musica per cuori irrequieti

Arrabbiatevi pure, incazzatevi con chiunque vi viene a tiro: litigate, scatenatevi ma, gioite quando il ritmo della musica vi sconvolgerà l’anima, quando il volume inizierà a martellare per raggiungere un’estasi personale vicino all’apogeo di tutte le emozioni. Non ci sono numeri che stabiliscono il metro di giudizio per un cuore irrequieto ma, dischi personalismi, i quali, nella loro dimensione dall’alto tasso alcolico, emergono fra tutti proprio per accendere la miccia della vostra ribellione interiore, e non si fermano al semplice primo ascolto: continuano imperterriti fino a incendiare tutto ciò che vi gira intorno.

musica in pillole 2018 c

il viaggio continua…

Nine Inch Mails – Bad Witch


Nine Inch Nails – Bad Witch

Fondamentalmente questo lavoro chiude una trilogia di EP iniziata con Not The Actual Events del 2016, e poi proseguita con Add Violence del 2017, giusto il tempo per codificare un percorso sociopolitico americano che sta precipitando nell’ignoranza. Erano anni che non sentivamo Trent Reznor e i suoi comprimari sciolinare una creatività così compatta e abrasiva, la quale ricorda gli esordi underground degli anni ’90, quando le metafore del loro nome traducibile in “chiodi da 9 pollici” o “unghie da 9 pollici”, ricordava un ibrido fra la crocifissione di Gesù Cristo e la serie horror di Freddy  Krueger, anche se il logo del gruppo abbreviato in NIN, con la seconda N scritta specularmente al contrario, richiamava secondo il buddismo di Daishonin, il quinto di uno dei dieci mondi riferito allo stato di umanità. Insomma, tantissime interpretazioni così come le variabilità conseguenti della musica spigionata. E allora, come potremmo definire il loro sound: un drum’n’bass robotico contaminato da industrial harcore o un industrial metal-jazz  con influenze techno-spettrali? Come sempre le etichette servono per orientare un appassionato nei labirinti delle estensioni dispersive che oggigiorno hanno variegato il già inflazionato panorama musicale. A mio avviso il sound, una persona se lo deve sentire dentro e capirlo in base alle sue propensioni intellettuali, che vanno al di là del puro ascolto svagato, ma possono costruire vere e proprie opere artistiche. Questo disco rispecchia l’ansia di un futuro non sempre decifrabile, con un’ideologia della disperazione e della rabbia risollevato solo nel finale, in cui un accorato omaggio al David Bowie di “Blackstar” lascia anch’esso il dubbio se un’eventuale rinascita può essere possibile. Che dire? io avrei preferito condensare tutto il dettato scegliendo i pezzi migliori per fare un vero disco, invece che disperdersi in tre EP dal minutaggio smozzicato. Non importa, godiamoci le visioni di questa strega cattiva nella speranza che il falò dell’attuale e latente inquisizione non bruci tutta questa voglia di verità.
Surreale

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gin tonic

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Gin Tonic

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Ottone Pesante – Apocalypse

Ottone Pesante – Apocalypse

Francesco Bucci al trombone; Paolo Raineri alla tromba e Giuseppe Mondini alla batteria, formano questo italianissimi e inusuale trio, il quale si muove in una sorta di sperimentazione jazzcore o, come ribadiscono in molti: una band che suona metal con la tromba. Anche in questo caso, sigle di difficile collocamento, perché l’originalità programmatica è un’estetica o una ricerca che soltanto gli artisti in questione possono deliberare, un po’ come altri gruppi che propongono una miscela alternativa di metal senza chitarre tipo i romani Zu. Ma perché allora chiamarlo “metallo” quando non ci sono rimandi allegorici a elementi chimici solidi? Per dio! Usciamo da queste discussioni inutili e ricollochiamo lo stesso Dio, proprio in relazione all’apocalisse di quest’album: ostile, urticante, caotico, mesmerico, sulfureo e a volte anche irritante, volutamente aggiungo io, perché il giorno che si apriranno le porte dell’inferno saranno proprio le trombe ad annunciarci tale ecatombe. Eppure, se l’ultimo libro della Bibbia rimane ancora da decifrare pienamente, in riguardo al fatto che nessuno di noi può cambiare il nostro destino, allora, sarà il suono delle bombe a creare sibili devastanti. In questo caso quando questi ottoni arrivano a stridere nella loro ripetitività forsennata, deflagrante, allucinatoria, è perché non c’è scampo per tutti i nostri peccati, e il pentimento è o sarà quella solita invenzione per illudere le masse. Apocalittico?
…si è proprio il caso di ripeterlo.

