Venerdì scorso si è svolto nello spazio Acàrya di Como il reading di uno dei più interessanti poeti americani: Jack Hirschman, che ha attraversato tutte le avanguardie poetiche statunitensi dagli anni cinquanta ai giorni nostri; dalla “Beat generation” al “Cyberpunk”. Le sue poesie sono storie di tutti i giorni che entrano dentro di noi e rimangono appiccicate sulla pelle come sabbia del deserto. Un deserto culturale che circonda questi anni di inizio millennio e che si espande giorno dopo giorno: vuoto, marcio, inarrestabile. Basterebbe scrollare i vestiti da tutta questa ignoranza, eppure, sembra che nessuno se ne accorga. Jack non ha paura di parlare, non si nasconde dietro ipocrisie quotidiane o banalità ricorrenti, gestite nel pressapochismo generale, per sorridere a “salve” e sparare alla schiena. Lui ti parla negli occhi e racconta le sue storie che sono le notre storie; chi finge di non riconosersi è il solito vile che ama nascondersi dietro le dita. Jack ti porge sempre la mano… e chi è vero dentro, chi la stringe, non la lascerà mai.
La felicità
C’è una felicità, una gioia / nell’ anima che è stata / sepolta viva in ciascuno di noi / e dimenticata. / Non si tratta di uno scherzo da bar / né di tenero, intimo umorismo / né di amicizia affettuosa / né di un grande / brillante gioco di parole. / Sono i superstiti sopravvissuti / a ciò che accadde quando la felicità / fu sepolta viva, quando essa / non guardò più / dagli occhi di oggi, e non si / manifesta neanche quando / uno di noi muore – semplicemente ci allontaniamo / da tutto, soli. / con quello che resta di noi, / continuando ad essere esseri umani / senza essere umani, / senza quella felicità.
(Jack Hirschman)
grazie Jack !!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!
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