Mi ero (quasi) ripromesso di non scrivere più necrologi, anche perché vista l’età dei nostri grandi eroi, poteva capitarne uno ogni settimana. Però, visto lo spessore degli ultimi due scomparsi almeno due righe vanno scritte, non tanto perché bisogna accomunarsi ai tanti articoli sparsi per la rete in questi giorni, ma forse proprio perché una sottolineatura, una nota diversa, un elogio fuori dal coro, andrebbe recitata anche solo come poesia della musica, o come incarnazione della bellezza per tutto quello che Jeff & David sono riusciti a dare: per loro, per gli altri, ma anche come dono all’umanità.
Jeff Beck è stato un grande sperimentatore della chitarra: un grande inventore potremmo aggiungere, proprio perché si può creare qualcosa anche con uno strumento, rendendolo vivo, rendendolo speciale. Potremmo parlare degli “Yardbirds“, del “Jeff Beck Group“, di “Beck, Bogert & Appice“, fino agli album tipicamente fusion della sua carriera solista; ma alla fine quello che importa a noi è il fatto che, oltre a diventare un punto d’ispirazione per tutti i suoi colleghi, ha sempre anticipato tutto. Se ci mettiamo a elencare tutte le diramazioni che ha preso il rock dalla fine degli anno ’60 in poi, probabilmente è stato proprio lui il precursore di ogni cosa. Collaboratore instancabile, ha sempre accettato ogni tipo di partecipazione con tutti i grandi protagonisti della sua generazione, creandosi intorno un alone di perfezionismo e di benevolenza condivisa da tutti. Inoltre, da qualsiasi punto di vista lo si guardi, lascia un vuoto incolmabile e un’eredità difficilmente ripetibile che ha fatto scuola e come tale rimarrà incancellabile. Tutti i suoi dischi sono da avere: dal primo all’ultimo, perché dentro quei solchi ci troverete la storia degli ultimi 50 anni e come tali vi apparterranno, indiscutibilmente. Tra l’altro, la sua inusuale posizione della mano sullo strumento, evitando la meccanica ritmica del plettro, ha dato il via a uno stile inconfondibile: pollice e indice che scivolano sulle corde facendo nascere note pazzesche, quasi per gemellarsi con gli elementi della natura. Solidità, liquidità, fino a evaporare insieme alla melodia, portandola, come disse lui, da un’altra parte. Una metamorfosi, completa.
Altro discorso per David Crosby: eterno sognatore insieme alle utopie che aveva dentro. È stato partecipe alle controculture degli anni ’60, incarnando pienamente quel desiderio di libertà che andava oltre l’ideologia hippie, anche nella sua grande illusione. Pur avendo fatto parte di gruppi come i Byrds e avendo formato quel magico trio reso celebre dal nome Crosby, Still & Nash, poi con l’aggiunta di Young; pur avendo pubblicato uno degli album più belli di quel periodo come “If I Could Only Remember My Name”, che da solo basterebbe a consacrare un artista nell’olimpo degli dei; pur avendo pubblicato pochissimo nonostante la sua classe, la sua voce unica e bellissima, la sua eterna giovinezza e la sua creatività prestata sempre ad altri; nonostante tutto questo, ce lo ricordiamo come una figura iconica dal fascino particolare, nonostante le droghe, gli abusi di sostanze illecite, una vita sempre al limite inseguendo quel sogno, anche nella sconfitta, da cui si è sempre rialzato. Ha avuto quattro figli da quattro donne diverse ed è stato anche donatore di sperma per delle sue amiche lesbiche: come a dire che ha seminato, non solo musicalmente. È sopravvissuto anche a un trapianto di fegato finché il fisico ha retto, facendo uscire in questi ultimi anni, altri dischi bellissimi, assolutamente da avere. Ecco, dentro tutto questo riusciamo a coniugare un’intera epopea di uomini straordinari, che noi rivivremo continuamente nella loro aurea leggendaria, perché la grandezza del rock è proprio questa: la figura del mito. Non importa il resto: ci rimane una manciata di canzoni memorabili che lasciano senza fiato e che canteremo fino alla fine dei giorni.
Bene ragazzi, come ripeto sempre la musica non si fermerà mai, un po’ perché le melodie che ci hanno lasciato questi artisti non moriranno mai, e soprattutto perché ce ne saranno altri che inseguiranno quel sogno, quel mito, o più semplicemente, per quella voglia di cantare.
Alla prossima…
il Barman del Club
Essi’ se ne vanno gli Ultimi.
Jeff Beck lo conoscevo e apprezzo grazie a mio fratello…
Uff che tristezza ma grazie caro barman 🍷🍷
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Tuo fratello era un mito lui stesso, perché ascoltare e capire artisti dallo spessore così ampio, reindirizza ogni qualità proprio in tutte le personalità che li capiscono, come condivisione delle anime…
Grazie a te di bere sempre da questo bancone
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Come potrei non farlo a questo bancone caldo e accogliente questomio carissimo barman 🍸💕🍸
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bacio ❤
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Hai fatto bene a parlarne, sono in tanti oggi a non conoscerli anche se hanno fatto la storia, la più bella, della musica rock e non solo.
Grazie.
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Vero, e proprio così
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Quando i grandi della musica se ne vanno, rimane un gran vuoto difficile da colmare. Per me questo è il caso di Jeff Beck, conosciuto nel seguire le vicissitudini di Johnny Depp. Un bravissimo chitarrista, che ho subito apprezzato. Buona giornata Antonio!
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Grazie, buona giornata anche a te!
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uffah! ma anche Jeff Beck! …
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E si caro, ad uno ad uno… Peccato!
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😦
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Io ho sempre pensato, con assoluta convinzione e serietà, che non esiste alcuna differenza (in ogni senso) tra la quinta sinfonia di Beethoven, ne cito uno a caso, e un assolo di Jeff Beck o di Ritchie Blackmore.
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Completamente d’accordo con te, a tal punto che la musica di questi ultimi eroi, sarà ricordata proprio come una sinfonia di Beethoven 😉
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