luigi besana-l'erba sogna il cielo

“L’erba sogna il cielo” del canturino Luigi Besana, della Edizioni Convalle, è una silloge poetica la quale racchiude tutto il pensiero lirico di quest’autore schivo, ma ricchissimo di emozioni, e sono proprio le emozioni che conducono il suo versificare, spesso introverso, spesso notturno, spesso solitario, spesso sofferto ma sempre intensamente forte, vivo, autenticamente vero e sempre circoscritto intorno alla sua intimità.

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Apparentemente, dentro a una spiccata sincerità emergono  tutta una serie di immagini straordinariamente efficaci, le quali accompagnano una lettura emozionante intorno a un’ipotetica “Lei”, a volte misteriosa, a volte immaginifica e sempre a metà fra lo svelarsi o il rimanere enigmatica. In realtà tutto ruota intorno al ruolo della “poesia” in senso lato, come se una sirena incantatrice abbia frastornato l’autore, fino a giostrare tutto il suo pensiero e la sua creatività. Poi, potrebbero esserci delle reminiscenze legate alla vita quotidiana, ma l’essenza stessa dello scrivere prende il sopravvento, fino a figurare nella pagina la sua condizione di poeta e la sua voglia di immergersi in esso, completamente.

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Calvario

Non ti dedico versi
le poesie le scrivono i poeti.

Io trascrivo parole
che vagano nel buio tunnel del mio corpo
come fari accesi.
Nel sonno molestato da offuscamenti
metafore del mio disagio mentale
dove ogni cosa animata prende forma di donna.

Io credo il tuo nome la mia casa
non so altro.

Scrivo parole che mi somigliano
e m’inchino ai poeti che conoscono l’ineffabile.
Queste non sono vere parole
sono brani di pelle di una veritas alla gola
un grido contro il metallo del cielo.

Il calvario infiammato
che cerca in te
l’ombra sempre sfuggente di Dio.

 
Corpo abrasivo

Un giorno, nell’uscire
chiuderò la porta senza chiave
tanto cosa importa
qualcuno entrerà prima o poi.

Ci saranno solo avanzi
qualche briciola, abiti smessi
e tutto quanto il tempo travolse
registrato nella scatola nera
contatore di buio
in alto, sullo scaffale.

Camminerò nella mite primavera
poserò lo sguardo su una cosa vivente
un gatto, una farfalla, ma anche un arcobaleno.
Mai potrò pensare te
che da tempo abiti questi muri
e la mensola col filo nero, l’ago e la cruna.

Saresti un corpo abrasivo
entro la notte della stazione
tracciando segni del vuoto
sul bitume decrepito
e l’acido del silenzio
sulle ulcere insopportabili dei metalli.

 

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Domicilio coatto

Sono un volume oscuro
una vecchia valigia nella penombra.
Identifico il quadrato opaco della finestra
attraverso i giorni e ile notti.

Immagino il cielo
oltre il soffitto della mia casa
distinguo le tue labbra
simili a una luna.

Tu, vieni a visitarmi
nei segni dispersi della sera
hai un piede nel buio
cancelli le tracce, sigilli le fessure.
Nella tua pelle senza colore
un raggio di luce ti fa trasparente
bruci i miei occhi
come una folata di vento.

Spargi una polvere incolore
incolli le mie membra
sull’orlo delle crepe
senza rimorso e perdono.

 
Fermata

Non so dirti l’età di questo treno
la sua velocità inafferrabile
nel giorni che diventano anni.

Per ogni linea d’arrivo
c’è una linea di partenza.

Ti guardo, appoggiato al finestrino
con lo sguardo che sogna nel buio.

Non ti dirò l’ora della mia fermata
dove scenderò come uno qualunque
camminando svelto sul lastricato.

Mi volterò a cercarti
attraverso i vetri del treno che fugge.

Starai di nessun colore vestita
oltre la parte visibile, oltre me
nel profondo, come una carezza lontana.

 

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Il sogno del falco

Schiudo nell’occhio le unghie d’ombra.
E’ così vecchio il cielo
l’uncino in volo
inciderebbe e ne strapperebbe il bulbo
se solo fosse carne.

Vorticando in cerchio, chiedo opportunità
leggendo le orme, l’erba lucente
il grigio degli asfalti, il nero delle fosse.

Rannicchiato nel vento
traccio la mappa del mio desiderio.

Se sapessi parlare alle cose
direi alle stagioni il fermento del mio sangue.
Griderei la solitudine alle colombe e alle rondini.
Scriverei su ogni pietra, su ogni nube
e forse sarebbero preghiere.

 
Dopo mezzanotte

Mezzanotte è passata
il chiarore della luna invade la stanza
ombre corrono sui muri delle case.

Nell’anima tutto muta
e come una visione
ho voglia di lasciare tutto alle spalle
scivolando lungo i muri.
Ma il cielo appare assorto, remoto
come se la fine del mondo fosse già avvenuta.

E sono così stanco, così dolente.
Avrò bisogno dell’Eternità per riposarmi.
Avrò bisogno dell’Eternità per dimenticarmi.

Ora chi appartiene alla schiera felice
di coloro che possono dormire, ora dorme.
Io, ho arrotolato il mio giorno
nascondendo il sole che non ho guardato.

Poesie di Luigi Besana
immagini di Maria Cristina Baracchi

 

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21 Comments on “LUIGI BESANA – L’erba sogna il cielo

  1. Hai detto titto tu. La poesia trova il suo cammino in un giusto stato d’animo che non è il mio e si aggiungono immagini inquietanti per me.

    Sta diluviando da giorni il chiarore è paragonabile a quello di mezzanotte.

    Sherauna volta

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  2. Il sogno del falco è la quella che mi risuona di più.
    Mi ci riconosco.

    Ti segnalo due refusi (o forse uno soltanto):
    qualcuno entrerà prima i poi.
    mita primavera

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  3. mi sembra un ottimo inizio, tutto sommato mi ci specchio, grazie di averlo proposto, cercherò di procurarmi il libro. “Fermata” la metto al prossimo giro di gioielli rubati, grazie

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  4. Pingback: Gioielli Rubati 66: Alfonsina Caterino – Maria Allo – Vernalda Di Tanna – Matteo “Rosko” Rusconi – Luigi Besana – Doris Emilia Bragagnini – Gary J. – Maria Giovanna Assumma. | almerighi

  5. grazie per avermi fatto conoscere questi versi: hanno una forza, un’originalità e una schiettezza che non possono lasciare indifferente chi legge, sembrano uscire direttamente da un’ anima “scorticata”, attraverso il corpo che è tutt’uno con lei.

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