neil young a barolo 3Festival Collisioni – scorcio della bella Piazza Colbert di Barolo – Foto presa dal web

Questa recensione “vissuta” nelle splendide terre del Barolo va necessariamente divisa in due parti, nel senso che ci sarebbe da parlare di un prima e di un dopo e visto il titolo di questo post, partiamo subito con il dopo: l’esibizione del grande Neil Young.

Arriviamo nei dintorni di questo borgo incantevole verso le 17,30 e notiamo subito il “parcheggio-collisioni” (così era scritto sul cartello indicativo), un’involontaria metafora tanto per sorridere dove una macchina solitaria in mezzo a un prato ci invitava ad andare più avanti. Infatti c’erano altri prati e altri parcheggi per un’organizzazione che, insieme a dei bus-navetta, ci ha portato fino alle soglie del paese. Attendiamo fino alle 18,30 poi finalmente aprono la Piazza del centro storico e ognuno raggiunge le sue postazioni preferite. Inizia la lunga attesa fra chiacchere, panini, vino, prodotti tipici del Piemonte, uno sguardo al paese e tanta voglia di musica. Tutti con il naso all’insù per guardare le nuvole minacciose che stavano arrivando per annunciare una “Like a Hurricane” anticipata; infatti verso le 20,30 si scatena la tempesta (eravamo preparati) ma, si sa, l’acqua è acqua, così nonostante gli ombrelli, gli impermeabili, i teloni e i k-way vari dobbiamo sopportare 20 minuti di “batterone”. Fortunatamente smette. Nel frattempo inizia a cantare Thony, una solitaria cantautrice italiana che si fa notare soltanto perché è una bella toppa: anche una bella voce, ma i pezzi sono di una monotonia mortale; io le consiglierei di cambiare genere perché altrimenti finirà per cambiare mestiere. Dopo mezz’ora se ne va e inizia l’attesa spasmodica per i protagonisti della serata, dilatata fino alle 21,45 e poi, finalmente, arrivano con il loro bellissimo logo: i Crazy Horse con il loro “Capo”.

