni ’50) i quali per miscelare vodka con succo d’arancia in lattina, utilizzavano spesso i loro cacciaviti, da qui il significato del nome e la nascita stessa del composto, da cui col tempo aggiustarono le dosi, anche se semplicissime. Basta unire una parte di vodka contro due di succo d’arancia, miscelate e guarnite con fettine di agrumi e il gioco è fatto: semplicissimo!
Poi, se vogliamo, il paragone con “i lavori di cacciavite” risulta naturale come necessario, perché nella vita o nel campo dell’arte, molti lavori sono costruiti con una perizia e una pazienza fuori dal comune, come se una serie infinita d’ingegneri fosse intorno a noi, e noi stessi come loro nell’eseguire  le nostre opere con un’indiscussa precisione. È sempre così?

cocktail screwdriver

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Easy Rider

Il desiderio di libertà è qualcosa insito in ognuno di noi, proprio per questa voglia di sentirsi al di sopra delle parti e immersi nelle nostre passioni più vere, le quali ci appartengono profondamente. Ecco che questo cocktail dal fascino irresistibile e rinfrescante é sostanzialmente una delle tante varianti del famosissimo Cape Codder o Cape Cod che nella loro ricetta classica utilizzava sostanzialmente due ingredienti base: la vodka e il succo di mirtillo. Sta di fatto che una catena di ristoranti a tema polinesiano s’innamora di questa ricetta e aggiunge il lime per renderla più beverina, ribattezzandolo Rangoon Ruby. Poi successivamente le aperture sono state molteplici sostituendo il mirtillo con succo di pompelmo facendo nascere il Sea Breeze, con il succo d’arancia nasce il Madras e il Bay Breeze con l’ananas, fino ad arrivare al celebre Cosmopolitan in cui si aggiungeva il triple sec. Insomma tante varianti come questo Easy Rider composto da 40 ml di vodka, 15 ml di lime, 60 ml di succo d’ananas e 40 ml di prosecco e soda a piacere, ottenendo così qualcosa che ti fa sentire sopra le nuvole per volare all’infinito. Che cosa volete farci, ognuno di noi vuole andare oltre la nostra realtà, anche solo per un momento. Salute!

cocktail easy ryder

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Mojito

Il Mojito è uno dei composti più famosi e diffusi in tutto il mondo,  adattissimo nei periodi estivi proprio per le sue qualità dissetanti relative al supporto della menta. Non è casuale che la sua origine nasce nell’isola di Cuba, un po’ per la qualità del Rum bianco prodotto in questo territorio, ma soprattutto per l’uso di una variante di menta chiamata hierba buena, più delicata e adattissima per equilibrare la parte decisa dell’alcol con la sua essenza dolce e saporita. Pare infatti che l’inventore del sopracitato cocktail fosse un barman di nome Angelo Martinez, il quale, prendendo spunto dalla tradizione voodoo, in cui la parola mojo significava “piccolo incantesimo”, creò questo composto per allietare gli ospiti illustri del suo locale: la Bodequita del Medio, spesso frequentato da personaggi come Hernest Hemingway e altri del suo calibro, anche se la storia di questo scrittore famoso per le sue sbronze colossali, ha creato nel corso degli anni leggende metropolitane oltre la sua stessa immagine. Altri sostengono che la parola “mojito” derivi da un tipico condimento della cucina cubana base di aglio e agrumi adatto per le marinature, altri ancora invece alla parola mojadito che significa “umido”. Sta di fatto che la fortuna di questa bevanda si perde nei racconti di pirati e contrabbandieri radicati nelle narrazioni di questa parte di mondo, i quali consumavano il cosiddetto Draquecito, che pare sia stato chiamato così in onore di Sir Francis Drake in persona: El Draque per intenderci, ovvero il corsaro per eccellenza, il quale, si fermava spesso nelle locande malfamate dell’Isla de la Juventud, proprio nell’arcipelago di Cuba, dove servivano una mistura a base di un distillato simile al Rum, insieme a lime, zucchero e menta. Insomma, se la vita la vediamo sempre come un romanzo, perché non immergersi nei racconti del nostro immaginario, proprio per esistere in un attimo di sogno, sentendoci anche noi avventurieri per solcare i sette mari? La cultura del bere è proprio questa: chiudere gli occhi per viaggiare con la fantasia insieme ad aromi e gusti unici al mondo.
A proposito, la sua preparazione: mettete in un bicchiere tubler-glass alto la long drink, due cucchiai di zucchero e aggiungere alcune foglie di menta; giunti a questo punto si può pressare leggermente la menta con lo zucchero utilizzando un pestello di legno per far sprigionare gli aromi dell’erba aromatica, oppure, seguendo la ricetta originaria, non fare niente. Aggiungere a questo punto 40 ml di Rum bianco (agitando leggermente), 30 ml di succo di lime fresco e 40 ml di soda (agitare ancora leggermente), riempire di ghiaccio fino all’orlo con un’ultima spruzzata di soda e finire di guarnire con altri rametti di menta a piacere. Vi troverete di fronte una delle bellezza di questo pianeta e vi sentirete proprio dentro un incantesimo, senza bacchetta magica, ma con qualcosa da bere vicino all’eccellenza. Divertitevi!

