robbie&sixto

Come avevo già detto in passato, non volevo fare più necrologi, proprio perché vista l’età di tanti eroi o protagonisti del rock’n’roll, ne manca uno quasi ogni settimana, ma di questi ultimi due qualche parola andava scritta, nonostante le rete sia piena di coccodrilli postati per l’occasione. Eppure, se andiamo a considerare il parallelismo fra vincenti e perdenti, sia Robbie che Sixto fanno al caso nostro, anche per il risarcimento che la storia gli ha consegnato. Il tempo è galantuomo, diceva  mio nonno. Due vita diverse tra fortune e sfortune ma con una classe identica che li ha consacrati nel mondo affollato della musica.

robbie robertson covers albums

Robbie Robertson nasce sotto una buona stella, considerando le varie tappe della sua evoluzione, ma niente è casuale perché si fece notare già con la sua prima band in cui militava: gli Hawks, insieme a calibri come Roy Buchanan e Ronnie Hawkins, i quali, intrapresa una carriera solista lasciarono il gruppo che cambiò il nome in The Band, perché, essendo stati scelti come strumentisti per accompagnare Bob Dylan nelle sue varie tournée, mai un nome fu azzeccato e lo scambio di favori fu reciproco. Iniziarono così una serie di pubblicazioni molto interessanti, che ebbero successo per la riscoperta delle radici americane in un periodo musicale particolare, e che terminarono con un colpo di gran classe: quel “The Last Waltz” (l’ultimo valzer), immortalato dal film di Scorsese, insieme a una lunga serie di ospiti eccezionali e di performance memorabili. Senza dimenticare che furono proprio loro a terminare il mitico festival di Woodstook del ’69, quasi come una rivelazione o un’anticipazione di quello che avverrà proprio in quell’occasione: gli ultimi per essere ricordati come i primi.
Continuando poi con la sua carriera solista, il nostro Robbie, canadese di nascita con sangue indiano nelle vene , sfodera degli album particolari che sono diventati delle icone: “Robbie Robertson“; “Storyville” e soprattutto “Music for the Native Americans” e “Contact from the Underworld of Red Boy” dedicati appunto ai nativi americani, seguiti poi da “How to Become Clailroyant” e l’ultimo “Sistematic“. Senza dimenticare la sua carriera parallela come compositore di colonne sonore sempre nel mondo del cinema.

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Sostanzialmente, se la sua immagine è stata accostata al creatore di miti che si rifacevano alla tradizione, la sua figura si è sempre mantenuta fuori dalle ovazioni da stadio proprio perché legato a un mondo più intimo, e se vogliamo, leggendario, intorno all’evoluzione di un continente così complesso come quello statunitense, che faceva delle persone vere, i protagonisti della realtà, sia nel bene e sia nel male, tra folk e rock, appunto. Era come se i personaggi di William Faulkner, Eudora Welty o Flannery O’Connor prendessero la sei corde alzando la voce iniziando una polifonia radicale. Non è casuale che i suoi genitori operai, la madre di discendenza Mohawk e Cayuga, formarono il suo spirito che sentiva intorno ai falò degli antenati, quasi in contrapposizione dell’identità del suo vero padre biologico: un giocatore d’azzardo professionista rimasto ucciso in un incidente stradale, mentre lei, ancora incinta sposò Jim Robertson per dare pace al figlio. Ma le vicende della vita ritornano proprio per esaltarsi come il pezzo The Weight, immortalato dal film Easy Ryder, e che fece di The Band un gruppo fuori dal tempo, e che nello stesso momento immortalò quel desiderio di libertà: l’inno di una generazione, poi finito nell’utopia. Ma il fine di una persona non si ferma e non si annacqua quando si è puri, non è casuale che prima di morire stava lavorando insieme a Scorese, l’amico di un’intera esistenza, al documentario “Killers of the Flower Moon“, dedicato alla lotta dei nativi Osage, nell’Oklahoma, per difendere i loro diritti sul controllo delle trivellazioni petrolifere nelle loro terre. Insomma, un combattente che ha fatto della musica, la rivolta per far sentire emozioni e rivoluzioni, fino all’esaurimento della voce per farla diventare poesia. Come diceva qualcuno: rock’n’roll !!!

