Bisogna dire che nel campo del rock classico, gli ultimi mesi di quest’anno ci hanno riservato molte sorprese piacevoli, le quali, al di là delle band storiche dal nome altisonante, i loro lavori mi sono piaciuti, nonostante da sempre preferisco analizzare qualcosa di più alternativo, proprio per differenziarmi dai vari siti che recensiscono ogni cosa si pubblichi. Ma tant’è (come si dice) e allora vediamo di cosa si tratta.
Partiamo…
Queens of the Stone Age
In Times New Roman…
Chiaramente questa band storica non ha bisogno di presentazioni e quasi sorprendentemente pubblica un album notevole al cardiopalma, come da sempre ha fatto. Devo dire che non mi aspettavo un lavoro con pezzi nuovi così interessanti, molto piacevoli, sempre variegati intorno a uno sludge-rock o metal-rock che dir si voglia dall’impatto variopinto, nonostante il loro leader Joshua Homme (l’unico elemento stabile della band) abbia attraversato un periodo molto buio della sua vita. Sostanzialmente, si alternano soluzioni molto solari con accenni ironici a robuste divagazioni chitarristiche, senza mai deragliare nel noise, anzi, il suono è molto pulito e melodico ed ogni traccia risulta godevole, ritagliandosi via via tutti i presupposti per piacere senza troppe soluzioni formali . Voto 7
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Swans
The Beggar
Se i cigni di New York sono finiti nel gorgo malato di un folk apocalittico e lo hanno superato trasformandosi in un’epica contemporanea dannatamente attuale, come se tutte le note diventassero il tappeto su cui camminare fra carboni ardenti e silenzi tenebrosi, allora, questa poetica dalle tinte oscure, può o potrebbe rappresentare la nostra quotidianità? Evidentemente, Michael Gira avendo già attraversato le porte dell’inferno, riuscendo poi a riveder le stelle, ci comunica attraverso tutte le sue fasi artistiche la soluzione all’enigma, senza paura, perché i suoi testi rappresentano quella soluzione catartica degna di ogni musicista che si rispetti, sempre a metà fra soluzioni sperimentali e atteggiamenti da magia nera. Ma la vestizione che appartiene a uno stregone che vive nel tempio abbandonato della sua psiche complicata, rappresenta quell’eccessivo mutare di tutte le nostre personalità, come se queste tracce diventassero lo specchio che ognuno di noi rifiuta, e che invece, a livello inconscio, lo nascondiamo credendo di essere i migliori. Voto 7,5
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Samsara Blues Experiment
Rock Hard in Concert
Da quando questo gruppo tedesco si è sciolto, continua a far uscire delle bellissime sorprese come questo live di assoluto livello, giusto il tempo per accontentare i suoi fans, riuscendo così a coprire il buco della loro dipartita (per così dire) avvenuta due anni or sono. Tutto l’album è un’esplosione di suoni dall’impatto immaginifico e devastante, in cui emergono psichedelia e rock lisergico come un vulcano in ebollizione, trasformando tutte le tracce in un magma ardente il quale sembra non debba mai finite di avanzare, infuocando tutto quello che incontra al suo passaggio. Registrato nel novembre del 2018 a Dortmund, rappresenta quella soluzione e quell’impatto che band di questo tipo fanno emergere dal vivo, come se il loro territorio preferito fosse il palcoscenico, ideale per esaltarsi. Infatti, la caratteristica di questo concerto è proprio la raffigurazione del suono e della bellezza che ne scaturisce, continuamente in fermento. Voto 8,5
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Pretenders
Relentless
Bellissima copertina e bellissimo disco per un’altra band storica che sta vivendo una seconda o terza giovinezza, visto che il loro esordio discografico risale al 1979. Bisogna anche aggiungere che degli unici membri originari rimasti, oltre al batterista Martin Chambers, tutto è rimasto nelle mani della cantante Chrissie Hynde che ha tenuto le fila di questi anni, e quest’ultimo lavoro (insieme ai due precedenti pubblicati nel 2016 e nel 2020), rappresenta la conclusione di una trilogia che raggiunge il suo apice proprio fra questi solchi. Post-punk, new wave, psichedelia con una giusta spruzzata di pop, fra melodie e accenti ipnotici, i quali, traccia dopo traccia stendono un tessuto ammaliante, perduto nella triste-dolcezza di una delle voci più fascinose mai passate nella storia del rock. Ci troviamo di fronte a uno dei dischi più belli dell’anno, sorprendentemente direi, proprio in relazione a una serie di canzoni dall’impatto trascinate e seducente. Voto 9
