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Viviamo in un mondo dove le sorprese sono sempre dietro l’angolo, e spesso, non ci rendiamo conto se il nostro vicino è una brava persona o un assassino seriale, o forse, sto guardando troppa televisione piena di omicidi e di risvolti noir. Per fortuna che l’horror non è il mio genere, altrimenti con questa inflazione di film sempre densi di immagini splatter la situazione peggiorerebbe. E allora perché vanno di moda questi generi? Forse perché le aspettative del pubblico si concentrano sopra un’ora di ansia esasperata, per poi sincerarsi di essere protetti dalle mura della propria casa. In fondo, chi di noi non ha provato una certa tensione variabile fra l’eccitazione e lo sbigottimento, quando trasmettono in diretta riprese che registrano una catastrofe? E quando seduti tranquillamente sul nostro divano guardiamo morbosamente una morte in diretta sicuri che a noi non capiterà mai…. Un momento, stanno suonando alla mia porta, ma chi mi cerca a quest’ora della notte?

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Anche la musica non è immune ad atmosfere che acuiscono il momento di emozioni prossime al delirio, o alla tensione, o proprio alla paura, in una sorta di passaggio medianico fra un mondo e l’altro. E giusto per non farci mancare niente, entriamo nelle stanze buie di un 2019 oscuro e inquietante… Buon ascolto (!)

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billie eilish when we all fall asleep where do we go

BILLIE ELISH
“When We All Fall Asleep, Where Do We Go?”

Quando ci addormentiamo, dove andiamo? Si domanda questa diciassettenne che esordisce con un album originale, dove convivono incubi e paure insieme a un pop minimale, dark e sfuggente, a volte istrionico e autoreferenziale, visionario, perduto nelle visioni cinematografiche di una ragazzina di quell’età, la quale mette in evidenza un mondo immaginifico tipicamente adolescenziale, ma che si paragona con il mondo degli adulti attraverso un lavoro di produzione notevole. Non è casuale che questo disco è stato preceduto da ben quattro singoli, di cui vi lascio i link, con altrettanti video. Evidentemente, il successo strepitoso ottenuto nei suoi live, viene ricambiato con un credito che il tempo ci saprà dire se veritiero. Intanto l’apparato a volte spettrale e a volte grottesco, si contorce nella trama tipicamente horror, come se il valore del quotidiano si mischiasse con il mondo notturno dove può succedere di tutto, e proprio per questo ci spaventa. Tanto poi, al risveglio, non ci ricorderemo più niente, o no?
Surreale (!)

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exotherm exits into a corridor

EXOTHERM
“Exits Into A Corridor”

Rune Nergaard è un bassista norvegese, il quale ha da sempre sperimentato una forma moderna di jazz, divagando attraverso atmosfere noise, fra rock, fusion, psichedelia e improvvisazione. Circondato da un gruppo notevole di compagni d’avventura, riescono a sfoderare una manciata di pezzi veramente coinvolgenti, dove le trame sonore, potrebbero si giganteggiare in un film del terrore, ma che si ritagliano il giusto spazio narrativo con una performance da brividi. E non è la paura a sviscerare dal sottosuolo tutte le incursioni di un eventuale risveglio dei morti viventi nella nostra mente, ma la realtà di un paesaggio alterato vicino alla distruzione. Quello che poi stupisce, è come una sperimentazione così provocatoria, riesce a generare una perfezione la quale ricostruisce tutte le forme dell’estetica, riuscendo a trasformare le origini del caos in un perfetto esempio di equilibrio, fra il bene e il male. Ma questa è la vita, e questo è un grandissimo album. Sorprendente (!)

