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Evidentemente, la lezione dei Black Midi è servita a qualcosa, perché questo ensemble scozzese ci propone una versione estremizzata di quel post-punk, per farlo diventare “avant-garde”: la solita etichettatura nel circoscrivere un genere complesso dove coesistono una ridda di stili che raggruppano post-metal, post-prog, post-dark e post-tutto, fino all’esaurimento dei termini. In realtà questi ragazzi si assumono la responsabilità di pubblicare un album (questo è il loro secondo lavoro) dannatamente teatrale, ricchissimo di tensione emotiva e di ritmi impazziti, i quali, non fanno altro che estremizzare tutta la messinscena. Non è musica per cuori deboli, perché la riuscita dei vari momenti è talmente efficiente da trascinarsi dietro una scia di fascino che non lascia indifferenti: o lo ami o lo odi.

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Quando ho ascoltato questo disco, tra l’altro di un gruppo che non conoscevo, mi è venuto un tuffo al cuore, perché, riuscire a far coesistere bellezza e terrore, trascendenza e tragedia, angoscia e poesia, non è roba da tutti i gironi, soprattutto in tempi confusi come questi, raggruppando poi tutte le idee facendole esplodere sopra un palcoscenico, per proporre un’opera spiazzante tutta racchiusa nel suo titolo. Ma se un’architettura costruita sulle sue dissonanze, fosse proprio l’esempio per una lunga costruzione di requisitorie contro il sistema, il dispiego della strumentazione sembra addirittura trasformarsi in un graffito metropolitano, il quale, prende fuoco e s’incendia via via attraverso una metamorfosi alchemica.

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La voce del frontman poi contribuisce non poco a quella sorta di trascinamento sempre a metà fra il parlato e il cantato, sfiorando l’invettiva. “Sprechgesang”, pare si chiami questo stile di interpretazione, tutto concentrato nel suo vortice apocalittico, senza sosta, senza tregua, che nelle esibizioni dal vivo sarà sicuramente l’innesco per una pogata ai limiti del suicidio collettivo. Poi, è chiaro, quando si ascoltano prodotti di questo tipo, bisogna immedesimarsi nella catarsi artistica scaturita dalla creatività in ebollizione di questi ragazzi, come se un’eruzione sputasse solo acidi e violenza, per disegnare strade contorte e moniti incancreniti nei nostri giochi di potere.

Link traccia d’ascolto
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Registrato insieme ad altri amici musicisti, tutto l’album è carico di momenti drammatici e visioni allucinate, le quali si plasmano proprio in quell’ostilità che certe costruzioni di oggi, ghettizzano interi quartieri per imprigionare quel poco di libertà rimasta. Il miraggio del capitalismo è sintetizzato dentro questa danza vorticosa, come se un jazz folle e ulcerato si facesse masticare da un impatto metal fino a distruggersi a vicenda, trascinando tutte le composizioni attraverso la convinzione che, l’espressività della musica, sia proprio l’epifania necessaria per una risposta efficace, anche come soluzione da proporre alle masse.

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Chissà perché mi sono venuti in mente certi romanzi di Ballard, dove l’alienazione scaturita dentro questi formicai umani della società moderna, si risolvono sempre con l’isolamento dell’individuo che sfugge dal caos e dalla ridondante ingerenza della collettività. I paesaggi artificiali diventano la prospettiva ingombrante dove un nuovo cannibalismo si esercita fra individui senza remissione, costringendo alla fuga quell’inconscio che aveva determinato tutto questo. La risposta musicale è veramente dirompente, lacerata, la quale cerca di uscire dalla frustrazione con impennate liriche da scrivere in alto, nel cielo plumbeo, per lasciare un segno di ribellione oltre le nubi di un inquinamento della mente e dell’anima. Le continue disarmonie, l’apparente improvvisazione, l’impatto free e la coniugazione noise, si concentrano dentro a continui cambiamenti di ritmo creando un equilibrio inaspettato, e dentro di esso prende forma un messaggio iconoclasta.

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Questi ragazzi ci hanno fare, esplorano una strada per niente commerciale perché vogliono urlare al mondo la loro insoddisfazione prima dello sfacelo, prima dell’indottrinamento generalizzato, prima dell’olocausto silenzioso. Cercano di ammaliarci con la loro energia, con la loro rabbia, perché basta solo un avvertimento per far crollare questa forma ostile di architettura.
Che dire ancora: per me, uno dei dischi dell’anno…
Salute ragazzi!

il Barman del Club

16 Comments on “ASHENSPIRE – Hostile Architecture

  1. Ciao, l’ho ascoltato e devo dirti che hai raccontato l’album. È un bello spaccato urbano, ma ora per me in questo momento, non riesco ad ascoltare queste sonorità. Grazie perché mi fai scoprire delle opere sempre originali e degne di essere ascoltate ed approfondite.

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    • Figurati, ci sono momenti e momenti per ascoltare musica, e vanno seguiti interagendo con il proprio animo, altrimenti, il rischio è di alterare la riuscita di un prodotto in base alle proprie sensibilità della situazione oggettiva. Ciao e buona continuazione…

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  2. “Chissà perché mi sono venuti in mente certi romanzi di Ballard”
    forse perché hanno contribuito a forgiare l’immaginario della new wave a cui gruppi come questo non poco si rifanno?
    Barman, non è che a seguire tutte queste code si perdono i capi?
    Ciao.

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