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Altra storia quella di Sixto Rodriguez, che per gli appassionati di musica è arcinota. Una storia di risarcimenti che il tempo regala come una promessa mantenuta anche se dopo molti anni. Figlio di operai e operaio anch’esso nelle fabbrica automobilistiche di Detroit , Sixto si diletta a suonare e cantare nei locali di questa città, e come sempre succede in questi casi viene notato dal solito produttore che gli propone un contratto discografico. I suoi sono testi diretti, sociali, d’impegno politico, sindacale e culturale, sempre in relazione alle storie di tanti come lui che sudano giorno e notte nelle industrie di quel luogo particolare. Però i suoi due primi album: “Cold Fact” e “Coming from Reality”, non se li fila nessuno. La conseguenza è lo stralcio del contratto facendolo ritornare nell’anonimato. Continuerà a fare l’operaio, battendosi sempre per i diritti dei suoi compagni di lavoro e non solo; riesce a laurearsi in filosofia alla Wayne State University sempre di Detroit seguendo dei corsi serali e continua la vita di sempre fatta di lotte e sacrifici. Le sue origini nativo-americane e messicane fanno si che la sua connotata spiritualità si sposerà molto bene con le prese di posizione sia per la questione razziale e sia per l’impegno sindacale: siamo agli inizi degli anni ’70, poi il silenzio, di lui non si saprà più nulla. Ma come tutte le storie che devono avere una conclusione a lieto fine, negli anni ’80 avvenne l’impensabile: in Sudafrica, dove vigeva ancora l’Apartheid, per qualche ragione che non conosciamo (pare che una turista statunitense abbia avuto con sé delle sue cassette regalandole a un innamorato del posto), iniziano a girare le sue registrazioni  e i suoi testi diventano l’inno contro l’oppressione. Il regime autoritario di Pieter Willem Botha proibirà la circolazione di quella musica, ma si sa, quando inizia una rivoluzione, inizia un processo che nessuno può fermare e la figura di Sixto si trasformerà in un mito, diventando addirittura più famoso di Elvis Presley e di Bob Dylan. La cosa curiosa è che però lui non sa nulla, continua a fare l’operaio, e la Sussex Records, nonostante il contratto sia cessato, continua a incassare i suoi diritti quando i dischi successivamente saranno ristampati.

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tutte le foto sono prese dal web

Intanto la sua fama in questa nazione cresce arrivando addirittura al disco di platino, nonostante la censura, e quando nel ’91 furono abolite le leggi segregazioniste, qualcuno si chiederà se Sixto Rodriguez esiste, se è ancora vivo, se suona ancora proprio per portarlo da loro a fare dei concerti. Iniziano a circolare delle voci che si era ucciso sul palco, si era dato fuoco e via di questo passo. La faccio breve, perché dopo delle ricerche inconcludenti che lo davano morto per certo, alla fine dei ’90 e precisamente nel ’97, merito soprattutto di internet, la situazione si risolve e il nostro eroe intraprende una tournée trionfale da quelle parti, con una concentrazione di folle bibliche da farlo sembrare un Dio. Gli venne dedicato anche un film che prese l’oscar nel 2013 come miglior documentario: “Searching for Sugar Man” del regista svedese Malik Bendjelloul, e così anche l’America scopre la sua storia. Ma lui non si scompone, continuerà a fare la vita di sempre suonando per gli amici nonostante l’improvvisa notorietà.
Tutto questo ci fa capire che nella vita non solo si possono realizzare i sogni, ma al contempo bisogna credere in sé stessi quando si ha l’arte dentro. Si può parlare di gioia, di riscatto, di sfortuna e fortuna, di fede nei propri ideali e di altro ancora, ma quando si è semplici dentro tutto avverrà con la bellezza di chi ha seguito sempre la propria esistenza con un’umiltà, e con la forza che ogni situazione si può risolvere. I suoi testi parlano di tematiche forti ma anche d’intimità, di sesso, di amori magari al limite, ma sempre presenti nella nostra quotidianità come compagni abituali. Le sue liriche sono delle vere poesia che appartengono a noi tutti, soprattutto quando la lotta si risolve con la non-violenza, ecco perché la vicenda del Sudafrica è eclatante, proprio in relazione al volersi bene come soluzione di un conflitto. Saranno i soliti ideali per accontentare gli uomini? Può darsi, ma come ha detto qualcuno, soltanto dopo un fallimento si può assaporare il vero piacere di una vittoria.

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Bene ragazzi, vi saluto con il solito brindisi, in onore dei migliori…
Alla prossima!

il Barman del Club

22 Comments on “Robbie Robertson & Sixto Rodriguez – vincenti e perdenti fino al risarcimento

  1. Due grandi, due outsider nel mondo commerciale della musica. Li ho amati entrambi e tu hai dato loro un grande riconoscimento con questo bellissimo articolo. Grazie mille per questo. Un grande brindisi in loro onore. 🥂

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  2. “La cosa curiosa è che però lui non sa nulla, continua a fare l’operaio, e la Sussex Records, nonostante il contratto sia cessato, continua a incassare i suoi diritti quando i dischi successivamente saranno ristampati.” Che vergogna.

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  3. Non volevi più farne hai detto, per fortuna hai cambiato idea dico. Dare valore in questa maniera, alla carriera, alla passione e alla vita di questi artisti non è facile, non di certo con il cuore come hai saputo/sai fare tu. Quest’attenzione umana, questo divulgare profondo, è un grande insegnamento per chiunque legga. C’è sempre da imparare e sperare leggendoti.

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