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Rival Sons
Lightbringer
Quando una forma di energia sanguigna riesce a trovare una strada alternativa come hanno fatto i nostri eroi di Long Beach, allora, per i nostalgici del rock più classico che si può, questo album sarà sicuramente oro per le proprie orecchie. Hard-blues, contemporary-folk e soul a go go s’intersecano a sfacciate dosi di alcol per un lavoro carico di passione e di forza interiore. Ma la retrospettiva vintage si rivaluta continuamente attraverso il giusto equilibrio fra la parte acustica e quella elettrica, come se un matrimonio perfetto concepisse canzoni su canzoni che non stancano mai, anzi, la bellezza delle singole tracce stupisce proprio per quell’equilibrio che miscela ritmo a melodia. Jay Buchanan e Scott Holiday (praticamente i veri leader del gruppo) ci danno dentro di brutto, creando quel ponte fra passato e futuro che piacerà ai fan dei Led Zeppelin, e nello stesso tempo a quelli che cercano qualcosa di più innovativo. In fondo, se la forma-canzone non morirà mai, possiamo godere di tanta creatività. Voto 8
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Xiu Xiu
Ignore Grief
Eccoli ancora qui, più sperimentali di ieri, più ossessivi di prima, più oscuri che mai. Questo progetto che a visto il cantautore Jamie Steward rimanere praticamente il punto stabile delle varie fasi del gruppo, e che ora si avvale della voce di Angela Seo, questa volta s’inoltra nella ossessiva deflagrazione noise, in cui tutte le storie narrate sono perdute nel gorgo malato di uno storytelling ai limiti dell’orrore. La scena è tutta industrial, dove l’avanguardia si avvale di una messinscena molto teatrale e nello stesso tempo cruda, caustica, perennemente perduta. Ogni traccia narra di bambini venduti per scopi sessuali, di droga scelta come suicido per fuggire dalla violenza, di donne rapite e uccise da sette demoniache, e via di questo passo. Fra questi solchi non c’è remissione, non c’è pentimento, non c’è redenzione, ma una caduta continua nei gorghi dell’oltretomba, in cui la musica divisa fra rumorismo e sperimentazione diventa solo la colonna sonora per una serie infinita di atrocità, adatta solo per cuori forti e abituati a una cinematografia di denuncia molto violenta. Voto 7
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King Krule
Space Heavy
Affrontare un album di questo ragazzo londinese, sta diventando un espediente non dico complicato, ma sicuramente impegnativo per via di un codice interiore assestatosi nelle coordinate forse troppo personali. Sicuramente i suoi testi raggiungono apici molto alti, se pensiamo alla loro struttura letteraria e allo spessore poetico espresso fra le righe, però stiamo ascoltando delle canzoni, e come tali devono darci in cambio la magia di un’emozione, di un brivido, di una lacrima, anche a dir poco intrinseca, o meglio ancora: piacevole. Poi si può argomentare ogni vicissitudine creando pathos e pulsione urticante, ma alla fine l’orecchio vuole la sua parte, e con la sua attuale ricerca, ultimamente, tutto risulta difficile. Ecco che questo suo ultimo lavoro crea una forma di stallo, un’esitazione che s’incunea nel vicolo cieco dove, l’uscita, diventa l’incubo in cui ognuno di noi si troverà di fronte, perennemente, senza via di scampo. Voto 6,5
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Gov’t Mule
Peace… Like A River
Beh… che vi devo dire, da quando questi “muli” hanno imbracciato le chitarre, non c’è più stata storia. Le loro scorribande vissute attraverso un southern-rock inzuppato di blues con la convinzione di farlo diventare soul e altro ancora, li ha lanciati nell’aura leggendaria di un olimpo musicale. Tra l’altro, li ho appena visti dal vivo a Milano, proprio il 20 sera al teatro Dal Verme, in un concerto pazzesco, psichedelico, apocalittico, musicalmente eccellente: una tempesta perfetta proprio per la durata e la deflagrazione di tutti gli strumenti e nello stesso tempo per la pulizia del suono. Tutte le versioni dei classici insieme ai pezzi nuovi, compresi fra i dieci e i venti minuti, sono stati un’apoteosi struggente che ha mandato in visibilio il pubblico presente nelle sue tre ore di esibizione al cardiopalma. Inoltre, quando la bellezza, la classe, la poesia e la perfezione, si miscelano in un unico calderone creativo, ogni discorso non avrebbe senso, perché ogni loro esibizione va assaporata live, proprio per immergersi nell’emozione che si prova, fino alla fine, come in quest’ultimo disco. Cavoli è vero: dovevo recensirlo, ma si, chissenefrega, loro sono una leggenda… Ve l’ho già detto? Allora gustateveli, e va bene così. Voto 10