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Bellini 

Anche questo cocktail è uno dei più conosciuti, soprattutto pensando al rito dell’aperitivo che tanto affascina il piacere della compagnia e del ritrovarsi insieme per una pausa salutare in questo presente complicato. La sua origine nasce nel 1948 da un’idea molto artistica, perché il suo creatore, il celebre Antonio Cipriani, capo barman all’Harry’s Bar di Venezia, rimanendo affascinato dei colori dei quadri di Giovanni Bellini e in particolare modo dall’opera “il Giambellino” ricca di tessuti colorati, decise di ricreare queste sfumature nei suoi composti. Infatti, rimanendo colpito dalle variabili giallo-rosa di questi dipinti, riuscì a creare questo mix di prosecco e succo di pesca. Inizialmente si utilizzava lo Champagne con una goccia di succo di lampone per conferirgli un cromatismo rosa, ma successivamente la malleabilità del prosecco prese il sopravvento, ed ora è consuetudine comune utilizzare questo vino bianco frizzante senza il lampone perché in base alle richieste si può utilizzare la versione dello spumate rosé. Tra l’altro, seguendo questa idea di bellezza, Cipriani inventò anche il Tintoretto che prevedeva al posto del succo di pesca, quello di melograno. Insomma, tanta arte sopra ad altra arte, proprio per infondere quella frase che la bellezza salverà il mondo tanto cara a Dostoevskij, ma che tramutata in ognuno di noi, ci appartiene singolarmente tanto è vera.
La sua preparazione è semplice, ma come tutte le cose apparentemente facili la sua difficoltà è insita nel modo con cui si affrontano. Bisogna sbucciare delle pesche mature, tagliandole poi a spicchi, schiacciandole successivamente sopra un filtro per estrarre la polpa, ottenendo così una crema liscia e uniforme. Dopo averla lasciata riposare in frigorifero aggiungetela al prosecco mettendola un uno shaker, utilizzando un terzo di polpa di pesca e due terzi di prosecco. Agitate per qualche secondo e versate il composto dentro un calice alto con la guarnitura di qualche fettina del frutto. Chiaramente, se poi io ho utilizzato la dicitura “i soliti fighetti” per configurare la categoria, è perché questo cocktail lo vedo più abbinato a una scelta più femminile, e proprio per questo, adatto a determinati abbinamenti.

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Autodafé

Questo composto ha origine in Finlandia e viene servito unendo 40 ml di vodka con 10 ml di succo di lime, per poi terminare con della soda e guarnendo il bicchiere a piacere. Chiaramente, in quelle latitudini fredde vicine al Circolo Polare Artico, l’impatto della vodka doveva essere ammorbidito con il succo del lime e allungato a piacere con la soda in base alle proprie esigenze: forti o meno alcoliche, creando così un cocktail adatto a tutte le stagioni e a tutte le situazioni del giorno.
La categoria “i soliti sospetti” relativa come allegoria al film in questione, non è riferita a quella regione scandinava, ma alla soluzione troppo facile nel concepire un modo di bere, semplice d’accordo, ma forse troppo scontata. Io credo che un tocco di fantasia in più non faccia mai male, anzi, ridona al modo di essere tante sfumature che sia accomunano alla nostra quotidianità più vicina a noi. Ad ogni modo tutto può essere esaltato con il nostro io e con la professionalità che unisce creatività ed estro nel modo migliore, senza sospettare niente di male.

