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Come già predetto nel post sul classic-rock, ecco invece una scelta alternativa di ottime pubblicazioni relative agli ultimi mesi di quest’anno. Indie-rock e dintorni come si dice (più qualche escursione), giusto il tempo per assaporare prodotti di qualità.

indie-rock-ultime buone uscite del 2023

Partiamo…

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Hey Colossus – In Blood

Hey Colossus
In Blood

Dopo quasi vent’anni vissuti nell’underground più totale e dopo aver pubblicato il loro capolavoro nel 2020: quel “Dances / Curses” che li ha fatti finalmente incontrare con la critica ufficiale (prima snobbati), ritornando sulle scene con un album decisamente cupo, dark, quasi esoterico. Se poi prendiamo come esempio anche i testi, sconfiniamo in un racconto mitico ai limiti dell’orrore, in cui la tradizione folk-england dall’essenza gotica emerge dirompente. Si riscontra una compenetrazione fra melodie stranianti e ritmiche buie, talmente avvolgenti da frastornarsi da sole nel loro incedere ipnotico, quasi inquietante. Poi la ritmica si fa sempre più poderosa, riuscendo a trasformare tutte le spettrali presenze, in un punk-rock dall’energia coinvolgente, nonostante la teatralità soprannaturale. Chiaramente, se la trasposizione dei poemi mistici della terra d’Albione è un qualcosa radicato nella cultura popolare,  l’impatto musicale serve proprio per esaltare luoghi e passioni, al di là del messaggio che si vuole esprimere, perché una band ha bisogno dell’innesco ideale e questi ragazzi hanno acceso la miccia da molti lustri, facendo finalmente esplodere la loro voglia di emergere. Voto 7,5

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Mandy, Indiana – I’ve seen a way

Mandy, Indiana
I’ve seen a way

L’esordio di questa band di Manchester rasenta una bellezza tra il mistico e l’urbano, nel senso che riesce nell’aternanza di un industrial-noise misto a un elettro-rock molto impegnato, avvincente, nonstante alcune derive claustrofobiche, ma che catturano l’ascoltatore in un crescendo ammaliante. Techno-isterica, shoegaze, post-punk si mettono a danzare quasi respingendosi l’un l’altro, e nello stesso tempo si agganciano e si cercano fra una traccia e l’altra, dove il finale di un pezzo diventa l’inizio dell’altro. Fantastico… Tutto l’insieme diventa via via la messinscena di un teatro fatto di capannoni abbandonati e di fabbriche in disuso, dove echeggiano ancora le urla dei macchinari mangiauomini, messe a contatto con architetture ultramoderne e le successive esplosioni vocali di Valentine Claulfield (la cantante del gruppo) si esaltano con tutta la rabbia di un vissuto ancora vivo in questi luoghi pieni di fantasmi, liberandosi proprio con la potenza della musica fino alla catarsi. Voto 8

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David Helbock – Austrian SyndicateDavid Helbock
Austrian Syndicate

Ora facciamo una piccola escursione attraverso un jazz contaminato di fusion e rock come non si era mai visto, facendo diventare questo sperimentatore proveniente dalla terra dei canguri, l’ideale prosecuzione dei territori che a suo tempo attraversarono Herbie Hancock e Joe Zawinul. Chiaramente lui rielabora il tutto sperimentando fra etnica ed elettronica, riuscendo nell’intento di vivacizzare il tessuto sonoro con un retrogusto ironico, ricco di suggestioni e di variazioni. È incredibile come si possano sentire echi dei King Crimson fino a stacchi funky, e poi ascoltare richiami mediorientali mischiati con ritmi latini alla Nuyorican: quel misto fra influenze portoricane e suggestioni newyorkesi, rivelatosi in letteratura ma che in musica acquistano valori cromatici dalle mille sfumature. Siamo di fronte a un esempio di jazz contemporaneo più vivo che mai, che ha nel suo intento quella trascinante voglia di aprire spazi ludici per stendere molti arcobaleni, senza una fine. Voto 8,5

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The Hillside Project ~ The Available Light

The Hillside Project
The Available Light

Ora ci diamo una calmata, o meglio, ci prendiamo una pausa salutare prima di ripartire, con un musicista che struttura elementi legati a una “classica” contemporanea, fino ad amalgamarli con un’elettronica minimale perfettamente bilanciata nei suoi contenuti. Ci sentiamo cullati all’interno di un liquido amniotico come in una sorta di protezione, e le pareti sonore che abbiamo intorno diventano parte di noi stessi, in una interconnessione simbiotica. Dopo le prime carezze però ci rendiamo conto di vivere dentro un film, e non è casuale che questo tipo di sound si adatta proprio per far parte di una lunga serie di sequenze, magari della nostra vita, perché se ogni giorno nella nostra quotidianità ci fosse una colonna sonora ad accompagnarci, forse, il mondo, lo vedremmo con occhi migliori. Non è casuale che Josh Hill, il fautore di questo progetto, ha alle spalle una lunga carriera come compositore, avendo lavorato e realizzato musica per un’ampia varietà di progetti.  Voto 7