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il peccato

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Il Nuovo Peccato

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Preoccupation – New Material

Preoccupation – New Material

Questi ragazzi canadesi provenienti da Calgary, dopo essere partiti chiamandosi
Viet Cong, hanno poi mutato il loro nome in questa “preoccupazione” ricorrente, quasi in maniera ironica, per via delle controversie e delle polemiche suscitate proprio con la scelta del  loro nome originario. D’altronde se dalle accuse di appropriazione culturale ne sono usciti dimostrando che volevano soltanto suonare, cos’altro aggiungere a questioni così sentite in America? Niente, perché se la loro musica è un’accorata riproposizione di quel post-punk o new wave con accenti dark di cui ancor oggi ne udiamo i suoi fortunati echi; lasciamoli nel loro seguito di applausi nonostante siano derivativi quanto basta. In fondo, se un insieme di nomi che vanno dai Joy Division ai Cure, dal Pop Group ai Wire, possono identificare una band arrivata furi tempo massimo, come potergli dare torto se risultano dannatamente convincenti? Quest’album composto con un lavoro di gruppo in perfetta solitudine, richiama proprio i sentimenti della distruzione e dell’inutilità, come se una continua riproposizione di ritmi ossessivi fosse il convincimento per un auto-sabotaggio. A volte i processi funzionano proprio al contrario: nati come partigiani contro l’imperialismo, non avendo più voglia di lottare, le conseguenze successive sono lo straniamento emotivo e l’incertezza se uscire o no dalla conseguente depressione.
Sicuri o insicuri?  Non lo sapremo mai.

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freeze fire

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Freeze Fire

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Fucked Up – Dose Your Dreams

Fucked Up – Dose Your Dreams

Da Calgary a Toronto, per inabissarsi nell’estrogenico punk con i lustrini addosso  di questa band ambiziosa, vista la loro propensione a creare delle vere e proprie opere-rock. Così come  i loro dischi precedenti, anche in questo si racconta una storia, e la vicenda narrata ripercorre la giornata di un impiegato appena licenziato, il quale, attraversa un mondo parallelo come un trip psichedelico per poi ritornare nella normalità, cercando di informare il mondo di quante possibilità abbiamo per liberarci di tutti i pesi della modernità ma, se un viaggio dantesco dall’inferno al paradiso, riproduce stereotipi e innovazioni cosa ci rimane da raccontare ai nipoti? Semplice: la musica! Un po’ com’era successo al Tommy degli Who,o al protagonista di The Lamb Lies Down On Broadway dei Genesis, per noi che mastichiamo note e note in progressione, il risultato finale è proprio il semplice ascolto, e in questo caso è talmente variegato da risultare positivo, per quanto appariscente. Parlare di psichedelia classicheggiate o di proto-hardcoreedulcorato pieno di ego sarebbe troppo facile in un progetto così complesso, perché c’è tutto un universo di arrangiamenti fra queste tracce, che la semplice partitura musicale non lo circoscrive. Bisogna ascoltare e giudicare, ascoltare e godere perché tutte le storie hanno una morale, e se questa fa venire le vertigini, poco importa. Sarà anche una sceneggiatura a fumetti, ma proprio per questo ci si diverte un sacco.
Multiforme… (e i supereroi dove sono finiti?)

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orgasmopomme

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Orgasmopomme

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Kingnomad – The Great Nothing