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Horse’s  Neck 

La storia di questo noto composto non ha una ragione o una data precisa: pare sia stata inventata in un ippodromo, perché era la bevanda prediletta dei frequentatori di questi luoghi, in cui, se si vinceva, si andava a festeggiare nel bar; ed era nato per unire le qualità forti del cognac con la freschezza beverina del Ginger-Ale. La sua particolarità consiste nel ritagliare la buccia di un limone con una spirale molto lunga, creando così un’ideale criniera di cavallo, facendola uscire in maniera appariscente fuori da un tubler alto. Si prepara direttamente nel bicchiere con 4 cl di cognac o brandy e 16 cl di Ginger-ale con una goccia di angostura, concludendo poi con la sopracitata spirale di buccia di limone: semplice e diretto, deciso e pieno di freschezza. Poi, è chiaro, se un animalista vuole sentenziare che le corse dei cavalli sono uno sfruttamento esagerato delle razze equine solo per il gusto del divertimento, non posso dargli torto. Ci rimane come consolazione questo cocktail particolare, reso famoso da quel gioco di guarniture particolari e da quell’impatto eroico che da sempre ha unito uomo e cavallo come evoluzione della nostra civiltà.

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Bouncing  Bomb 

Non conosco l’origine precisa di questo cocktail, so di certo che il nome deriva da un ordigno rimbalzante progettato con lo specifico scopo di poter rimbalzare sull’acqua fino a colpire il bersaglio, ed erano solitamente utilizzate per creare delle brecce nelle dighe o nelle reti antisiluro. Non è casuale che la forma allungata del bicchiere utilizzato con cui si serve il Bounging Bomb, richiama la forma di una bomba, così come i suoi colori che ricordano il sangue. Si prepara infatti mettendo dei cubetti di ghiaccio in un mixing-glass versando successivamente 2 cl di Brandy, 1 cl di Curacao, 2 cl di sciroppo di more o mirtillo  e soda per riempire. Mescolare energicamente e filtrare in un tubler grande dalla forma allungata e inserire soltanto dopo i frutti che avete scelto come decorazioni: more, mirtilli e qualche fettina d’arancia. Poi, se volete costruirvi un arsenale a casa vostra, fate come volete, capita spesso che le parole diventino esplosioni da far brillare per delle elucubrazioni intelligenti contro un sistema corrotto. Colpisce più la penna che la spada, ricordate?

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Knockout 

Questo composto è una bella botta di energia unita a delle variabili aromatiche che vengono gestite in base alle esigenze del cliente. Si prepara mettendo nel mixing-glass dei cubetti di ghiaccio, 20 ml di Vemouth Dry, 10 ml di liquore di menta e 40 ml di Gin. Agitate fortemente e filtrate il tutto in un calice genericamente ampio. Aggiungete alcune gocce di Pernot e decorate con delle parti di anice stellato. Alcune varianti mettono del liquore alla menta bianco, giusto per contrastare e far risaltare le stelle all’anice. Sta di fatto che la base fortemente alcolica del cocktail è bilanciata dal sorprendente sapore della menta insieme ai profumi dell’anice, e infonde delle caratteristiche particolari che ne esaltano il sapore. Chiaramente dovete saper gestire la vostra preparazione alcolica per evitare un bel pugno nello stomaco. Dovete saper bere perché, in qualsiasi caso, il mondo la fuori che vi aspetta non vi farà nessuno sconto, anzi, saper lottare è anche alla base della vostra sopravvivenza. Chi si sa difendere saprà anche divertirsi a dovere. Ve lo posso garantire.

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October  Revolution

Questo composto da cui prende il nome di una delle rivoluzioni che ha cambiato per sempre una parte di mondo, non ho idea quando sia stato inventato, perché non ho trovato notizie al suo riguardo. Evidentemente, il mondo dei cocktail ultimamente ha sviluppato una serie infinita di varianti che poi cambiano in base alle tradizioni del posto, e un’idea innovativa si sostituisce ad un’altra successiva, fino a quando una determinata soluzione non viene inserita nel libro ufficiale dei cocktail. In questo caso particolare viene esaltato l’abbinamento della vodka con la Tia Maria, un liquore giamaicano composto da Rum al caffè e da una selezione segreta di erbe e spezie. L’aroma è abbastanza forte ma piacevole al palato in cui predomina il gusto del caffè ma addolcito da un delicato retrogusto alla vaniglia, anche se si avverte la forza dell’alcol.
Si mette nello shaker del ghiaccio, inserendo in parti uguali (tipo 2 cl per tipo) la vodka, la Tia Maria e della Crema di cacao, si agita fortemente e si versa in un bicchiere old fashion aggiungendo  ancora del ghiaccio e guarnendo con delle cicliegine infilate in uno stecchino decorato. Alcune varianti mettono anche successivamente della panna montata rendendolo simile al White Russian, ma io preferisco la soluzione più efficace e diretta perché si gusta meglio la perspicacia degli ingredienti utilizzati. Comunque è questione di gusti. In fondo, se nella nostra vita assistiamo agli ultimi incendi, è perché le rivoluzioni fanno parte del passato e il mondo di oggi assiste a una rivoluzione continua fatta dai media. Siamo sempre noi che dobbiamo saper scegliere.

