ai poeti non si spara
In questo libro interessante edito da Manni, è raccolta gran parte dell’opera teatrale di Luigi Malerba (all’anagrafe Luigi Bonardi), scrittore, sceneggiatore, giornalista, è stato uno dei più importanti rappresentanti della storia culturale del secondo ‘900. Nato a Berceto in provincia di Parma nel ’27,  si trasferirà poi a Roma nel ’50 dove ci rimarrà fino al 2008, anno della sua morte. Le sue opere sono state tradotte e rappresentate in tutto il mondo e i suoi radiodrammi hanno avuto molto successo, soprattutto in nordeuropa. Non è casuale che in questa raccolta si siano scelte proprio quelle pièces  teatrali e quegli scritti per la radio in cui, la brevità dell’azione, la scarnificazione della scena, la sintesi dell’insieme, raffigurano pienamente la figura del suo autore, sempre alla ricerca di quel rapporto stretto con le parole dei suoi protagonisti, incentrato prima, nei loro dialoghi scorrevoli e poi, nell’ambiguità di fondo racchiuso nei contenuti delle loro frasi, dove emerge tutto il grottesco, il nulla e il vuoto insito nella quotidianità in cui si sta incanalando la nostra specie. Una sorta di cerimonia dell’assenza, soprattutto culturale, la quale circonda un mondo sempre più distratto e inconcludente, in cui l’autore si inserisce con la sua sottile ironia, a tratti nascosta e in altri momenti esilarante. Bellissima per esempio è la pièce “Babele” dove, due personaggi: marito e moglie, pur dialogando fra di loro per esigenze di scena, non riescono a scrivere una frase di senso compiuto, che poi in fondo deve essere una frase normale, semplice, di uso comune, eppure non ci riescono, nonostante fra di loro usino continuamente delle frasi. Altro esempio è “Qualcosa di grave” dove due attori, rivolgendosi al pubblico, cercano disperatamente una battuta per continuare il loro spettacolo, una battuta soltanto, ma necessaria per continuare. Oppure “Ossido di carbonio” in cui, una coppia, attraverso un dialogo isterico e irritante all’interno di un’automobile, che sfocerà poi in una lite, crea una tensione tale da farli coinvolgere fino al punto dove, dentro una galleria  e per cause non meglio identificate,  costretti a fermarsi, non si accorgeranno di morire per le esalazioni dei gas delle altre automobili. Oppure ancora “Ai poeti non si spara” (che da il titolo a questo libro), dove leggiamo della lotta impari di un dirigente d’azienda con un cervello elettronico di ultima generazione: una competitività drammatica la quale diventerà disperazione, quando, oltre alla superiorità della macchina nello svolgimento delle normali funzioni lavorative, questa dimostrerà di essere più brava di Lui nel comporre poesie; situazione surreale e inconcepibile per chi ritiene che almeno nei sentimenti l’uomo sia migliore, ma ne siamo sicuri al cento per cento ?  Ebbene, tutto viene giostrato dentro a queste ambiguità e a queste impasse creative in cui l’uomo spesso viene ingoiato, relegandolo al dilemma delle nostre capacità mentali e alle nostre derive, tutto il significato e il fine della sua scrittura: la lingua e il linguaggio, corpo e ossessione della nostra vita, genesi e morte delle nostre pulsioni. Tutto nasce dalla “parola”, e dalla parola stessa nasce il mistero della nostra evoluzione e della nostra intelligenza: perdere questo dono equivale a perdere la nostra storia e la nostra vita, così come dentro alla parola nasce la vita dello scrittore: analista e narratore di noi stessi, cantastorie divertente e divertito dello spaesamento inteso come normalità apparente. Tutto è calmo all’inizio, soltanto all’inizio, prima della tempesta linguistica che travolgerà un ipotetico lettore e poi, di riflesso, tutta l’umanità, perché perdere la parola è come perdere noi stessi.

un solo colpo
da “Babele”

