siskiyou-nervous

 

Questa recensione dovrebbe essere la retrospettiva dell’ultimo lavoro degli Siskiyou, ensemble canadese di notevole caratura, soprattutto nella cerchia degli appassionati di una musica di culto, relegata in angoli particolari. Non è casuale infatti che i loro due primi album gli hanno costruito attorno un aura particolare, definita “gotica del nord”, per il suo incedere oscuro e minimale, ossessivo e particolare. In realtà il loro stile, impastato di influenze lo-fi con un alternative-folk ambiguo e maniacale, riflette i paesaggi della loro origine e soprattutto la scena musicale che si sta respirando da quelle parti. Se poi consideriamo il fatto che l’etichetta che li produce, è quella Costellation in cui si annoverano personaggi decisamente fuori dagli schemi, scelti appunto per una ricerca diversa dalle consuetudini, possiamo immaginare e capire quali siano i territori esplorati da questi giovani artisti. Ma gli artisti, si sa, sono personaggi strani, volubili, spesso contaminati dal loro vissuto, dalle loro vicende personali, negative o positive; spesso condizionati da altri artisti che li ispirano o li deprimono, e all’interno delle loro esplosioni creative possono essere calmi o nervosi, come il titolo dell’album. Nervous… appunto. Oppure, in senso traslato: ansioso, inquieto, agitato… ogni metafora è possibile. La conseguenza è la sperimentazione e la possibilità di provare a movimentare il sound, innestando nel loro stile di origine, esperienze assorbite nell’ascolto di altri, con la tensione e la drammaticità che preclude un allargamento dei propri orizzonti, senza conoscere l’esito. Se poi aggiungiamo una malattia all’udito che ha colpito il loro leader Colin Huebert, costretto a difendere il suo mondo di suoni dagli attacchi di panico provocati, come reazione, all’ipoacusia che lo opprimeva senza conoscerne la causa, allora, possiamo capire la reazione maturata nella costruzione di una canzone, e per esteso, nelle canzoni successive.

Tutto l’album infatti, è chiaramente la sinergia con i loro suoni e i suoni di altri, e il primo nome che viene subito in mente è quello degli Arcade Fireormai diventato famoso a livello mondiale e che sostanzialmente ritroviamo nelle melodie, nei ritmi, nei cori e nei controcanti di queste tracce. Però questo si sa, è sempre il nostro modo di accostarci alla musica quello di trovare dei riscontri con altri nomi, anche perché vengono subito in mente ascoltando un pezzo, un refrain, un giro di basso, un inizio o un finale. Io per esempio ho trovato echi che inevitabilmente portano a Nick Cave e P J Harvey, soprattutto negli svolgimenti dei pezzi, anche se poi improvvisamente si avverte un cambio di rotta verso esperimenti melodici già provati da David Bowie. Il problema è che i primi due citati mi piacciono tantissimo, mentre il secondo non mi piace per niente (scusatemi, ma è un problema di pelle… ci sono rocker i quali rimangono dentro e non se ne vanno più via, mentre altri non entrano nelle corde per tutta una serie di ragioni, per tutta una vita, e proprio per questo diventano un problema di palle…). Chiaramente, quest’ultimo accostamento è il riferimento all’uso del condizionale, espressamente utilizzato iniziando questo post, e che inevitabilmente potrebbe falsare la retrospettiva su quest’album, perché – se da un britpop con tendenze glam, passiamo a delle influenze elettroacustiche perfettamente integrate con un folk-rock più moderno, giostrando con delle buone sinergie liriche ed emotive, e a queste si sovrappone un gusto estetico per un pop d’avanguardia senza pregiudizi – si rimane sempre su quella linea di confine e sull’indecisione se bruciarsi le mani con un applauso, o attendere la traccia successiva.

E allora, passiamo alla traccia successiva, con la conseguenza che in fondo, alla fine, l’attesa non sarà così vana e sostanzialmente il gioco ad incastri voluto dai nostri protagonisti risulta efficace nonostante i continui riferimenti al passato e a ciò che gli vive intorno. E’ chiaro che un ascoltatore esigente vorrebbe che si facesse di più, o perlomeno , che si riuscisse ad intraprendere una ricerca personale senza cadere nei continui riferimenti, anche se risolti abbastanza bene, perché nell’affollato e odierno mondo della musica, ci sono troppe persone imitatrici dell’esperienza altrui, e come tali, rimarranno sempre imitatori senza lasciare un’impronta della loro arte. I Siskiyou sono dei bravi ragazzi i quali sicuramente faranno parlare di sé, ma è proprio dalla loro bravura che devono trovare l’espediente per una fase creativa più adulta, più innovativa, più  trainante e decisamente personale nelle versioni dei loro pezzi: in fondo, cosa c’è di più interessante se non l’utilizzo di un istinto musicale insieme alle capacità di comporre come si vuole? Il trampolino di lancio è sempre l’esperienza dei giganti, cresciuti a loro volta con giganti precedenti, come prima di loro altri giganti, e così via.  Jonathan Swift insegna, come se un  qualunque Gulliver trovasse una dimensione idonea alla sua identità e proprio con questa possa intraprendere un viaggio successivo: per essere piccolo o grande, osservatore o sapiente quanto basta, scrittore o lettore della sua anima.
Si inizia sempre come allievi… soltanto poi si diventerà maestri, soltanto poi si diverrà giganti.

siskiyou-nervous 3Colin Hubert e gli altri Siskiyou 

14 Comments on “NERVOUS degli Siskiyou

  1. A me sembrano percorsi già fatti ! Non sono male ma pare sempre la solita ‘minestra’ ! Manca la scintilla, il fuoco, la creatività, la sensibilità di una musica veramente nuova. Comunque ascoltabili.
    Ciao.
    Stefano.

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  2. Cominci a mettermi (ulteriore) soggezione e o smetto di leggerti, o smetto di scrive le mie cosuccette o..barman portami da bere!

    sheratroppoccupataoccupareiltempoalparco

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