Kingnomad – The Great Nothing

Mi sono sempre chiesto perché i territori scandinavi del Nord-Europa sono un fulcro infinito di gruppi in cui, psichedelia, metale hard-rock stile anni ’70, hanno da sempre prosperato in maniera continua, quasi a ripetizione, così come questi ragazzi svedesi, i quali, si erano messi insieme per musicare le opere di Hovar P. Lovecraft. Evidentemente, i paesaggi notturni di queste latitudini evocano continuamente i riff che prima di loro, Black Sabbathe soci avevano preso come ispirazione. Eppure fra queste tracce emerge una pulizia del suono da sottolineare per la sua costruzione maniacale, creando la metamorfosi verso un progressive stile primi King Crimson. Io personalmente li accosterei ai norvegesi Ulver o ai connazionali Ghost, per quella propensione a creare atmosfere stoner-space classicheggianti, come in questo caso, dove  il Grande Nulla purtroppo non è un romanzo di James Ellroy, ma un viaggio nel tempo, in cui, l’avventura dei seventies appartiene a gli inguaribili nostalgici in cui niente  è cambiato, anzi, se tutto suona terribilmente vecchio sono più contenti. Volendo esagerare è come se i Beatles si fossero tramutati in Dragons. Tranquilli, non è uno scherzo di qualche mago burlone, ma qualcosa che esiste davvero.
Ma noi siamo scienza, non fantascienza…

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summer

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Summer

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David Eugene Edwards & Alexander Hacke – Risha

David Eugene Edwards & Alexander Hacke – Risha

Quando ho saputo che il predicatore pazzo del Colorado si era messo insieme a uno dei membri storici degli Einstürzende Neubauten, mi è venuto un brivido lungo la schiena, perché mi sono chiesto se questo progetto era uno stratagemma per rigenerare il sound dell’ex 16 Horsepower (poi Wovenhand), o un’idea originale del produttore di turno. Ascoltando questo album direi che siamo finiti in una terra di mezzo, dove sostanzialmente gli arrangiamenti del tedesco fanno da cornice agli epiteti dell’americano, come a dire: cambiamo tutto per non cambiare niente. Infatti, io che praticamente possiedo la discografia completa di David Edwards, queste tracce mi suonano un po’ ripetitive, ma per un neofita che non conosce questo artista figlio di un pastore protestante e di una nativa americana, può risultare interessante, per non dire, dannatamente curioso. Fondamentalmente, quando si mischiano degli arrangiamenti industrial con la miscela paranoide di un alternative-country, il risultato è un sermone fatto nei luoghi di un’archeologia moderna, tra fabbriche abbandonate e caseggiati dismessi.
Sporcatevi pure la faccia, gli indiani metropolitani sono tornati.

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red-stinger

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Red Stinger

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Hyro The Hero – Flagged Channel

Hyro The Hero – Flagged Channel

Questa dinamitarda miscela di hip hop / heavy-rock & post-hardcore è la risposta migliore per qualsiasi propaganda legata al rap sdolcinato come attualità della musica, con il conseguente smidollamento di un’intera generazione di giovani. Provate invece ad avvicinarvi alla vera rabbia degli afroamericani, nei ghetti in cui esistono le “dosi” letali di una poesia urlata a squarciagola insieme alle batterie e alle chitarre che tagliano l’aria prima della gola. La Storia ci ha sempre insegnato che i semi migliori, germogliano proprio dove la terra è predisposta per un certo clima, e non dove è piena di fertilizzanti artificiali. Hyron Fenton ritorna sulle scene con un album al fulmicotone pieno di ritmi infernali accelerati come un treno in corsa. Tutti i pezzi sono bombe che esplodono in continuazione: mine sradicate dai campi della morte e infilate nelle bocche odiate di tutti i nemici della verità. Non c’è scampo, per nessuno: parole e chitarre mitragliano a ripetizione, sempre in continua accelerazione, con un volume pazzesco. Non chiedetemi cosa dice, lo potete immaginare, vista la situazione attuale degli States, ma in questo caso non esiste la solita voglia di sputare sopra una società di plastica, perché la costruzione musicale segue un tessuto sonoro perfetto senza nessuna sbavatura dovuta alla voglia di strafare, e si rimane stupiti per come ogni arrangiamento si avvita intorno a questi testi con una sinergia d’intenti veramente entusiasmante. Rap e rock non sono mai stati così vicini. Non avete scampo.

