black mirror sesta stagione

Non lo nascondo, una delle serie che più mi ha appassionato in questi ultimi anni è proprio Black Mirror, giunto alla sesta stagione e distribuita dalla piattaforma di Netflix. Un po’ perché è sempre costituita da episodi autoconclusivi che mai superano l’ora, se non in rari casi; un po’ perché la trama fantascientifica è da sempre una delle mie preferite, legata proprio all’intelligenza della sceneggiatura, perché ritengo Charlie Brooker (il suo ideatore) uno dei grandi professionisti di questo settore, anche se la science-fiction non è mai stata così reale come in questi casi; e poi perché mi ricordano quei mitici “ai confini della realtà” degli anni ’60 che ho adorato a dismisura.

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Questa volta però le 5 storie in questione scivolano oltre la loro verità, ampliando alcune trame al di là del futuro che fino ad ora ci apparteneva, con dei colpi di scena imprevedibili a tal punto da superare quella tecnologia futuribile che li aveva caratterizzati nelle stagioni precedenti. Evidentemente Charlie Brooker questa volta ci ha voluto stupire, esibendosi fino all’imprevedibile, perché le sue sceneggiature a un certo punto erano talmente reali, da far diventare quella fantascienza visiva talmente vicina a noi da sentircela dentro, trovandocela addirittura davanti, talmente siamo schiavi di quello schermo nero che condiziona le nostre vite, e con lui, tutto ciò che ne consegue.

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Il primo episodio: Joan Is Awful (Joan è terribile), è probabilmente quello più riuscito se consideriamo le tematiche che hanno caratterizzato “Black Mirror” dall’inizio, perché narra la storia di una semplice impiegata di una grossa azienda, la quale suo malgrado si trova al centro di una serie TV che trasmette passo passo la sua giornata, anche se la protagonista è un attrice famosa generata dall’intelligenza artificiale. Il problema è che, quello che si vede sullo schermo televisivo, è proprio quello che lei fa quotidianamente, fra pregi e difetti, causando una reazione a catena che distruggerà la sua vita privata. Ma come fanno si chiederà lei? Beh… attraverso telecamere, passaggi in rete in cui si è costantemente profilati e soprattutto cellulari in cui vedono e sentono quello che fai, il passo è breve. Ma proprio a questo punto decide di esagerare, perché se ogni cosa che fa viene trasmessa pari pari, allora, anche le vere attrici saranno coinvolte. E così succede… Il colpo di scena però non ve lo svelo, perché se un gioco di scatole cinesi è alla base della finzione, la realtà sarà più terribile della messinscena, quando ognuno di noi si ritroverà protagonista senza il diritto di cancellare ogni cosa, anche legalmente.

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Il secondo episodio: Loch Henry (il lago di Henry), narra la vicenda di due filmmaker, i quali, ritrovandosi nel paesino scozzese dove vive la mamma di lui per girare un documentario naturalistico, scopriranno la storia di un serial-killer che ha allontanato il turismo da un luogo così caratteristico. Decidono così di realizzare un true-crime proprio su quell’episodio, ma andranno oltre la loro sete di voyeurismo scoprendo la tragica verità. In realtà il problema sarà un altro, perché se il successo del loro reportage supererà ogni aspettativa: premi compresi, cosa rimarrà della catena di morti fin troppo vicina ai nostri protagonisti? Non importa, la sete di curiosità che attrae in maniera morbosa quando si parla del “male” è talmente forte da appiattire tutti i sentimenti che fanno parte di noi, trasformando il “bene” nella necessità di un business a tutti i costi. La scena finale è eclatante per quanto da capire, perché se ognuno di noi si nasconde dietro una maschera, sorpresa dopo sorpresa, l’invadenza dei media non potrà mai mettere in luce, se non nell’appiattimento generale, la nostra metà oscura, e di lei saremo sempre schiavi fino all’inverosimile.

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Il terzo episodio: Beyond the Sea (oltre il mare) è probabilmente uno dei più drammatici. La storia si svolge di un’astronave in missione da diversi anni dove coesistono i due astronauti protagonisti dell’episodio. In realtà per superare l’isolamento che i nostri eroi possono subire mentre vivono all’interno di questo luogo chiuso, possono attraverso un apparecchio speciale, spostarsi dentro le proprie stanze familiari, vivendo così insieme ai propri cari, anche se nella finzione di un avatar robotico che li rappresenta, ma che nella loro mente il tutto risulta dannatamente reale. Il problema è che, mentre uno dei due è insieme a moglie e figli, questi vengono massacrati da una banda di pseudo-hippy tipo Charles Manson, in cui lui assisterà impotente. Inizia così una coesistenza psicologica difficile con l’altro suo compagno di avventura, il quale alla fine deciderà per risollevare il morale distrutto del suo amico, prestandogli il suo avatar in modo da fargli vivere qualche attimo di serenità sulla Terra. Ma siamo sicuri che il retroterra di un uomo attraversato da eventi così radicali possa reggere nell’ambiente familiare di un’altra persona? Spesso ogni piccola apocalisse è sempre dietro l’angolo, e noi saremo sempre gli artefici impotenti della violenza umana.