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Zombie

Questo è uno dei cocktail più famosi al mondo per tutta una serie di particolarità e soprattutto per quella che è stata definita come “cultura tiki”, un modo d’interpretare la vita in cui coesistono musica, cucina, spettacolo, danza, arti figurative e cinema, insieme alla spigliatezza di una moda hawaiana dal retrogusto hippy vissuto in modo esistenziale come un’area di coinvolgimento  emozionale, unendo aree di tradizioni totalmente diverse da diventare un modo di pensare alternativo. La parola tiki vuol dire appunto “miscelazione”, coadiuvando insieme tutta l’evasione che può far intendere un luogo esotico dove poter credere che esiste la spensieratezza e il distacco dalla realtà del tempo assurdo che si sta vivendo, liberi da tutto, come se il paradiso fosse possibile. Ecco che la formazione dei Tiki-Bar e dei Tiki-Restaurant&Pubs servivano proprio a questo: a vivere un momento fuori dalla realtà come se il sogno fosse possibile, attraverso una socialità coinvolgente e spensierata.
Il suo ideatore si chiamava Ernest Raymond Beaumont Gannt, più noto come Donn Beach, un avventuriero americano fin troppo legato alle latitudini esotiche, il quale, negli anni ’30 inventò questo composto proprio per ricreare certe similitudini con il desiderio di vivere continuamente il suo sogno. Non è casuale che la leggenda narra che il nostro eroe inventò il sopracitato cocktail per un cliente il quale doveva, in teoria, smaltire i postumi di una sbornia prima di un appuntamento di lavoro. Il gusto vellutato del cocktail nascondeva però una base alcolica molto forte, così l’uomo tornò qualche giorno dopo lamentandosi del beverone che lo aveva letteralmente trasformato in uno zombie. Ma è davvero così? In uno shaker versate 2 cl di Rum Bianco, 2 cl di Rum Scuro, 2 cl di Apricot Brandy, 2 cl di succo d’ananas, un cucchiaio di succo di lime e del ghiaccio. Agitate fortemente e versate il tutto senza filtrare in un bicchiere particolare (anche dei bighball se volete) dove precedentemente avevate messo della granatina o del ghiaccio triturato grossolanamente, poi aggiungete un poco di succo d’arancia, ancora del Rum Bacardi e mescolate decorando con delle ciliegie al maraschino e delle fettine di agrumi a piacere. Sta di fatto che dietro la bellezza di tutto questo dissetarsi, esiste anche una forza della natura che non ha eguali, proprio perché l’alcol da ebrezza, divertimento, socialità, e se volete anche poesia. Siete voi che dovete capire il vostro grado di preparazione e fino a quando potete spingervi, proprio per evitare di sentirvi degli Zombi. La cultura del bere è proprio questa, vivere il divertimento che profetizzava Donn Beach, come se la sua utopia, anche solo per un momento, fosse proprio la nostra quotidianità.
Axxo… (!!!) Certo che questo Donn, si sapeva proprio divertire, altro che zombi!