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pure adrenalin

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Pure Adrenalin

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A Place To Bury Strangers – Pinned

A Place To Bury Strangers – Pinned

Una delle migliori band di culto che sta infiammando le notti newyorkesi, è proprio questo trio formidabile composto da Oliver Ackermann alla chitarra, Dion Lunadon al basso e Lia Simone Braswell alla batteria. La loro tempesta perfetta consiste nel coniugare in un unico verbo post-punkshoegazee un noise dalle sfumatura industrial, come se le loro memorabili performance dal vivo, diventassero dei sulfurei sabba dove far convivere dj-set dalla conseguenza tribale, con le armonie di un pop dissacrato. Ma se la new-entry della batterista ha caratterizzato in maniera diversa il sound, giocando con i controcanti femminili e creando un’atmosfera dark a tutto il lavoro, si potrebbe affermare che questo album è probabilmente il più quieto del terzetto, o il più dolce se vogliamo, anche se la parola zuccherata in questo caso ha sempre un retrogusto con il sapore di veleno, bevuto nel pieno della notte. Potrebbe anche essere una pausa di riflessione che il significato del titolo si traduce nel memorizzare, inchiodare, appuntare un’idea per capire quale dev’essere la direzione giusta. Non lo so, già il particolare nome che si sono dati, può essere interpretato con diverse metafore, tanto per confondere la scena del delitto. In fondo, se le ombre dei My Bloody Valentine accoppiati ai Bauhaus, fanno da scenografia al palcoscenico dei nostri protagonisti, alla fine della rappresentazione la finzione sarà dannatamente reale.
Claustrofobico.

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black bitter

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Black Bitter

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Long Distance Calling – Boundless

Long Distance Calling – Boundless

La Germania è una terra dove la molteplicità dei suoni di un certo respiro, tra kraut, heavy-rock, psichedelia, hanno da sempre soffiato fra qualità, avanguardia e tradizione, alternando ogni tipo di proposta, sia per i nostalgici e sia per i particolari. Questo sesto album della band teutonica si pone a distanza fra tutti i generi elencati, perché se la sua origine aveva le radici in un post-rock per niente complicato, via via si è fatto strada un suono più metallico e molto edulcorato con influenze stile Pink Floyd. Io personalmente preferisco delle attitudini più creative, ma devo riconoscere che per un pubblico  con esigenze minime, queste suite saranno sicuramente accettate per la serenità che esprimono, visto che le esigenze musicali, spesso sono anche di puro intrattenimento, e in questo caso ci riescono pienamente. Gustoso.

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aperol spritz

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Aperol Sritz

 

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Angelo Badalamenti & David Lynch - Thought Gang

Angelo Badalamenti & David Lynch – Thought Gang

Finalmente viene pubblicata per intero, la suite che il musicista italiano aveva composto insieme al noto regista, non tanto per una partitura da utilizzare come colonna sonora, ma per un progetto dai risvolti artistici. Poi, forse insoddisfatti, scelsero delle partiture e le distribuirono in successivi film, come “Fuoco cammina con me” e “Mulholland Drive”; mentre altre tracce le utilizzarono per la riedizione di “Twin Peaks”. Sostanzialmente quest’opera si struttura tra un free-jazz sperimentale e tecniche particolareggiate che  utilizzano   noisescapes insieme allo slow cool tipico di Badalamenti. Tra l’altro il continuo utilizzo dello spoken word come partitura parlata da sovrapporre ai vari passaggi ritmici, si amalgama insieme all’iperdistillazione di una visualizzazione blues che sta poi alla base dell’ispirazione. Non è casuale che sembra di risentire le celeberrime registrazioni sul campo, per poi essere alterate da una continua serie di sovraincisioni e contaminazioni tra le voci e gli strumenti. Il risultato è senz’altro interessante ma di fatto, è puramente funzionale proprio per accompagnamento a delle immagini, perché l’ascolto puro è molto impegnativo e richiede un’attenzione e uno sforzo particolare. È chiaro che se vuoi mettere insieme una gang del pensiero, non puoi che scorrazzare fra le periferie del cervello, dove la parte oscura prende il sopravvento senza lasciare scampo. Inquietante.