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girl band the talkies

GIRL BAND
“The Talkies”

Dopo cinque anni di assenza, dopo l’acclamato “Holding Hands With Jamie”,  questi ragazzi di Dublino, finalmente pubblicano un album lacerato e sconvolgente, dalla teatralità complessa e malata, dove si percepisce una vampata di rabbia tracciata come una lunga ferita. Punk, noise, industrial e avanguardia, sono le caratteristiche di un delirio schizoide il quale vuole rendere la loro musica un elemento in cui specchiare tutte le nostre paure, per essere parte dei crolli nervosi di cui ha sofferto il loro leader, ma che per esteso vogliono coinvolgere l’itera società come complice del disagio. Non c’è modo di reagire se non nella maniera più disperata distruggendo voce e chitarre, elevando il climax dentro un uragano distorto pieno di frustrazione. L’amarezza emerge e viene superata con una catarsi provocata dal furore di una reazione violenta e distopica, dove tutto il palcoscenico si eleva intorno all’esibizione e alla reiterata raffigurazione di una sconfitta in cui tutti siamo patetici fino all’inverosimile.
Devastato (!)

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hibushibire turn on tune in freak out

HIBUSHIBIRE
“Turn On Tune In Freak Out”

Questi sono tre giapponesi decisamente pazzoidi, i quali, nati da una venerazione per Jimi Hendrix e gruppi storici come i Deep Purple, cercano di rielaborare queste sonorità hard-rock, con incursioni distrutte da una deriva fuzz-core dall’impronta lisergica, senza preoccuparsi di sentirsi derivativi. Vogliono essere così, punto!  Quello che conta è l’esuberanza straripante che li rappresenta, all’interno di una bolgia esplosiva ed emotiva nello stesso tempo, dove tutto è il contrario di tutto, completamente sotterrati dalle distorsioni. Ogni tanto, qua e là, riescono a sperimentare delle soluzioni nuove, ma il loro retroterra è talmente appassionato che non possono sfuggire al passato della loro anima. E così, nel tentativo di resuscitare Lazzaro, ogni formula ideata per una nuova vita, risulta sempre un tentativo a metà fra il virtuosismo e il pasticcio sonoro, eppure, l’insistenza di approdare nelle terre dell’eterno respiro, diventa l’ennesima incursione nelle lande dell’inferno, senza paura di attraversarle. D’altronde, come ci ricordano: basta accendere gli amplificatori, per il resto, chissenefrega. Delirante (!)

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jesus the snake blabk acid pink rain

JESUS THE SNAKE
“Black Acid, Pink Rain”

Ora spostiamoci in Portogallo per conoscere questa formazione dall’impianto tipicamente pinkfloydiano, dove le derive space-rock o psych-kraut sono talmente evidenti da ricondurci dentro un continuo flusso di coscienza, insieme al magma sonoro che ci coinvolge. Quello che colpisce è il perfetto equilibrio delle geometrie, le quali non si lasciano mai andare verso un delirio improvvisato per l’occasione, ma riemergono precise intorno al nucleo che le ha generate. Anche perché dopo tanta disperazione avevamo bisogno di un po’ di luce per rigenerarci nello spirito e nella mente. In fondo, quando si squarciano le tenebre per cercare di stringere il sole come un cuore pulsante, tutto quello che rimane è una lunga scia di calore dentro noi stessi, perché proprio a questo calore dobbiamo appartenere, e una volta che siamo dentro, non ne usciremo più. Perfetto (!)

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Che dire quando un individuo ha una doppia personalità?  Ci sono interi trattati psicologici sulla nostra metà oscura e su come riusciamo a dominarla, e proprio per questo non voglio scomodare il tanto decantato abisso: non è questo il caso, non è questo il momento, proprio perché preferisco viaggiare sull’ironia, e non sulla realtà. Lascio che siano i musicisti ad esprimere le loro ossessioni e il loro disagio asfissiati dalla modernità, oppure, calati nella dimensione perfetta del professionista che si diverte a fare musica. D’altronde se il colmo per un serial-killer è fare un lavoro massacrante, perché non divertirsi sfogandosi con una chitarra elettrica?