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Un  Latte  Caldo

Che dire, il latte certo è il ricostituente per eccellenza di qualsiasi specie animale e volendo si può anche usare per delle miscele particolari. Mi ricordo che da piccino se avevo della tosse, mia madre mi preparava una tisana calda di latte, miele e grappa dicendo che mi sarebbe passata. E infatti il miracolo avveniva… Ma di chi era il merito: del latte o della grappa? Non importa, quello che a noi interessa è la sua genuinità relativa proprio al neonato che deve crescere sano. È chiaro che una volta cresciuto, probabilmente passerà a qualcosa di più corroborante, ma tant’è, ognuno di noi ha la sua evoluzione. Mi ricordo che nella città in cui vivo: Como, c’era un barman pazzesco che noi avevamo soprannominato”il dozzinale” perché era un suo classico intercalare. Ebbene, era talmente dedito all’alcol che, se qualcuno entrava nel suo locale, doveva per forza bere forte, altrimenti ti cacciava fuori. Se infatti una fanciulla ordinava per caso del latte caldo, lui glielo scaldava si nel beccuccio a vapore della macchina utilizzata per i caffè e cappuccini vari, ma lo faceva bollire talmente tanto, che mentre lo consegnava all’ignara cliente, blaterava sempre : “…tieni, spero che ti scoppi in mano”, Che cosa volete farci, ognuno si evolve alla sua maniera, e voi, state attenti, a non prendervi la tosse, così evitate di berlo. Al limite non c’è problema, c’è sempre la grappa!

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Acqua  Minerale

Lo sappiamo tutti, dall’acqua nasce e dipende la vita, ma c’è sempre una linea di confine che separa il bere per divertirsi e il bere per necessità. Se vi dico che mio nonno non l’ha mai bevuta, dovete crederci, non tanto perché il machismo dei tempi andati voleva proprio l’uomo sempre aitante con il bicchiere di vino in mano, ma perché era lui stesso fatto così: vignaiolo, distillatore (di contrabbando), bevitore, troppo innamorato del nettare degli dei e proprio per questo capace di esistere vicino al suo liquido viola come un fratello fedele, d’altronde, per i contadini di allora, lo svago era sempre questo: lavoro nei campi, casa, osteria, come sfogo senza troppi fronzoli, senza troppe televisioni, senza troppi condizionamenti. Si beveva, ci si divertiva con poco e si era felici così. E l’acqua? Beh! a qualcosa serve, se per esempio quella frizzante la usate per allungare qualche composto particolare o per preparare soda, selz e altro ancora, voi non dovete dirglielo a mio nonno, altrimenti, si sentirebbe un peccatore scontento. In fondo, cosa volete farci, ognuno crede alla sua maniera e la bellezza di un’idea nasce per farvi innamorare di un pensiero libero, come un gesto o un sogno che si realizza dentro un semplice bicchiere, trasparente, come l’acqua appunto.

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Stomach  Reviver

Questo composto appartiene a una categoria di cocktail nati proprio come rimedio per far riprendere chiunque avesse esagerato nell’avere lo stomaco in disordine. È un po’ come l’ultima possibilità: nel senso che tutto quello che hai dentro o scende definitivamente o ritorna su liberandoti in maniera diversa. Queste sono le dinamiche di una sbronza: esagerare non serve, proprio per evitare di star male e, credetemi, bisogna imparare a bere sapientemente, riuscendo così a passare una serata splendida in bella compagnia. Sta di fatto che questo cocktail è sempre il benvenuto per rimetterti in sesto, e si prepara con 20 ml di Brandy; 10 ml di Fernet Branca; 20 ml di Kümmel: un liquore originario dell’area germanica composto con alcol, cumino e finocchio selvatico; in alcune varianti è anche aromatizzato con anice, mandorle amare, radice di Angelica e scorza di arancia, adatto come calmante e rilassante. Poi aggiungete alcune gocce di Bitter Angostura e della scorza di limone, con ghiaccio a piacere se necessario. D’altronde, come nella tradizione dei nostri antenati, quello che veniva chiamato come un punch caldo, serviva proprio a questo: ridarti una scossa!