neil young a barolo 2Neil Young a Barolo – Foto presa dal web

L’inizio è subito travolgente: Love and Only Love da Ragged Glory dilatata fino a 16 minuti di delirio chitarristico puro. E’ inutile, quando questo rampollo di quasi settant’anni si ritrova con suoi “cavalli pazzi” è decisamente inimitabile: un sound unico, inarrivabile, trascinante, decisamente al di fuori da tutti gli schemi abituali; un’esperienza che qualsiasi amante della musica elettrica deve per forza vedere ascoltare almeno una volta nella vita. Si continua con una sorprendente Standing in the Light of love mai apparsa su disci ufficiali, tirata fuori dal suo cilindro per diventare una lunga ossessione ripetitiva, coinvolgendo così le due coriste nere (una novità per il nostro eroe) che d’ora in poi faranno da inaspettato quando interessante e bellissimo accompagnamento di tutti i pezzi. Il ritornello finale viene ritmato e trascinato dentro a un sulfureo incedere che non lascia scampo. La ancora più inaspettata Goin’ Home presa da un mediocre album come “Are You Passionate?”, rivitalizzata dall’elettricità dei Crazy  Horse, dimostra come la terza legge della termodinamica dove nulla si crea e nulla si distrugge, possa veramente “trasformare” una banalità in capolavoro. Il tutto per fare da apripista ad un terzetto mozzafiato: Days That Used to Be (ancora da Ragged Glory); Living With War (dall’omonimo album, tanto per parlare di guerra, vista la cancellazione della data del concerto previsto in Israele) e Love to Burn (sempre da Ragged Glory,  per evidenziare uno degli album più belli della sua carriera). Un terzetto dicevamo, pazzesco e devastante al tempo stesso, dove le cavalcate elettriche si alternano ai recitati contro le ingiustizie perpetrate sempre a danno dei più deboli (vedi voce “nativi americani”), quasi che il “Woody”: il totem sempre al fianco del palco, fosse l’anima ancestrale a cui rivolgere le preghiere cariche di rabbia e pathos. La successiva Name of Love (dal repertorio dei Crosby, Stills, Nash & Young) fa solamente da apripista all’intermezzo acustico della cover di Blowin’ in the Wind (Bob Dylan)  e di Heart of Gold da Harvest, per buona pace degli accendini, i bacini, i coretti, pasticcini e bignè, carezze e lacrimucce. Solo due pezzi per fortuna, perché la vera anima di Young è cattiva, elettrica, e elettrico dev’essere, soprattutto quando è accompagnato dai i suoi fidi guerrieri. Infatti, il susseguente terzetto di canzoni è da paura: Barstool Blues  e l’inossidabile Cortez the Killer da Zuma, inframmezzate da Psychedelic Pill, quasi a separare con una lisergica mitragliata di feedback le stragi contro l’umanità, perché è sempre la solita storia e lui ce lo ripete con un’ossessione sonora che non lascia scampo. Intrecci di chitarre, scambi di riff che senti stridere sulla pelle, note tirate fino allo spasimo e dilatate prima dell’esplosione, prima dell’apoteosi finale con Rockin’ in the Free World, degna conclusione di un concerto atipico e memorabile, un pezzo che probabilmente gli invidiano tutti i rocker del mondo, dato l’interscambio che si crea fra i protagonisti e il pubblico. Per questo motivo se l’uragano non è arrivato dal cielo, è arrivato dal palco, con tutta la violenza e la bellezza della musica; ecco perché tutti si aspettavano per il bis una Like a Hurricane come bomba finale. Ma Neil non è mai banale, infatti arriva l’inedita e funkeggiante Who’s  Gonna Stand up and Save the Earth: uno degli inni ecologisti contro le trivellazioni in terre indiane nel Canada, il suo paese di nascita, scritti ultimamente dal “forever Young”. Un pezzo che rimane in testa facilmente, tanto che il pubblico ripete il ritornello fino all’esasperazione sperando che l’eroe della serata riprenda in mano la sua arma, la sua gibson nera per suonare tutta la notte e non fermarsi più.

festival collisioni a barolo Neil Young & Crazy Horse a Barolo (dove eravamo noi)

 Ma tutte le cose belle hanno una fine, così, dopo quasi due ore di performance, tutto finisce e ritorniamo all’auto con fatica. D’altronde una piccola piazza ricolma con diecimila persone e una sola via d’uscita non può certo scomparire all’istante (mi chiedo cosa sarebbe successo se fosse accaduto qualcosa). Non prendiamo i bus-navetta tanto sono impossibilitati a viaggiare per  la mole di persone incamminate lungo la strada del ritorno. Poi, raggiunta l’auto e dopo un’ora d’ingorgo riusciamo ad uscire dal prato-parcheggio. Solo ora traduciamo la parola “collisioni”, rischio anche calcolato per ridere un po’, solo ora capiamo il perché di quella famosa macchina solitaria nel primo posteggio, forse il più lontano, infatti quello se l’è svignata prima di tutti dopo la conclusione evitando gli ingorghi. Ma tant’è, anche le cose belle hanno bisogno del sacrificio e riusciamo a riprendere il viaggio verso l’albergo insieme all’euforia dei nostri commenti e delle nostre passioni, perché in fondo, questa è stata solamente la seconda parte della giornata. Per la prima vi lascio al prossimo post: recensione per recensione, prima, la vista e l’udito, poi, il gusto e l’olfatto. A ritornarci… sicuramente !!!

il Barman del Club

neil young a barolo foto di francesco luccarelliFoto Francesco Lucarelli

6 Comments on “NEIL YOUNG & CRAZY HORSE – Festival Collisioni – Barolo

  1. Neil Young secondo me dal vivo fa le scarpe a chiunque. Anche di questi tempi. Hai ragione: e’ una esperienza da fare almeno una volta, nella vita (io volevo ritornare a vederlo, ma i biglietti erano esauriti…)

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