 

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lingua ignota caligula

LINGUA IGNOTA
“Caligula”

Kristin Hayter, americana del Rhode Island, ha scelto questo nome artistico, giusto per calarsi nelle atmosfere di un industrial-gotico molto teatrale, coniugando un estremismo sperimentale vicino alla pazzia, riconducibile a quel “Plague Mass” di Diamanda Galas, fino a superarlo, estremizzando una forma d’arte volutamente rituale, ossessiva, mesmerica. D’altronde, se le violenze subite nel corso della sua vita, fra depravazione e nichilismi domestici, conducono e vestono la vita con l’abito della follia, non rimane che sfogarsi con l’espressività eccessiva offerta da una forma musicale completa, dove convergono tutte le spirali del dolore, pronte ad essere esorcizzate. Questo album va visto come un’opera che s’inoltra nelle viscere del peccato, ma che alla fine le supera con un’esasperato comportamento da sanguisuga, succhiando e trasudando dark-wave, black-metal, lirica e musica sacra fino all’esaurimento di lei stessa, sprofondando in un folk-blasfemo il quale inghiotte anche le derive sataniste come un sacrificio impossibile da fermare. Ma se la “Lingua Ignota” era un alfabeto mistico creato da una badessa medioevale conosciuta con l’appellativo di Sant’Ildegarda di Bingen: esorcista, filosofa, esoterica, compositrice e visionaria fino all’estensione della parola come trasmissione e comunicazione del divino, formulando la “musica dell’inaudito”, allora, il paragone che questa interprete statunitense ha cercato fin dall’inizio, oltre a una trascendenza che riformula le stesse concezioni del bene e del male, è proprio l’aberrazione della violenza subita dalle donne e del linguaggio utilizzato per denunciarla. Non c’è modo per ascoltare questa liturgia, bisogna immergersi nel liquido amniotico della propria nascita e meditare sul concetto stesso di madre, padre e figlio, e poi venire alla luce. Apocalittico (!)

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IGGY POP
“Free”

Iggy è sostanzialmente un sopravvissuto, uno di quei personaggi unici nel suo genere, il quale ha passato tutte le epoche del rock stando da tutte le parti dei suoi aggettivi: partecipe, protagonista, egocentrico, sbruffone, sincero, sconfitto, resuscitato, ancora vivo. Rimane a tutti gli effetti uno dei vecchi leoni in circolazione, e giustamente non ha continuato alla proliferazione della sua caricatura, ma ha cercato una dimensione più consona alle sue caratteristiche attuali, già cercata nel precedente “Post Pop Depression”, magari non eccezionale, però foriero di questo successivo capitolo completamente riuscito. Sostanzialmente, le dinamiche riconducibili a un cantautorato jazzato con tutte le divagazioni del caso, riescono a modulare il valore poetico che un uomo della sua età, con tutti i suoi trascorsi, può narrare come una forma di cultura orale a chi verrà dopo di lui, che siano i nipoti o i figli degli anni duemila. E non importa se l’immagine di copertina lo vuole libero di ritornare nell’acqua che lo ha generato, il suo messaggio è rimasto scritto nelle liriche della sua vita, e il mondo è pronto ad accoglierlo di nuovo. Non so se bussando alla vostra porta vi spaventerete nel vederlo… io gli pagherei subito da bere. Accattivante (!)

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mai mai mai nel sud

MAI MAI MAI
“Nel Sud”