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Fernet & Coke

Quello che a voi sembrerebbe un qualcosa di eccezionale, è invece in Argentina la bevanda nazionale, dove esiste una nutrita colonia di emigranti italiani: Meglio conosciuto come “Fernandito” è nato intorno agli anni ’70 e pare che sia stato servito per la prima volta a Ciudad de Cruz del Eje a nord di Cordoba, dal barman “El Negro” Becerra nel Bar Premier , noto crocevia culturale della città, per poi diffondersi in tutto il paese anche per mezzo del cantante Cruz-Alejandro che ne decantò le proprietà, soprattutto al National Olive Festival facendolo conoscere a Buenos Aires. Probabilmente, la passione dei sudamericani per i prodotti amari, derivati dal consumo dal “mate”, un infuso fatto appunto con l’yerba mate senza dolcificanti, e l’amore per i prodotti italiani, fecero sì che questo cocktail a base di Fernet sostituì il celeberrimo Cube Libre, a tal punto che la ditta Branca di Milano costruì uno stabilimento proprio in Argentina, nella capitale, talmente alto era il suo consumo. Noto anche come Fernao, Fefè o più comunemente Fernet y Cola, questo composto sembra vivi un’eterna giovinezza, costruendosi intorno addirittura delle leggende che vorrebbero avere sullo stemma della città di Cordoba, anche la forma classica di questa bottiglia. Incredibile ma vero… In fondo, la sua preparazione è facilissima, basta versare in un double old fashion con ghiaccio 50 ml di Fernet, aggiungendo poi la Cola fino all’orlo e decorarlo volendo con dei rametti di menta o delle scorze di agrumi. In patria comunque si usano anche i bicchieri della birra, perché nei piccoli paesi tutto è possibile per dissetarsi con piacere, perché non importano le formalità, ma la goduria che offre la vita. Poi, se credete che giunti a questo punto abbiate raggiunto il “punto di non ritorno”, non importa, la sete alcolica esiste, soprattutto dopo tanto bere, e allora, meglio soddisfarla nel migliore dei modi. Salute ragazzi!

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Ghost Track

Cari ragazzi, siamo giunti alla conclusione, e proprio per la fine bisogna parlare di quella serie di cocktail sostanzialmente chiamati “del giorno dopo”, per rimettersi dopo una storta o una nottata troppo esagerata. Chiamati anche “Corpse Reviver” hanno un’origine antichissima e nonostante tutto se continuano a persistere sui banconi dei bartender, evidentemente, hanno la loro funzione rigeneratrice. È chiaro che dovete essere intelligenti, perché sapete, all’alba del giorno dopo, si è sempre tramortiti da quella che viene chiamata “sete alcolica”, nel senso che vi sentirete attratti da qualcosa di fresco e non è casuale che i più salutisti dicono di bere un bel tè caldo, in modo da risistemare lo stomaco in disordine senza tramortirlo ulteriormente, e poi ripassare all’alcol. Mi ricordo per l’appunto un mio amico il quale si precipitò come un forsennato verso un bel succo ghiacciato, e come conclusione si procurò una bella congestione, tale da rimanere sul filo pericoloso di qualcosa di peggio, perché è sempre così: non si considerano le conseguenze. Ecco che questi cosiddetti “Revier” sono stati inventati per queste occasioni,  anche se bisogna sorseggiarli con delicatezza, per fare in modo che altro alcol disinibisse le perversioni del giorno precedente risistemando le cose. Pare che sia così. La sua origine come ho predetto è antichissima, ma la sua omologazione come ricetta base è dovuta ad uno dei barman più famosi, un certo Harry Craddock, il quale si dice che la notte prima del proibizionismo shakerò l’ultimo cocktail per poi  riparare in Inghilterra dove fu protagonista degli anni d’oro dell’American Bar all’Hotel Savoy di Londra.
La ricetta prevede di mettere nello shaker del ghiaccio insieme a 30 ml di Dry Gin, 30 ml di Cointreau, 30 ml di Little Blanc e 30 ml di succo di limone, per poi terminare con una spruzzata di assenzio: agitare fortemente e servire con guarnizioni a piacere. Come vedete le proporzioni vanno rispettate rigorosamente per ottenere l’equilibrio necessario, proprio perché per alcuni è come una pozione magica: se la bevi ritorni subito in senso. Chiaramente esistono altre versioni di questi composti come quella in cui al posto degli ingredienti sopracitati vengono messi 45 ml di Cognac, 30 ml  di Calvados, 20 ml di Vermouth e 15 ml di soda. Ma la funzione principale è sempre la stessa: ritornare in auge con lo stesso ingrediente che la sera precedente vi ha messo a ko…

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Bene, abbiamo terminato questa lunga escursione con i cocktail più conosciuti e il loro abbinamento con lo spirito di questo blog. Chiaramente ce ne sarebbero altri di famosi da citare, come per esempio il Manhattan, il Cosmopolitan, il Delirium, il Pink Fire, il Black Day Express, l’Hugo, il Fire Lightnesse, il Negroni Western Style e altri ancora che ho citato nei vari post, ma che non potevo aggiungere a questa lunga lista, altrimenti avrei finito di stancare. Rimane la bellezza di ritrovarci insieme per un attimo di gioia, godendoci così di un pizzico di cultura.
Salute ragazzi!