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Lol Tolhurst, Budgie and Jacknife Lee
Los Angeles

Quando si uniscono due grandi batteristi provenienti dall’epoca post-punk, giusto per far ritornare in mente gruppi come i Cure e Siouxsie & The Banshees, più un valente produttore polistrumentista e un allegra ciurmaglia fatta di ospiti speciali, sicuramente il risultato non può che resentare l’eccellenza. Già dal titolo si viaggia su quel confine che divide gloria a disperazione, come se una città fosse insieme al crogiolo del suo meltig-pot, il luogo ideale per conoscere sia l’inferno come il paradiso. E la musica si cala interamente dentro queste dimensioni altalenando sfumature tossiche alle visioni dark-wave, le quali, incuneandosi in questa apologia ritmica, riescono a trovare lo sbocco dentro molteplici varietà, date proprio dagli artisti che le popolano. Bobby Gillespie dei Primal Scream; Isaac Brock dei Modest Mouse; James Murphy degli LCD Soundsystem; Arrow De Wilde dei Starcrawler; Mark Bowen degli Idels, e poi ancora Mary Lattimore, Lonnie Holley, The Edge. Insomma, c’è da ubriacarsi per tanta roba creativa unita alla qualità espressa per un album veramente prodigioso. Voto 8,5

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Black Pumas – Chronicles of a Diamon

Black Pumas
Chronicles of a Diamon

Arrivano al secondo album questi ragazzi di Austin, giganteggiando attraverso una forma di neo-soul inbridata con spoken-word, funk, psichedelia e quel poco di pop che non guasta. Emerge soprattutto quell’energia emanata da quell’incrocio di bellezze,  che un sound di questo tipo riesce a provocare nei sussulti di un ascoltatore, perché ritmo e melodia si fondono perfettamente. Poi è anche vero che il fascino un po’ vintage e un po’ retro’ sembrerebbe far delle distinzioni fra qualità e creatività, ma è sempre il risultato che determina la valutazione della critica. I fautori del progetto: il produttore Adrian Quesada e il chitarrista Eric Burton,  hanno volutamente cercato di allontanarsi dal loro primo lavoro, proprio per pubblicare un esempio di effervescenza creativa, fatta di slanci lisergici insieme a effusioni melodiche, con nel mezzo tanta musica e ritmo da perderci la testa, senza troppe sperimentazioni, ma con un retroterra classico per frasi rimirare. Voto 7,5

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Bright Magnus – Jungle Corner

Bright Magnus
Jungle Corner


Questo gruppo di casa nostra, sembra proprio non avere problemi nel dichiarare quali sono le fonti della loro ispirazione, perché già dal primo ascolto il fantasma di Miles Davis aleggia sulle loro teste, tratteggiando quel jazz elettrico che tanto piace a noi rockettari dell’era degli Dei, anzi, è proprio la struttura di “On the Corner” (capolavoro assoluto della musica), proprio del grande maestro, a rivivere fra queste tracce (il titolo infatti non e casuale). Chiaramente la loro esaltazione, al di là di qualche citazione inserita proprio per omaggiare il guru di Alton, poi prosegue nei territori dove la fusion la fa da padrone, sciolinando brani spettacolari, in cui la bravura di questi professionisti emerge quasi a gelare il fiato per tanta meraviglia e tanta fascinazione. D’altronde, se dovremmo metterci a elencare le collaborazioni di questi musicisti, rimarremo senza fiato una seconda volta, intorno a una carriera inimitabile. Leziero Rescigno alla batteria; Gianni Sansone alla tromba; Giovanni Calella al basso; Mauro Tre alle tastiere; Alberto Turra alla chitarra; sono nomi di eccellenza, i quali ci portano e ci porteranno ancora nella giungla lussureggiante della bellezza. Voto 9

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Bar Italia – Tracey Denim

Bar Italia
Tracey Denim

Non fatevi confondere dal nome: questi ragazzi sono inglesi, anche se la vocalist Nina Cristante è di chiare origini italiane, e da qui probabilmente l’origine dell’appellativo. Ma veniamo a noi: la loro struttura pur partendo da una base post-punk, si sposta successivamente verso elementi shoegaze con echi vagamente pop, anche se l’estetica dominante vorrebbe usufruire di elementi dream-rock modificandoli per raggiungere una scelta melodica alternativa. Ne consegue un insieme di brani molto avvolgenti con una ritmica variabile, i quali alternano momenti ipnotici ad altri più onirici, con un insieme di liriche piuttosto intimiste, nonostante alcune scelte ermetiche, probabilmente per confondere certi aspetti personali. Alla fine si rimane coinvolti fra questi tessuti ricamati giusto il tempo per assaporare storie semplici, ma sempre vive nelle nostre esperienze quotidiane.