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Ben Harper
Wilde Open Light
Sorprendentemente questo gigante dei nostri giorni decide di armarsi di chitarra acustica o un semplice piano, per concepire un album alternativo, semplice, delicato, proprio per lasciarsi andare nel cuore poetico di un unplugged vicino alla tradizione americana, dove il folk, il blues e un pizzico di country si fondono per raccontare delle storie: storie di tutti i giorni, ma vere quanto basta per concepirle come canzoni e farle diventare poesie. Tutto il disco scivola via come acqua limpida, toccando tutte le sfumature che melodie di questo tipo vogliono raccontare e come tali si fondono, sciogliendosi con la bellezza di tutte le emozioni. Potremmo definirle carezze, abbracci, piccole storie da raccontare ai nostri bambini alla sera, favole vere, piccole melanconie, gioie quotidiane, sogni ad occhi aperti, ma nell’insieme sono una collana di gemme preziose da gustare, semplicemente. Voto 8
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Califone
Villagers
Quando si riesce a creare una miscela di elettronica, folk sperimentale, blues-industrial e tradizione, evidentemente la figura di Tim Rutili e la sua band di Chicago, esulano dal classicismo più puro per incunearsi della scia di un indie-rock all’avanguardia, creando dal locale in cui vi sto parlando un ponte ideale con il prossimo post. Ma veniamo a noi: ci avviciniamo a una serie di canzoni molto riflessive, quasi d’atmosfera, come se una forma jazzata dall’incedere lento riuscisse ad aprire diverse porte, attraversando così diverse stanze, e in ognuna di queste lasciarsi andare nel contemplare gli arredi e l’eventuale panorama aprendo tutte le loro finestre. Le storie poi ci raccontano momenti semplici di tante vite, perché se un amico non riesce a scrivere la fine di un romanzo, o in una notte un uomo di mezza età vorrebbe viverla come se avesse vent’anni, o meglio ancora salvare un familiare dalla droga, oppure, incontrare un senzatetto che ci farà sognare, significa riuscire nell’intento di produrre letteratura facendola diventare canzone per tutti noi, anche in questo caso, delicatamente. Voto 8,5
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Bene, il primo giro è terminato e, nonostante l’impatto dirompente, ci siamo allietati con sonorità decisamente cool, giusto il tempo di bere in compagnia con tutte le sfumature cromatiche e sensoriali di una musica eccellente.
Salute ragazzi!
il Barman del Club
Antonio, apprezzo la particolarità dei dettagli e la precisione nelle tue informazioni 🎹🎶🎼❕❕🥰🤍
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Figurati, sono qui per questo 👍👍👍
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😅☺️
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Grazie Antonio,
ho preso nota, di Harper già sapevo, degli altri nulla, sono artisti che non conosco:provvedo in proposito
ciao e buona giornata
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Buon ascolto allora: tutta roba buona! 🥂
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mi fido 🙂
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😱
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Beh, di sicuro Samsara Blues Experiment, Guv’t Mule, Ben Harper, Pretenders ma anche gli altri non erano male, al solito sonorità già abbondantemente digerite però ascoltabili.
Da tempo non ti vedevo preparare tanti bei cocktail; come sempre eccellente barman.
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Figurati: un brindisi 🥂
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Gov’t Mule su tutti, un disco che affascina fin dal primo ascolto, un cappuccino tiepido al ginseng grazie
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Rispetto i gusti di tutti, ma sapendo che sei astemio va bene anche il cappuccino. Io però brindo con un bourbon, doppio 😉
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dai, il commento risale a stamni ….
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😀
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