il Barman del Club

17 Comments on “Categorie: significato sul blog – storia e preparazione dei cocktail

  1. Sono 16 anni che faccio il barman nei locali notturni ,dal trentino alla sardegna, ora abito a Modena e mi sei piaciuto molto, penso che questo è un mestiere non da tutti.
    Non ti dico bravo perchè non sta bene , ma sei OK…!
    A dimenticavo
    W. la FIGA

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    • grazie per l’ OK … io penso che l’ espressività artistica sia la risposta adeguata a questo mondo dominato dai potentati economici; non tanto per riesumare il vecchio slogan della “fantasia al potere”, ma perchè in fondo, quando la creatività si fonde con il divertimento, le sue dinamiche diventano infinite. In quanto alla “passera” non ti preoccupare… non ce la dimentichiamo.
      P.S. – Modena è una bellissima città con gente squisita, appena ci passo vengo a trovarti e ci facciamo una bevuta !!!

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  2. salve mi chiamo annalisa e volevo farlei miei complimenti . La sua descrizione dei cocktail e formidabile non ci sono parole 🙂 ho 40 e’ sono barman da molti anni …qualche volte ho dei dubbi. . Ma nel moyto ci vuole l’acqua tonica o sprite molti vogliono una o l’altra io sono andata nel pallone Grazie

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    • orrore… orrore… io sono un tradizionalista, ma nel “vero” Mojito (si scrive così) non ci va ne l’acqua tonica e neanche la Sprite ma, oltre allo zucchero di canna pestato delicatamente con della menta, del succo di lime e il ghiaccio tritato grossolanamente, va aggiunto soltanto del Rum bianco con una spruzzata di soda e volendo delle gocce di Angostura. Certo… così è più alcolico, ma la ricetta base è questa. Poi è anche vero che ultimamente è stato alleggerito e variato con le aggiunte che citaci tu, per accontentare le volubilità dei giovani d’oggi. Al limite se proprio vuoi mettigli la gassosa invece che la soda, ma per favore, l’acqua tonica no (!) il suo retrogusto diverrà troppo amarognolo per la bellezza, la poesia e il profumo di questo composto… e poi il gusto deve sempre essere perfetto: un’opera d’arte, come dico io !!! Se preferiscono il gusto dell’acqua tonica preparagli piuttosto un “Gin Tonic” così li fai contenti, ma il Mojito è il Mojito: uno degli alcolici più dissetanti che, con la presenza della menta, diventa anche nella sua semplicità, un piacere per gli occhi !!!

      Tra l’altro il tuo intervento mi ha fatto vedere che non ho ancora terminato le descrizioni dei cocktail con l’abbinamento delle categorie del mio blog, e sarà meglio che mi sbrighi a finire il tutto per completare la pagina, ma il tempo è sempre limitato e il lavoro e la famiglia sono impegni notevoli che assorbono energie. Se poi si aggiungono problematiche improvvise, il tutto diventa sempre più complicato. Comunque farò il possibile…

      Intanto ti saluto sperando di esserti stato d’aiuto e.. mi raccomando, niente tonica o Sprite, solo e soltanto Soda… una spruzzata a piacere…
      Ciao !!!

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  3. Ero proprio curioso di capire perché l’Americano é stato abbinato alle idee rubate.
    Curiosità soddisfatta. Diciamo che ci ero andato molto vicino.
    Il Negroni Sbagliato é il mio preferito. A volte proprio dagli errori nascono le cose migliori.
    Bel blog.

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    • Anch’io preferisco lo “Sbagliato”… in fondo, tante scoperte o meglio ancora, tante idee “artistiche”, sono nate dalle variazioni dell’ originale, ed è proprio l’errore a determinare il nostro destino, nel bene e nel male. Così, come ha già detto qualcuno, forza!!! continuiamo a farli… basta non ripetere quelli che hanno distorto la Storia.
      Ciao…

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  4. Impeccabile descrizione della composizione di un mojito perfetto, che poi è anche il mio cocktail preferito! anche se lo alterno con 8-9-16-21-32-36.
    E’ una gran bella idea quella della descrizione dei cocktail e dell’abbinamento alle categorie, allora aspetto di leggere la storia del mojito.
    Buona serata barman del club!
    Marilù

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  5. Pingback: THE CLEAN – Getaway – Sourtoe Cocktail Club

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