Bar Italia-The Twits

Tra l’altro, proprio il mese scorso, hanno dato alle stampe un ideale seguito, forse più variegato, quasi a voler continuare a  pochi mesi di distanza un qualcosa di dimenticato o di sfuggito prima, come se il mondo fosse lì ad aspettare la loro, nostra, voglia di ascoltare. Voto 7

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Palmer Generator - Ventre

Palmer Generator
Ventre

Questa band invece è italiana a tutti gli effetti, e l’ho inserita dentro un contesto internazionale perché a mio avviso merita un plauso particolare, soprattutto in relazione a una ricerca post-rock molto interessante che la sospinge oltre i confini nazionali. Questo è il loro quarto album che delinea paesaggi affascinanti, i quali, si arricchiscono con influenze kraut, fino a delle improvvisazioni jazzistiche con elementi cosmici divisi fra eterea dolcezza e intrecci irrequieti, riuscendo poi  a far coincidere il rumore con la melodia. Praticamente il nome dell’ensemble è relativo al fatto che sono tutti membri dello stesso nucleo familiare: i Palmieri appunto, e che insieme aprono le miniere spaziali scoperte a suo tempo da Slint, Neu!, Shellac ed Explosion in the Sky, giusto il tempo per inserire nel loro sound esperienze diverse come un mantra universale, riversandole nel ventre dove tutto ha inizio: centro nevralgico della terra e dei viventi, come luogo di spiritualità e di rinascita. Però, come ben sappiamo, l’energia che genera la vita ha sempre bisogno del caos prima di raggiungere l’equilibrio, e fra queste tracce troviamo proprio una materia astratta che via via prende corpo per diventare un organismo senziente semplice e complesso. Voto 9

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PIL-end pf world

PIL
End of world

Allora, al di là delle idee politiche di John Lydon con cui non sempre si potrebbe andare d’accordo, soprattutto pensando al passato incendiario dell’ex Pistols che ora è diventato un pompiere conservatore; questo suo ultimo lavoro è sicuramente da considerare per la frenesia che è riuscito a far esplodere insieme e una melanconia di fondo. Bisogna anche aggiungere che gli ultimi anni passati a curare la sua compagna malata di Alzheimer, lo hanno segnato notevolmente nel corpo e nello spirito, portandolo a elaborare non solo il lutto ma tutta una sofferenza intrinseca che ha riversato fra queste tracce con molta credibilità, soprattutto musicale. E probabilmente è proprio l’impianto strumentale che bisogna considerare, lasciando da parte alcuni testi decisamente bacchettoni, e guardando l’impatto fedele a un post-punk sicuramente adulto, anche se lontano dalla freschezza che stanno esibendo tutta una serie di band del panorama odierno, ma tant’è, ormai questi vecchietti sono mutati e vanno considerati nel contesto della loro credibilità, come se il passare degli anni abbia portato rassegnazione e non ribellione. D’altronde sarebbe troppo falsata un’invettiva fatta da un quasi settantenne e proprio per questo l’album lo si ascolta, per quello che dice,  senza nascondersi dietro facili proclami, ma per quello che veramente è. Voto 6,5

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Bene, terminato il secondo giro di aperitivi musicali, non ci resta che bere in compagnia, godendoci questi attimi di pura bellezza, insieme ai colori che esprimono tutti i liquori del mondo.

Salute ragazzi!

il Barman del Club

11 Comments on “Indie rock – alcune buone uscite di fine 2023

  1. Sarà che sto invecchiando 🙂 ma certa musica non riesco più ad amarla. Mi è piaciuto molto il sound del gruppo italiano, un misto armonioso di jazz – rock – blues – e indie (bravi veramente); poi Black Mumas , non mi è dispiaciuto The Hillside Project, però ho ballato da sola ascoltando L’os Angeles, bell’album.
    Grazie per le belle ore di ascolto di musica buona che trascorro con te.

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  2. Delle recensioni veramente ottime che spiegano alla perfezione i vari gruppi e il loro stile. Li sto ascoltando pian piano tutti e ammetto di essere rimasto impressionato dai Bright Magnus. Complimenti per l’ottimo lavoro!

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  3. Pingback: Best album 2023 – i migliori dischi del 2023 per l’Intonation Cocktail Club – Intonations Cocktail Club 432

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