Anselmo – Senti,  facciamo conto che tu sei A e io sono B.
Lucilla     – Ti prego, non sei mai riuscito a risolvere le equazioni.
Anselmo – Posso farmi aiutare da qualcuno.
Lucilla    – Devi cercarti di servirti delle parole, tesoro.
Anselmo – Le parole, d’accordo. Ma quali? Devo trovare le parole giuste, per poterle usare… e quando le ho trovate è difficile metterle in fila, ordinarle secondo quello strano concetto di cui purtroppo ci sfugge il significato e che gli antichi chiamavano logica…
Lucilla    – Sarà un’impresa memorabile, si parlerà di te in tutto il mondo.
Anselmo – I numeri hanno il vantaggio di essere infiniti, e esatti, ogni numero ha un valore preciso…
Lucilla   – Ma nessuno è mai riuscito a parlare con i numeri, e poi, tesoro, hai promesso di dirmi una frase.
Anselmo – Una frase, ma ti rendi conto che cosa ci vuole per costruire una frase? Per costruire una frase ci vuole il soggetto, il verbo, il complemento oggetto, e poi aggettivi, avverbi, articoli… è una pazzia, Lucilla.
Lucilla    – Io voglio una frase, una bella frase costruita bene, piena di logica e di poesia, come gli uomini dicevano alle donne dell’antichità.
Anselmo – Ormai si è perso il segreto della composizione, ho paura che sia un’impresa disperata.
Lucilla   – Pare che un tempo gli uomini costruissero le frasi anche camminando per la strada, mangiando, senza pensarci prima, con abilità diabolica.
Anselmo – Gli antichi conoscevano a menadito tutti i segreti della grammatica, della sintassi, della logica.
Lucilla    – Allora vuoi rinunciare, dopo aver studiato tante parole?
Anselmo – Avevo una sorpresa per te…
Lucilla    – Che cos’è?
Anselmo – Un violino, cioè uno strumento musicale, Pare che con questo certi uomini esprimessero meglio che con le parole i loro sentimenti. Ho fatto lavorare una squadra di tecnici quasi un anno per costruirlo… Lucilla, voglio fare un tentativo con il violino!
Lucilla    – Uffah!
Anselmo – Fammi fare un tentativo, ti prego. (…)  Ti pace? Si tratta di musica, di una frase musicale.
Lucilla    – Anselmo, questa è una forma di vigliaccheria! Devi affrontare la situazione, una buona volta. Non puoi pretendere, con la musica… è bella, d’accordo, ma siamo sempre sullo stesso piano dei numeri, le parole sono un’altra cosa.
Anselmo – Intanto vorrei riuscire a creare un precedente, non importa come. Poi si tratterà di ragionarci sopra, di spiegarlo, di approfondirlo.
Lucilla    – Così non combinerai  niente, Io ho bisogno di sentirti dire una frase completa, una cosa che abbia un significato preciso, logico, impegnativo. Tu dirai che sono viziata; puoi dire quello che ti pare, ormai mi hai fatto una promessa e devi mantenerla.
Anselmo –  (mette via il violino)
Lucilla    – Non devi perderti di coraggio. Miliardi di uomini hanno parlato con le parole, con le frasi. Le parole esistono apposta per questo, perciò le hanno inventate. Le hanno usate gli scrittori, i poeto,  gli oratori, persino la gente qualsiasi e con grande disinvoltura.
Anselmo – Erano altri tempi, tutto era organizzato in altro modo.
Lucilla   – Forza Anselmo!
Anselmo – Proviamo, ma lo so che è inutile… è come tentare di richiamare in vita il cinematografo, di scoprire il mistero dei juke-box, l’enigma dei supermarkets…  sappiamo quasi tutto in teoria, ma ci sfugge il segreto delle combinazioni. Come puoi sperare che riesca a costruire una frase intera? Ti assicuro che è follia.
Lucilla    – Si sono costruite le cattedrali, tesoro,  e tu non vuoi riuscire a costruire una frase? Ho sentito dire che uno studioso è riuscito a creare il laboratorio un piccolo mattone. Con i mattoni si sono costruite proprio le cattedrali…
Anselmo – Posso ancora fare un tentativo, ma devi aiutarmi, si tratta di cominciare da zero.
Lucilla    – Non dire zero, lascia stare i numeri.
Anselmo – Allora adesso comincio… tu prendi appunti.
Lucilla    – (prende un taccuino)
Anselmo – Io…      Beh, che te ne pare?

(…)

beatrice speranzaFoto di Beatrice Speranza

Non dobbiamo perdere il nostro sapere, e Luigi Malerba ce lo insegna con l’ironia di chi, protagonista della storia culturale del nostro paese, ha vissuto il decadimento della nostra lingua e di riflesso, della nostra intelligenza.

8 Comments on “AI POETI NON SI SPARA di Luigi Malerba

  1. A me sembra di ricordare di avere visto Babele al teatro Vascello di Roma. Ma conosco Malerba sopratutto per ‘Itaca per sempre’ dove analizza (per primo) il pentimento di Penelope e questo non poteva sfuggire a mia madre che me lo indicò.
    sheramainsommastaibene?

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    • la bravura di Malerba era proprio questa: dare ai personaggi, come per esempio “Itaca per sempre”, una dimensione introspettiva più completa e, soprattutto diversa dalle consuetudini conosciute. Bel romanzo, sicuramente…

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