Toni Cutrone è un musicista e ricercatore antropologico, e questo suo ultimo progetto è un viaggio ancestrale nel sud di un’Italia occulta, ancora racchiuse nelle pratiche di un retroterra contadino legate a una forma di sciamanesimo nostrano, radicato nei luoghi dove l’isolamento contribuisce a rendere la vita complessa e difficile, e proprio per questo, le ritualità pagane sposatesi con una forma di religione accondiscendente hanno fatto sempre parte della quotidianità. L’espressionismo noise di quest’album, è un mantra ripetitivo e ossessivo che confonde il cervello, mandandolo gradualmente verso una forma di trance, creando nell’ascoltatore un’idea di fastidio e d’irritazione, come se tutto il territorio analizzato fosse impossibile da capire. Eppure ci dovremmo stupire della vulnerabilità di ogni popolo, che sia il nostro o di qualsiasi altra parte del globo, e di come ci si lascia influenzare da un mondo magico che ci circonda, apparentemente. Forse era il caso di coniugare in maniera maggiore anche la tradizione folkloristica della nostra penisola, giusto per dare all’album anche un valore musicale, ma tant’è, accettiamo il punto di vista dell’artista e lasciamoci il malocchio alle spalle.
Opprimente (!)

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satorinaut - a micro trip from the studio to outer spaces and beyond

SATORINAUT
“A Micro Trip From The Studio To Outer Spaces And Beyond”

Questo superband di Budapest, che raggruppa membri dei Korgoth, dei Lemurian Folk Song e dei Liquidacid; partecipe di una scena ungherese sempre in ebollizione, sfodera una jam di studio dall’impatto forsennato, provocando un sussulto psichedelico e asfissiante nella sua evoluzione lisergica. È incredibile come questo genere musicale continui a sfoderare gruppo di appassionati e una serie di musicisti che portano avanti una ricerca sincera e in continuo fermento, anche se circoscritta in un’area che dalla Norvegia passa per Svezia, Danimarca e Germania, per poi virare fino alla Russia più fredda. Evidentemente, le tradizioni nordiche sono sempre immerse nel calderone di un suono che trascende le loro terre, fino a superare l’impatto vitreo di un freddo presente in ogni latitudine, come quelle dove vivono per poi esaltarsi nella dimensione e pazzoide della musica. In questo caso siamo testimoni di una cavalcata senza freni, invasata, schizoide, sopra le righe; in cui una forma di filosofia vicina all’idealizzazione della bellezza, si configura proprio nell’eseguire una suite senza fine e fuggire con essa. Interminabile (!)

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ultima radio dusk city

ULTIMA RADIO
“Dusk City”

Concludiamo questo giro particolare con una band austriaca proveniente da Graz, perfettamente inserita in un circuito intelligente, dove la reinterpretazione attuale di un sound alla Nirvana, ha prodotto un concept-album inserito nelle problematiche della città, sviscerandola fin nei suoi luoghi più oscuri: l’identità, la delusione, i rifiuti, lo spreco di risorse, l’anonimato, l’annientamento e la consapevolezza di aver raggiunto il punto di non ritorno. Tutto questo a suon di chitarre e di ritmiche violente, come nella miglior tradizione del rock’n’roll e, badate bene, tutto questo che a prima vista sembrerebbe banale, è proprio alla base del fare musica e del sentirsi parte di questo mondo. Non importa se abitiamo nelle tundre della Siberia, nei deserti australiani o fra le nebbie della pianura Padana, quando ci si sente dentro l’anima del rock, la nostra vita acquisterà quella valenza necessaria per esaltarla come si dovrebbe fare sempre, e questi ragazzi lo fanno nel migliore dei modi. Eccitante (!)

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Non spaventatevi, ognuno ha il suo modo di usare una sega elettrica, magari credendo che sia una chitarra, proprio perché il suono dev’essere distorto al massimo possibile. State soltanto attenti di non porgergli un braccio, altrimenti lo scambierà per un elemento per acuire un feedback, mentre le vostre urla diventeranno l’effetto Larsen ideale per un concerto. Ognuno ha il suo modo di suonare, e ognuno di noi sceglierà quello più vicino alle sue emozioni, o a quelle che vorrà provare in quel preciso momento. Io intanto ho sprangato la mia porta di casa, non si sa mai…
Salute ragazzi !

il Barman del Club

15 Comments on “PILLOLE DI SALAME – musica per vicini pericolosi

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