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Il quarto episodio: Mazey Day (il giorno del labirinto), vede all’opera una fotoreporter, la quale, nonostante aveva smesso di fare il suo lavoro, decide per soldi di scattare delle immagini di un’attrice scomparsa dalle scene, nonostante pare sia introvabile. In questo caso il colpo di scena è devastante fino ad arrivare a un finale veramente eclatante, che farà sobbalzare sulla sedia chiunque si troverà di fronte a questo schermo, perché la sete di curiosità supera ogni orrore in cui ognuno di noi è costretto, suo malgrado, a convivere: filmare ogni cosa è diventata la norma, distruggendo qualsiasi vita privata. Bisogna anche dire che in questo caso Charlie Brooker si è superato, perché riuscire a mettere insieme raffinatezza e tragedia insieme alla crudeltà, facendo coesistere in una sola dimensione la pietà e la mancanza di pietà come se fossero una cosa sola, non è cosa da tutti i giorni. Forse, la deviazione oltre le derive che subisce questa storia, è dovuta dalla ricerca di superarsi e di trovare nuovi stimoli per non cadere in un refrain già sentito, o già visto, dopo cinque stagioni di alti a bassi che meritano sicuramente un applauso.

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L’ultimo episodio, il quinto: Demon 79, è il più divertente, talmente è carico d’ironia, nonostante la narrazione metta in evidenza alcune soluzioni decisamente truci. Sostanzialmente la storia racconta la vicenda di una commessa, apparentemente timida e succube di colleghe e datori di lavoro ipocriti, la quale, risvegliando un demone un po’ bizzarro da un oggetto ritrovato in un magazzino, sarà costretta a compiere tre omicidi in tre giorni, altrimenti il mondo finirà. Chiaramente, la trasformazione di una persona da vittima a carnefice è veramente breve, perché quale potrà essere la nostra reazione se ci trovassimo di fronte alla possibilità di uccidere delle persone che se lo meritino veramente? Difficile rispondere nella nostra condizione forse distaccata finché non siamo coinvolti. Il vero problema è come sempre la nostra capacità di reazione di fronte a delle situazioni che vanno al di là dell’ordinario, fino a snaturare la stessa distinzione fra il bene e il male, alterandoli. Finché è un gioco, possiamo fare sempre quello che vogliamo, ma quando non lo è più? Il confine è talmente sottile che basta un attimo per vacillare facendo della nostra coscienza un terreno fertile per qualsiasi tragedia.

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Finalmente Charlie Brooker ci ha portato in un mondo quotidiano, talmente vocino a noi da sentirci impotenti quando le vicende ci appartengono. In quest’ultima stagione non c’è più quel futuro prossimo venturo dove avevamo la percezione di assistere a un qualcosa che poteva avvenire, ma che in realtà ci faceva solo meditare, soprattutto pensando a delle imprevedibili soluzioni legate alla sorpresa dell’evento e alla tecnologia soffocante. Ora, oltre a quel colpo di scena finale che valorizza a dismisura la sintesi dell’episodio, ritroviamo una realtà artificiosa e nello stesso tempo uguale al nostro desiderio di sorprenderci per delle sceneggiature eccellenti, anche se diverse dallo stile della serie.

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In fondo, se ritorniamo alla prima storia, quando su qualsiasi schermo ognuno di noi non avrà più vita privata, perché riprodotti tali e quali alla mercé di tutti, allora, cari miei, mi ritorna in mente quell’aneddoto che disse Andy Whorol negli anni ’60, in cui ognuno di noi, in un ipotetico futuro avrebbe avuto i suoi 15 minuti di popolarità. Il fatto è che, ora che questo futuro è arrivato, Bansky, il famoso writer, gli ha risposto dicendo: chissà se in un ipotetico futuro, ognuno o di noi avrà i suoi 15 minuti di anonimato…
Salute ragazzi!

il Barman del Club

12 Comments on “Black Mirror – sesta stagione – come una strada alternativa

    • Chiaramente le prime tre stagioni sono inarrivabili (perche concepite solo in Inghilterra), poi quando la serie è stata comprata dagli americani (Netflix), si è per così dire: americanizzata, e si è evoluta con alti e bassi … Sempre belle comunque (!)

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