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ron

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Ron

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Lonnie Holley Mith

Lonnie Holley – MITH 

Descrivere in dieci righe la carriera di questo artista di culto non è un’impresa facile, soprattutto pensando alle tragedie che hanno accompagnato la sua vita. Afroamericano, nato in Alabama nel 1950, sesto figlio su ventisette di una famiglia poverissima, sopravvissuto a un incidente d’auto, con una lunghissima serie di altre traversie, compreso quella di aver visto morire due sue nipotine in un incendio. Ma come si sa l’arte salva la vita e la rigenera, la ripropone sotto un’altra forma, proprio come un’opera dove convergono la gioia e il dolore, l’angoscia e la catarsi . Certo, descriversi all’interno di un’esistenza così complessa non è facile ma, il punto è proprio questo, se non ci sono interferenze legate al marketing, il processo creativo è libero di proporre l’espressività come un dipinto (Lonnie è anche un pittore e scultore apprezzato) diventando complesso e toccante al tempo stesso. Come si fa a non dimenticare quando ancora bambino si è stati rapiti e venduti come moneta di scambio per pagare una prostituta, che poi a sua volta lo rivende per una bottiglia di whisky, e poi ancora si è sottomessi e abusati, fra campi di schiavi e riformatori. Come si fa. Non è una questione legata all’esaltazione di un romanticismo costruito intorno ad un’esistenza vissuta sempre ai margini per generare un narcisismo del dolore. È dolore vero, punto. La conseguenza è una drammaturgia ottemperata seguendo un codice tutto suo, come se un flusso di coscienza continuo, si rivolgesse alla propria anima riversata sopra strumenti recuperati nelle discariche. Lo ha detto anche un cantautore di casa nostra: “dal letame nascono i fiori”. Ecco che le sue performance diventano oggetto di attenzioni, fino a essere tradotte in album stranissimi, impossibili da catalogare. Chiamarlo soul-jazz è solo un esercizio di stile, perché la realtà dei fatti è un lirismo straniante e coraggioso al tempo stesso. È come ascoltare la poesia ininterrotta del portoricano Jorge Brandon insieme a quella di Gil Scott-Heron, in cui intervengono le visioni di Sun Ra cantate alla maniera di un Tom Waits con una voce dannatamente funzionale da diventare bellissima, per quanto straziante. Blues primordiale che non vuole solamente soffermarsi nelle terre di nessuno, ma partire dal suo vissuto per ampliarsi intorno a soggetti più che mai attuali, tipo il Black Lives Matter o l’opposizione dei Sioux alla costruzione del Dakota Access nella riserva di Standing Rock. Insomma, temi politici per temi attuali per poi rivisitare i labirinti da cui è sfuggito, fino a rigenerarli in afflati cosmici rinchiusi in una stanza in mezzo alla spazzatura. Non c’è nient’altro da dire, altrimenti la scrittura non si fermerebbe più, ingoiata da questo impossibile cortocircuito musicale, dove anche le parole più semplici si troverebbero a disagio.
Spiazzante.

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number five

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Number Six

 

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musica per cuori irrequieti-7

La musica riconcilia gli animi e riporta la quiete dopo la tempesta. La musica può essere fuoco e furore, gioia e calore, poesia. Qualcuno ha detto che aiuta a non sentire dentro il silenzio che c’è fuori, ma io aggiungo che traduce i rumori della vita in suoni meravigliosi. Qualcun’altro ha affermato che ciò che non si può dire e ciò che non si può tacere, la musica lo esprime. In fondo, se le nostre giornate sono sempre un agglomerato di stress che ci consumano quotidianamente, balliamoci sopra e accendiamo il ritmo di una vita sempre in movimento. Basta un attimo per buttarsi dentro al fuoco di una ribellione eccezionale.

cocktail di fuoco

A proposito, dimenticavo…
un brindisi per tutti
!!!

il Barman del Club

cocktail di fuoco-2

 

23 Comments on “PILLOLE DI SALAME – musica per cuori irrequieti

  1. Mannaggia mannaggia a Te!
    Non ti devo più seguire… no no invece si! Molti nomi li conosco e mi sa che devo fare acquisti… però il signor Eugene con herr Hacke lo già preso all’uscita ed è nella mia “non classifica “ di fine anno!
    Sempre musica! Alla salute!

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  2. ” per raggiungere un’estasi personale vicino all’apogeo di tutte le emozioni”
    l

    Se poi alla fine mi vien servito un
    orgasmo(pomme) io dovrei declinare perché dopo questi suggerimenti a Roma verrebbe da dire: “Ho già dato”.

    Barman sei unico (in che senso fai tu).

    sherallasalutementrefuoridiluviaviavieniviacpnme 🎵🎵🎵

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  3. Pingback: I MIGLIORI DISCHI DEL 2018 per il Sourtoe Cocktail Club – Sourtoe Cocktail Club

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